Costruire ponti (letteralmente)
Il documentario «Gateways to New York» di Martin Witz
Dopo aver ottenuto il premio del pubblico a Soletta e a seguito della presentazione al Locarno Film Festival, «Gateways to New York», documentario di Martin Witz sull'ingegnere svizzero Othmar H. Ammann e, soprattutto, sui suoi ponti, arriva nelle sale della Svizzera italiana.
Ci sono poche metafore più fortunate, oggi, di quella del ponte. «Dobbiamo essere costruttori di ponti, non di muri», ha detto anche Jorge Bergoglio nel suo messaggio pasquale Urbi et orbi – e d'altra parte, se non lo asserisce un pontifex (letteralmente, un costruttore di ponti), chi dovrebbe farlo? Tra l'altro, un malizioso potrebbe anche osservare che l'opposizione muri-ponti non sia che un'ennesima propaggine della rivalità tra architetti e ingegneri: non sono i muri la specialità degli uni, i ponti degli altri?
Battute a parte, si può dire che, guardando il documentario Gateways to New York (Prix du Public quest'anno a Soletta), le immagini dei ponti dell'ingegnere svizzero Othmar H. Ammann, imponenti e rassicuranti nella loro posatezza, non facciano che riconfermare come queste infrastrutture si prestino a rappresentare unione e connessione. A inquadrarle è la telecamera – sempre ammirata – di Martin Witz, regista zurighese che in passato ha già raccontato connazionali illustri, dall'inventore della Migros a quello dell'LSD. Qui segue il percorso di Ammann dal suo arrivo negli Stati Uniti nel 1904, dopo la laurea in ingegneria all'ETH di Zurigo, fino alla morte nel 1965, un anno dopo la realizzazione del suo ultimo ponte newyorkese.
Va detto che, nonostante le frasi tratte da documenti personali e le testimonianze di collaboratori e familiari, l'ingegnere rimane una figura indecifrabile e indecifrata – più un volto che si affaccia in filmati e foto d'archivio che un personaggio; unica certezza, l'ironia che spira dalle lettere alla fidanzata. Se Ammann pare sottrarsi, anche post mortem, a un ritratto, il regista ovvia dando profondità al film grazie a una dimensione inaspettata: i racconti di una comunità di operai siderurgici della tribù dei Mohawk, specializzati da generazioni nella costruzione di ponti. Affiancando alla trama da sogno americano di Ammann (un giovane straniero arriva in America e, dal nulla, si fa strada) le storie di questi uomini che hanno assemblato i suoi progetti bullone per bullone, Witz introduce nel documentario una prospettiva inaspettata grazie alla quale può guardare alla nascita di un ponte da un doppio punto di vista: quello astratto dei calcoli ingegneristici e quello tutto concreto dei lavoratori.
E questo ci riconferma che il vero protagonista del film (come d'altra parte indica il titolo) non è Ammann ma sono i suoi ponti, che ridefiniscono il profilo di New York spalancando varchi dove non ce n'erano, stendendo un tappeto rosso per la nascente civiltà dell'automobile e permettendo l'urbanizzazione spasmodica dei sobborghi, al punto che non è chiaro se sia stata la pressione della città in ebollizione a rendere necessarie le sue strutture o il contrario. Così, questi progetti che superano un limite dopo l'altro raccontano anche le trasformazioni attraversate dagli Stati Uniti nei primi 60 anni del Novecento. E se possono essere visti come emblemi di unione, al contempo rappresentano una via che conduce dritta – a condizione che ci si possa permettere il pedaggio – alla società dei consumi. «Come si poteva prevedere che gli automobilisti sarebbero diventati i più grandi costruttori di ponti di tutti i tempi!», commentò Ammann.
Dove e quando
Giovedì 19 settembre a partire dalle 19:45, al Cinema Lux di Massagno, SIA Ticino propone una proiezione introdotta dal regista Martin Witz. Maggiori informazioni qui.
In seguito, il film sarà programmato nei cinema ticinesi.