L’ar­chi­tet­tu­ra Vi­va di En­ri­co Cas­tig­li­o­ni

Enrico Castiglioni una figura di «Confine»

L'opera dell'architetto Enrico Castiglioni si caratterizza per l'uso di sistemi strutturali semplici, sulla riduzione dell’architettura a soli tre elementi di supporto e a una copertura e sull'utilizzo di un solo materiale. Il suo linguaggio architettonico unisce spazialità e audaci soluzioni ingegneristiche. 

Publikationsdatum
17-09-2024

La figura di Enrico Castiglioni è quella di un pioniere. Un innovatore attivo nell’area industriale di confine fra la Svizzera e Milano: un contesto ampiamente caratterizzato da attività imprenditoriali ma che, nel secondo dopoguerra, non offriva altrettanta ricchezza sul versante degli episodi architettonici di rilievo. Formatosi negli anni ’30 Castiglioni ha una carriera caratterizzata dalla continua invenzione di nuove soluzioni strutturali. Già nelle sue prime opere realizzate tra Viggiù e Castellanza, introduce un nuovo linguaggio architettonico che unisce la spazialità con audaci soluzioni ingegneristiche. 

Il suo linguaggio si basa su soluzioni che richiedono una profonda comprensione dei principi strutturali unita ad una elevata coerenza progettuale. L’osservazione dell’efficienza dei cicli produttivi, l’estetica dei prodotti industriali, lo studio delle fabbriche, contenitori degli stessi processi lavorativi sono tutti elementi chiave che gli hanno permesso di percorrere nuove strade espressive. Castiglioni opera principalmente nel territorio della provincia di Varese che in quel momento vede in piena attività l’industria aeronautica, l’Aermacchi in città, la Marchetti e la Caproni nell’area del Gallaratese. Nello stesso periodo, Busto Arsizio e la conurbazione delle città limitrofe diventano luoghi cardine per l’industria tessile e meccanica.

Enrico Castiglioni sostiene la propria attività professionale con un grande lavoro di ricerca animato da una sorprendente curiosità intellettuale.

Il pensiero di Ernesto Nathan Rogers, che porta al limite le opposte tensioni del sentimento e della ragione, sembrano animare anche il percorso formativo di Castiglioni che prima si laurea in ingegneria nel 1937 al Politecnico di Milano per poi diplomarsi in architettura a Roma nel 1939. Una formazione «completa», questa, che lo accomuna agli altri maestri dello strutturalismo italiano.

Lo possiamo vedere nelle opere dove l’impiego di vari sistemi strutturali lo porta ad inventare per ogni progetto nuove soluzioni. È così che arriva alla sperimentazione di volte sottili e di coperture a membrana già dai primi anni ‘50. 

Concettualmente lavora sulla riduzione dell’architettura a soli tre elementi di supporto e a una copertura. Ricorrono geometrie strutturali fondate sul numero tre e sui suoi multipli: l'arco a tre cerniere, il tripode, le coperture a tre punte, e le piante triangolari ed esagonali.1  Queste strutture, scelte in funzione dell'idea spaziale, garantiscono la massima stabilità e resistenza strutturale dimostrando la loro necessità intrinseca. Castiglioni adotta un approccio fenomenologico quasi a sperimentare un nuovo linguaggio universale. Lo studio del movimento e la percezione del corpo nello spazio, modellano quest'ultimo intorno ad esso. I tradizionali sistemi trilitico e archivoltato vengono trasformati in una struttura continua in cui la parte portante e la copertura si fondono in un nuovo equilibrio elastico, integrando in questo modo forma e funzione statica. 

Gli inizi di carriera, che lo vedono in collaborazione con l’ingegnere Carlo Fontana, trovano esito nella partecipazione al concorso per la torre delle Nazioni (ex edificio per il Partito Nazionale Fascista alla Triennale d’Oltremare di Napoli) e nel dopoguerra, con la sperimentazione del suo approccio formale nei progetti di edifici religiosi a Besozzo e a Viggiù. In questo borgo sul confine con la Svizzera è artefice, nel 1952, di una singolare reinterpretazione dello spazio religioso della Chiesa di S. Stefano, già a sua volta trasformata nel tardo '500 in forme rinascimentali da Martino Longhi il Vecchio. 

Il massiccio volume cilindrico di pietra dell’abside da lui riprogettato si contrappone alla leggerezza della copertura a guscio della nuova ala, costruita come una membrana sottile dalle morbide curvature. Questa volta del tutto particolare è sostenuta da una struttura a tripode rovesciato, soluzione originale che, appiattita come un ombrello schiacciato, regge gli archi delle piccole navate laterali. Questi sono separati dai pilastri che sostengono una seconda sequenza di archi nella navata centrale, traslata in alto rispetto alla prima. Ne risulta una rivisitazione completa del sistema trilitico tradizionale ottenuta attraverso una struttura che dal pavimento si sviluppa con una tensione che si alleggerisce verso l’alto: lo spazio si trasfigura verso la luce.

L’ampliamento della Chiesa nel comune di Viggiù diventa così uno «spazio sperimentale» sviluppato ulteriormente nel progetto di concorso della stazione di Napoli del 1954, un disegno che da subito ottiene grande riconoscimento critico anche a livello internazionale.2

Riccardo Musatti, teorico e giornalista che insieme a Bruno Zevi dirigeva la rivista «Metron», all’inizio degli anni ’50 descrive la struttura per la stazione di Napoli di quel «geniale e anticonformista Castiglioni» come una copertura composta da volte a vela su pianta esagonale e poggianti su tripodi prodotto da un incredibile slancio creativo: «uno squillo, un acuto eccezionale», un gesto lontano da ogni retorica.3

Il fermento intorno ai «Giochi della XVII Olimpiade» nell’estate del 1960 a Roma - in cui Adalberto Libera, Luigi Moretti e Pier Luigi Nervi lavorarono alla realizzazione del Villaggio Olimpico - e i progetti legati all’Esposizione Internazionale del Lavoro a Torino nel 1961 non possono lasciare indifferenti un piccolo ma estremamente ricettivo gruppo di architetti varesini composto da Castiglioni e insieme a lui Carlo Moretti, Vittorio Introini, Luigi Ciapparella, altri professionisti-intellettuali la cui opera meriterebbe di essere maggiormente studiata e approfondita.4

Analogamente ai progetti architettonici Castiglioni immagina le città come un organismo vivente in continuo mutamento. L’urbanistica è per lui un processo vivo, fenomeno in costante evoluzione e privo di un assetto rigido. Non esistono piani urbanistici fissi e definitivi, quindi si tratta di «(…) un processo vitale [che] non si può cristallizzare in una struttura statica.»5 Parole che sembrano anticipare di molti anni le teorie più avanzate dell’attuale disciplina urbanistica.

Negli anni '90, espresse preoccupazione per la diminuzione della partecipazione della società civile nella costruzione della città, osservando come la civiltà dei consumi stesse erodendo le interazioni sociali.6

Il suo interesse per l'urbanistica si rifletteva nella collocazione degli edifici pubblici, trattati come emergenze monumentali nel tessuto urbano. Castiglioni concepiva ogni progetto come un sistema integrato, dove ogni parte contribuiva all'armonia complessiva.7

Lungo la sua carriera, Richino (così veniva chiamato Enrico Castiglioni) ha avuto, oltre al figlio Stefano - che inizia a collaborare con lo studio nel 1967-,  molti solidi interlocutori. Fra le sue amicizie intellettuali si possono citare: Mario Apollonio, Fausto Melotti, Lucio Fontana, Bruno Zevi, Gio Ponti, Padre Costantino Ruggeri, Monsignor Pier Giacomo Grampa. Con quest’ultimo, vescovo di Lugano, nato anch’egli a Busto Arsizio, nasce un sodalizio che porta Castiglioni oltreconfine e che merita maggiori approfondimenti. La fiducia di Grampa nell’architetto lo conduce, in un primo tempo, ad affidare proprio a Castiglioni il progetto per la chiesa di Santa Lucia di Massagno in Canton Ticino, successivamente assegnato al luganese Alberto Finzi che eseguirà la completa rivisitazione dell’edificio. L’architetto bustocco, nei primi anni ’60 elabora comunque un progetto che non viene realizzato, divide verticalmente in due l’ampio spazio della chiesa degli anni ’30 per ritagliare uno spazio in cui conservare resti e documenti dell'antica costruzione cinquecentesca limitrofa demolita. La parte superiore sarebbe stata dedicata al culto.

Senza un’adeguata consapevolezza del valore architettonico di Enrico Castiglioni il futuro di quanto ancora è rimasto della sua opera, disseminato nella provincia di Varese, è inevitabilmente a rischio di rovina. La semplicità dei sistemi strutturali e l’utilizzo prevalente di un unico materiale costruttivo (calcestruzzo armato) sono al tempo stesso la base di una cifra stilistica riconoscibile ma anche punto debole per la conservazione. Recenti e anche drammatiche esperienze legate a quello strutturalismo italiano a cui si faceva riferimento in apertura (Nervi, Daneri, Morandi, …) portano a pensare che la produzione dell’architetto bustocco possa essere a rischio sia nella sua consistenza materiale sia di oblio culturale a causa della incomprensione dei suoi principi fondativi.8

 

Note:

I. M. Castiglioni, L’architettura di Enrico Castiglioni, in AA.VV., Enrico Castiglioni. I simboli, i significati in un percorso d’arte tra passato e futuro, La famiglia bustocca, Busto Arsizio 2001, pp. 19-24.

2. I. Giannetti, «Structural fantasies» in 20th century architectural heritage: The forgotten works of Enrico Castiglioni, in «Tema: Technologies Engineering Materials Architecture», n.2, 2020. Giannetti sostiene che la progettazione degli elementi su misura impiegati nella costruzione rivelano un approccio puro e artigianale, fondato sulla vicinanza degli abili artigiani del territorio di confine.

3. Le indicazioni di Castiglioni, in particolare per l’uso del pilastro tripode, vennero poi prese in considerazione da Nervi e dagli altri progettisti premiati al concorso. R. Musatti, Concorso Nazionale per la Stazione di Napoli, in «L’Architettura.Cronache e Storia», n. 1, maggio – giugno1955, p.27. A tal proposito si veda anche l’articolo di C. di Falco, Nervi, Vaccaro, Perilli: la stazione Centrale, in G. Bianchino, D. Costi (a cura di), Cantiere Nervi. La costruzione di una identità. Storie, geografie, paralleli, Skira Milano, Csac Parma 2012.

4. Cfr. K. Accossato, Il segno dei tre: Enrico Castiglioni, Carlo Moretti, Vittorio Introini, (pp. 190-197) in L. Crespi (a cura di), Atlante delle architetture e dei paesaggi dal 1945 a oggi in Provincia di Varese. 200 luoghi da non perdere, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano, 2023, pp. 190-197. Nel testo sono state approfondite anche figure come Luigi Vermi e Luciano Brunella che fecero una brillante carriera soprattutto a Varese.

5. E. Castiglioni, Il significato dell’architettura e altri scritti, Dieffe, Milano 2000, p. 156.

6. Con una capacità di prevedere l’inarrestabile sviluppo delle tecnologie informatiche  - che non lasciavano ancora vedere gli utilizzi che si sono diffusi dopo la sua morte nel 2000 -, Castiglioni scrive: «Dovremo forse riferirci ad  un modello di città che non avrà alcun riferimento alle utopie degli urbanisti del recente passato  e tanto meno orientato verso le fantascientifiche megastrutture ipotizzate dai futurologi ma che, accanto a qualche vestigia della passata cultura (…) si identificherà piuttosto con un sistema composito di connessioni infrastrutturali  (sistemi  di trasporti e traffico, reti tecnologiche), di relazioni telematiche (sistemi di trasmissione interagenti), che distribuendo ovunque (…) la «cosiddetta qualità urbana», minimizzerà e «circoscriverà» i luoghi fisici e le connotazioni spaziali in cui tradizionalmente l’«effetto città» tendeva ad esprimersi:  una città intesa come «un sistema virtuale», non traducibile in significative espressioni tridimensionali,  incapace [di] una comprensione e valutazione di tipo formale-percettivo». E. Castiglioni, Città di ieri, città di domani, in «Acanto», n.2, 1997.

7. R. Monti (Tesi di laurea, relatore P. Bossi), Il valore espressivo della struttura nell’opera di Enrico Castiglioni, Politecnico di Milano, AA. 2021-22, p. 386. La tesi riporta una vasta antologia delle opere più significative di Castiglioni. Tra il 1976 e il 1979 Castiglioni prestò consulenza all’Ufficio Pianificazione Territoriale della provincia di Varese e l’anno successivo fu anche membro della commissione italo-svizzera per lo studio dell’apertura del nuovo valico a Ponte Tresa.

8. Le immagini che illustrano questo articolo, reperite dall'autrice, provengono dall'Archivio Castiglioni, oggi depositato presso gli Archivi storici del Politecnico di Milano.