«L'­ar­chi­tet­tu­ra è un fat­to fi­si­co»

Il lavoro a distanza impedisce il lavoro artigianale sul progetto producendo edifici standardizzati, sostiene Mario Botta; per lui, la situazione attuale è «un disastro».

Publikationsdatum
09-04-2020

Espazium – Mario Botta, anche il suo studio, con mandati in corso in Svizzera e all'estero, ha visto le sue attività fortemente influenzate dal Covid-19. In che modo state affrontando questa situazione?
Mario Botta – Scriva pure che Mario Botta ha detto che è un disastro, perché aveva un modo di lavorare artigianale e col lavoro remoto ha dovuto cambiare mestiere.

Cosa intende?
Io lavoro con venti collaboratori che curano gli aspetti progettuali; per quelli esecutivi collaboriamo con degli studi all'estero. Ora i miei collaboratori sono tutti a casa. In ufficio ero abituato a essere lì dietro a loro: ogni riga che tiravano la correggevo. Non inventavo niente, correggevo in continuazione, perché non ho nessuna certezza: il nostro lavoro è fare una cosa che non si conosce, e proprio per questo non posso comandare come farla a distanza. Sarebbe come pretendere di dipingere un quadro dicendo a un pittore: “Metti un po' di rosso lì, un po' di blu lì, un po' di giallo, un po' di bianco…”.
Il mio era un lavoro artigianale, di ricerca; e ora questo che faccio a distanza è un altro mestiere. Non dico che non si possa fare, ma è un altro approccio, un'altra generazione. Va bene per chi già lavorava in remoto, con i cataloghi, e sono in molti. Infatti se gli edifici si assomigliano tutti nel mondo è perché ormai lavorano tutti in maniera astratta: fai così la finestra, fai così la facciata, ma non c'è più una creatività nell'organizzazione dello spazio e della costruzione. Quindi questo coronavirus ha messo in evidenza le contraddizioni che già c'erano, perché molti lavoravano già da remoto.

Da una prospettiva teorica quale effetto pensa stia avendo il confinamento sul nostro rapporto con lo spazio domestico?
Il minimo che si possa pensare è che una vita come quella che stiamo conducendo ora ha bisogno di più spazio: in 20 metri quadrati uno non può mangiare, dormire, ricevere gli amici e avere anche lo studio. Si può ipotizzare che, se si includesse nello spazio domestico anche lo spazio di lavoro, gli uffici scomparirebbero. A ben pensarci gli uffici sono un concetto strano: degli spazi part-time, usati per sole otto ore al giorno…

Si va, allora, verso una società dove la casa è anche il luogo di lavoro?
Non dica “si va”, dica “purtroppo si va”, perché questo porta anche a delle gravi conseguenze. Il modello americano del lavoro a distanza è perverso. Va bene per la finanza che è un lavoro astratto, forse, ma per le attività artistiche è il nonsenso. È come chiedere a un falegname di fare una sedia o un tavolo in remoto. Si può fare tutto, in linea di principio, e si potrà anche fare un tavolo via etere, ma è un altro mestiere.

In questi giorni in cui l'imperativo è restare a casa sente la mancanza dei sopralluoghi?
Immagini se è possibile lavorare senza un contatto diretto con il luogo! Nel mondo non ho mai visto fare una cosa senza far parlare il contesto; il contesto è parte del progetto, non è altro rispetto al progetto.
L'architettura non è uno strumento per costruire un luogo, è uno strumento per costruire quel luogo. E quel luogo cambia e quindi bisogna conoscerlo.

Pensa che le autorità o enti come la SIA possano fare qualcosa per aiutare gli studi a superare questa situazione?
L'architettura non deve aspettare i politici… L'architettura è lo specchio – impietoso talvolta, ma è lo specchio – della società. Se la società va in una direzione in cui tutto diventa virtuale, si perderà un po' del senso del lavoro. Il lavoro per me è sempre stato piacere, e infatti non amo il concetto di “tempo libero”. Il tempo libero presuppone l'idea del tempo schiavo di lavoro, ma se il lavoro è bello non c'è bisogno del tempo libero.
Ora credo che non possiamo andare avanti così, non vedo un barlume di luce. L'architettura è un fatto fisico. Il piacere di questo lavoro è scoprire un pezzettino di verità, un microcosmo di verità ad ogni passo. Se gli levi questo processo è un altro mestiere, non è più quello in cui noi credevamo.

Intervista realizzata il 25 marzo

Mario Botta Architetti

La cultura della costruzione di fronte all'emergenza Covid-19 – La parola ai professionisti

 

La crisi sanitaria ed economica che stiamo attraversando sta colpendo tutti i settori professionali, tra cui anche l'edilizia. Per valutarne l'impatto sulla cultura della costruzione, Espazium dà la parola ai professionisti del settore affinché testimonino di come hanno riorganizzato il proprio lavoro, di quali difficoltà abbiano incontrato e – poiché ogni crisi rivela i punti di forza ma anche le debolezze di un sistema – condividano con noi i loro pensieri sulla propria professione. Per non dimenticare, e nella speranza che queste testimonianze ci aiutino a riflettere così che, una volta sconfitto il virus, non tutto torni com'era prima.

 

I contributi di questo ciclo sono raccolti nel dossier digitale.

Verwandte Beiträge