So­lu­zi­o­ne tec­ni­ca - Pro­pos­ta ar­chi­tet­to­ni­ca

Publikationsdatum
10-08-2023

In un suo saggio Diego Peverelli opponeva in modo dialettico, quarant’anni or sono, il suo elogio alla passerella, alla modestia del programma e alla sua ricchezza sperimentale.1 Questo testo apparso in francese nel 1981 mérite le détour, come dice la Guide Michelin. Ne pubblichiamo la traduzione di Graziella Zannone Milan in questo numero dedicato al programma architettonico della passerella.

Nato a Lugano nel 1934, Diego Peverelli segue un percorso poco frequentato dai ragazzi architetti conosciuti nella sfera mediatica ticinese. Bussa alla porta della scuola fondata da Max Bill a Ulm. Ivi studia nella seconda metà degli anni Sessanta, una metà però accorciata, quando nel 1968 il governo democristiano bavarese sospende il finanziamento pubblico della scuola. La Hochschule für Gestaltung HfG, creata da Bill nel ricordo del Bauhaus e della sua tradizione conflittuale, era percepita a Monaco come «un’officina del comunismo». Dopo la sospensione della scuola due manciate di giovani ulmiani arrivano in Svizzera e in Francia in una specie di diaspora, combinando una rete di fratellanza e di esclusione.

Il suo percorso combina due talenti, scrivere e insegnare. Incontra il sociologo Lucius Burckhardt e viene associato come redattore alla rivista Werk. Il suo insegnamento si sviluppa inizialmente all’EAUG (École d’architecture de l’Université de Genève). Dice Peverelli «(…) in un contesto abbastanza confuso e politicizzato Dominique Gillard, vecchio ulmiano mi aveva chiamato perché voleva fare della scuola di Ginevra una specie di nuova Ulm».2 Il rettorato accorda però poca fiducia e denaro alla Scuola di architettura. Invitato dalla Scuola Nazionale Superiore di Architettura di Strasburgo, Peverelli incontra nuovi colleghi e una situazione politica più lucida. Trova qui il suo ruolo di insegnante, tra progettazione e storia dell’architettura. (Jacques Gubler)

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Un programma semplice o il ridotto numero di requisiti ai quali un oggetto da costruire deve rispondere, non dovrebbe sminuire l’importanza della progettazione architettonica.

Ciononostante, si tende a banalizzare un programma modesto, sia da parte dell’architetto che del committente. La risposta è una pratica diventata purtroppo abbastanza comune: la progettazione e l’applicazione di soluzioni già avvalorate dall’esperienza tecnica. Per l’architetto, il programma modesto, il compito semplice, a volte anche i limitati mezzi economici a disposizione per la realizzazione, non dovrebbero essere assunti come pretesto per privare il lavoro di progettazione di tutte le componenti metodologiche che contribuiscono a dare a questa attività il suo carattere disciplinare.

D’altronde, non è forse il carattere disciplinare dell’architettura quello che stiamo cercando di recuperare oggi, con uno sforzo quasi entusiasta? O non è forse la ricerca di una nuova identità per l’architettura l’obiettivo che si è fissato la giovane generazione di architetti?

Considerazioni su uno spazio degradato

Va detto che la leggerezza con la quale vengono impiegate soluzioni basate esclusivamente sull’esperienza tecnica si è potuta affermare solo in un periodo di forte espansione economica, quando l’industria non ha incontrato difficoltà a proporsi quale partner progettista e a raccomandare le proprie soluzioni tecniche. Questo fenomeno si è diffuso nel campo della progettazione e della realizzazione di costruzioni, apparentemente semplici e povere, in grado di stimolare un processo creativo.

Così, negli ultimi decenni, abbiamo visto fiorire nell’ambiente, nel contesto nel quale viviamo, soluzioni tecniche invece che oggetti architettonici. Il ritmo dell’espansione economica dettato dalle condizioni degli investimenti – oggi ormai rallentato – ha imposto a questi oggetti caratteri di mobilità e di adattabilità. Spesso, le soluzioni tecniche sono oggetto di applicazioni provvisorie, anche se questa provvisorietà è una strategia sviluppata per imporle nello spazio in modo durevole e quindi radicarle nella memoria. Attraverso l’immagine provvisoria ci si abitua alla loro presenza nello spazio.

Inoltre, l’impiego regolare di soluzioni tecniche provvisorie e analoghe, introduce indirettamente una dimensione di ripetizione nello spazio, contribuendo a creare una situazione di ambiguità rispetto alla possibilità di identificare una condizione provvisoria o definitiva.

Tuttavia, nonostante gli aspetti negativi appena menzionati, la distinzione tra la dimensione architettonica e il carattere della soluzione tecnica di un oggetto costruito può essere fatta interrogando l’oggetto in relazione alle conseguenze che genera una volta inserito nello spazio. Infatti, «...l’essenza dell’architettura è nelle relazioni che intercorrono tra le sue configurazioni, il mondo fisico che le circonda, chiunque la esperisca nell’uso e nella contemplazione e perfino per casuale incontro».3

Due esempi

Gli edifici scolastici standardizzati non sono forse soluzioni tecniche provvisorie dettate dai programmi di pianificazione delle infrastrutture scolastiche elaborate negli anni Sessanta sulla base di dati demografici – che nel frattempo hanno subito profondi cambiamenti –, soluzioni non adattabili che hanno congelato questi programmi in modo definitivo? Allo stesso modo, certi cubi di vetro che avvolgono gli edifici che ospitano il settore terziario non costituiscono soluzioni tecniche dall’apparenza provvisoria, collocati nei centri storici al posto di vecchie pietre diventate anacronistiche nel contesto dell’espansione? È vero che i cubi di vetro hanno subito negli ultimi anni una certa metamorfosi; il loro aspetto è meno fragile, l’immagine di maggiore solidità è ottenuta, sia attraverso l’uso di altri materiali rispetto al metallo leggero, sia attraverso l’introduzione di elementi architettonici tratti dal vocabolario classico, nella griglia che regola la loro composizione morfologica; ma questa solidità non rappresenta solo un nuovo tipo di artificio tecnico inserito nello spazio? D’altra parte, gli elementi architettonici dall’aspetto classico sono metamorfosi la cui interpretazione conferma che il processo di terziarizzazione dello spazio della città è continuo.

Ma torniamo agli oggetti più semplici, in particolare a quelli che fanno parte dell’infrastruttura dello spazio urbano: le «gabbie» di vetro che rivestono alcuni edifici amministrativi, le strutture che definiscono e proteggono le superfici in relazione all’uso del trasporto pubblico urbano, le attrezzature presenti nelle piazze della città, destinate alla sosta, al gioco, alla comunicazione, e infine, i passaggi pedonali soprelevati o sotterranei, non sono forse ancora soluzioni tecniche al tempo stesso temporanee e definitive? Tutti questi impianti e strutture sono state progettati e costruiti per proteggere le persone nella città iper-funzionalista, per migliorare lo spazio urbano, per rendere la città più piacevole, più vivibile. È proprio in relazione a questi oggetti che la nozione di arredo urbano è stata inventata e introdotta nel campo dell’architettura e del design.

Ma l’esperienza quotidiana, nella maggior parte dei casi, ci riporta ancora una volta a soluzioni tecniche che si limitano a indicare luoghi, percorsi, mezzi/dispositivi da utilizzare, o a condizionare i comportamenti in uno spazio a volte deteriorato. E sono soprattutto gli spazi pubblici della città – strade, piazze, giardini, banchine, ponti – a essere stati dequalificati come luoghi. Questo perché le soluzioni tecniche adottate sono state sviluppate secondo programmi tecnocratici, a loro volta elaborati da mentalità tecnocratiche, che sottomettono gli interventi negli spazi pubblici destinati all’uomo alle esigenze dettate da vincoli oggettivi, come, ad esempio, l’incessante aumento del traffico veicolare privato.

Lancy, validità di un esempio

In relazione alla posizione dell’intervento del progetto volto a qualificare uno spazio come luogo, merita di essere citato un esempio molto attuale: un percorso pedonale nel Comune di Lancy/Ginevra, che si oppone alla pratica della soluzione tecnica e dimostra la validità e la pertinenza di alcune componenti metodologiche del lavoro di progetto applicate alla realizzazione di un programma di natura apparentemente semplice:

  • la formulazione di ipotesi di lavoro in risposta alla critica dei modelli sperimentati esistenti;
  • la lettura attenta delle caratteristiche delle preesistenze;
  • la verifica dei primi concetti di intervento considerando la possibilità di modificare alcuni dati del programma;
  • lo studio delle condizioni particolari nello spazio che possono derivare dall’applicazione delle ipotesi di intervento;
  • l’uso dei disegni come strumento per formalizzare le idee, verificare e coordinare le opzioni prese nella definizione del concetto di intervento.

Per la progettazione di un percorso pedonale appena completato, il Comune di Lancy ha incaricato, nel 1979, il CREX (Centre de Réalisation Expérimentale de l’École d’architecture de l’Université de Genève). Nel suo concetto pedagogico, questo centro introduce i mezzi della sperimentazione pratica come fase operativa di verifica del progetto architettonico. Gli studenti hanno la possibilità di intervenire sui cantieri partecipando direttamente alla fase di costruzione. Così, il percorso pedonale a Lancy è stato un’interessante esperienza di questa opzione pedagogica, che avrà l’occasione di essere verificata nella sua prossima realizzazione.

Questo percorso collega le aree residenziali con i campi da gioco e il parco di Lancy, separati da una nuova strada principale che convoglia il traffico tra la città di Ginevra e la campagna.

Il tracciato si sviluppa lungo un asse rettilineo, un’apertura che perfora il rilevato stradale nel quale scorre il largo nastro di asfalto. Due punti scelti in modo preciso e pertinente rispetto allo spazio definiscono la linea retta che traccia gli elementi di unione tra due percorsi esistenti separati dalla strada. Per materializzare questa direttrice pensata e progettata con mente razionale nello spazio, che la strada ha disorganizzato, sono stati definiti due elementi costruttivi: la passerella e il tunnel. La linea è quindi la prima componente del sistema di riorganizzazione dello spazio: l’idea di percorrere il tracciato prende forma attraverso il ponte pedonale che, eliminando il vincolo della soluzione tecnica sperimentata, attraversa il foro sotto la strada per collegare due punti opposti sopra il terreno leggermente in pendenza, ricreando così un luogo nello spazio. La passerella, concetto tecnico primitivo del ponte, costruisce in questo caso un luogo, come nell’interpretazione del «bauen» di Martin Heidegger, inteso come «costruire cose».

«Il ponte si libra “leggero e forte” sul fiume. Esso non collega soltanto rive già esistenti. Nel collegamento del ponte le rive si manifestano in quanto tali (...). Con le rive, il ponte porta di volta in volta al fiume l’uno o l’altro sfondo del paesaggio retrostante. Esso porta fiume e riva e terra in reciproca vicinanza (...)».5

Certamente, la situazione nel nostro caso è diversa: ...il passaggio della passerella nell’oscurità del cilindro metallico che costruisce il tunnel fa emergere i punti lontani nello spazio... Ma il traliccio metallico tridimensionale, che dà un volume al ponte pedonale, attraverso la prospettiva tracciata dalle linee particolarmente limpide dei profili assemblati nelle travi, ristabilisce l’unione tra le due parti dello spazio e configura fisicamente l’idea e la dimensione della linea.

Non solo il traliccio metallico avvolge il ponte pedonale, ma ne definisce l’inizio e la fine, conferendo un senso di protezione a chi lo percorre. La successione ritmata dei profili che lo compongono rende trasparente il disegno che definisce la forma del percorso concepito come elemento architettonico che riqualifica uno spazio, come luogo, vissuto con intensità dalle persone.

La realizzazione di Lancy che presentiamo, ci mostra ancora una volta le possibilità di sviluppo e formalizzazione del concetto di passerella. Originariamente un elemento tipicamente tecnico-funzionale, la passerella, soprattutto negli ultimi due decenni, è stata riproposta nei temi dell’attuale ricerca architettonica.

Infatti, il recupero recente di alcuni temi progettuali e compositivi propri dell’architettura intesa quale disciplina, come ad esempio quello del percorso inteso come componente di un sistema architettonico, ha dato alla passerella uno spazio di applicazione non indifferente nel contesto della ricerca architettonica. La serie di esempi che presentiamo ne testimonia la sua rivalutazione.

Traduzione Graziella Zannone Milan

Note

 

1. D. Peverelli, Solution technique-Proposition architecturale, «Archi-Bref. Bulletin d’information», EAUG, n. 29, 30 gennaio 1981, pp. 1-3.

 

2. G. Bolle, L’héritage moderne entre enseignement du projet et histoire de l’architecture: le parcours de Diego Peverelli, https://doi.org/10.4000/craup.4263.

 

3. G. De Carlo, Riflessioni sullo stato presente dell’architettura, conferenza tenuta al Royal Institution, Londra 1978.

 

4. Cfr. «Archi-Bref. Bulletin d’information», EAUG, n. 22, 27 febbraio 1980, pp. 4-5.

 

5. M. Heidegger, Costruire abitare pensare, Bologna 2017, p. 24 (titolo originale Bauen Wohnen Denken, 1952).

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