dueA ar­chi­tet­ti: «Il gio­va­ne ar­chi­tet­to fa an­co­ra pau­ra»

Qual è la situazione dei concorsi in Svizzera? Danno il dovuto spazio agli studi emergenti? Come potrebbero essere migliorate le procedure e che contributo danno alla Baukultur? Nell'ambito di una grande inchiesta nazionale, espazium.ch lo ha chiesto a studi giovani che negli ultimi sei anni si sono distinti in concorsi. La testimonianza di Silvia Barrera Meili e Lorenzo Fraccaroli, titolari dello studio dueA architetti.

Publikationsdatum
02-06-2021

espazium – Come descrivereste la situazione dei concorsi d'architettura nella Svizzera italiana?

Silvia Barrera Meili e Lorenzo Fraccaroli – Negli ultimi anni assistiamo a un impegno maggiore nell’elaborazione di concorsi: riconosciamo gli sforzi di enti banditori e addetti ai lavori, e ovviamente in ogni occasione tanti progettisti partecipando dimostrano il loro impegno competente e le loro speranze. Ovviamente si tratta di processi molto complessi e sempre in evoluzione; il risultato è sempre considerabile un successo di per sé, ma siamo consapevoli che talvolta, nonostante gli ingenti sforzi di organizzatori e partecipanti, è possibile che qualcuno resti con l’amaro in bocca.

«Forse la paura del giovane architetto è ancora molto presente. Bisogna sperare che i committenti arrivino a sentirsi sicuri di poter godere sì delle visioni delle nuove generazioni, ma anche di professionalità concreta»

Pensate che i concorsi diano spazio sufficiente ai giovani architetti? 

Riteniamo evidente che oggi l’argomento sia ben sentito da tutte le parti: ci sono tentativi in questo senso, ma forse la paura del giovane architetto è ancora molto presente, nonostante ci siano molti esempi di progettisti giovani che hanno saputo garantire competenza ed eccellenza nella realizzazione di concorsi vinti. Bisogna ancora sperare in qualche sforzo di fiducia, in modo che i committenti si sentano più liberi di aprire le procedure, sicuri di poter godere sì delle visioni delle nuove generazioni, ma anche di professionalità concreta. 

Dall'archivio: La ca­sa per an­zia­ni a Ca­sla­no di dueA ar­chi­tet­ti

Come scegliete a quali concorsi partecipare? Avete già preso parte a concorsi fuori cantone o internazionali? 

In genere, per collegarci alla domanda precedente, cominciamo a selezionare i concorsi nei quali, con il nostro storico progettuale, saremmo ammessi. Quando abbiamo la possibilità di partecipare, ci facciamo affascinare dal tema e dal luogo: solitamente le realtà più complesse e apparentemente castranti ci stimolano molto. Abbiamo tentato qualche esperienza in Svizzera interna, ancora nessuna all’estero.
 

Ritenete che il concorso stimoli la sperimentazione? 

Il concorso è di per sé sperimentazione: ogni partecipante sperimenta sé stesso all’interno del proprio team di lavoro; ma siamo anche convinti che il concorso si possa definire esercizio di sperimentazione proprio nei variegati risultati delle tante proposte diverse. Il confronto e l’analisi approfonditi fanno sì che la procedura del concorso abbia un senso. A questo proposito, talvolta siamo dispiaciuti che ai partecipanti manchi una reale visione di come si sono svolte le giurie. Si riceve un risultato delle classifiche finali e alcune motivazioni delle scelte, ma sappiamo bene che il feedback spesso non è esaustivo e non permette di comprendere appieno il lavoro svolto durante le sessioni di valutazione; in quel frangente i giurati fanno davvero sperimentazione. 

«Il concorso è di per sé sperimentazione: ogni partecipante sperimenta sé stesso all’interno del proprio team di lavoro. E anche i giurati, quando si riuniscono, fanno davvero sperimentazione»

A vostro parere le procedure di concorso vanno trasformate o modificate? Se sì, come?

Siamo estremamente consci del grande lavoro che sta dietro alla preparazione del concorso: prima bisogna analizzare nel profondo le esigenze del committente, poi si passa alla scelta della procedura e alla stesura del programma. È un lavoro immenso, con grande impiego di energie anche economiche. Per questo è necessario tutelare gli investimenti fatti garantendo il più possibile il risultato finale. Spesso questa volontà di fare bene porta con sé delle scelte selettive che sono un po’ contrarie all’idea poetica del concorso che, secondo noi, si fonda sull’apertura verso chiunque abbia qualcosa da dire attraverso la sua analisi e il suo progetto. Ogni architetto formato di per sé dovrebbe avere questa opportunità: per sé stesso, ma soprattutto per il risultato che si può ottenere da questa apertura intellettuale. 

Detto questo, è interessante vedere che i bandi dei concorsi di progettazione sono sempre più approfonditi e ben strutturati; la CAT sta lavorando assiduamente per fornire uno strumento base che possa impostare i programmi di concorso in modo da risultare completi e con delle linee guida riconoscibili. Anche l’attenzione all’eterogeneità delle giurie è importante: il partecipante necessita la propria ma anche l’altrui valutazione, in modo che il processo del concorso sia una crescita collettiva. L’obiettivo di un concorso ben riuscito non è solo l’individuazione della proposta progettuale migliore, ma anche – e soprattutto – il confronto tra i diversi modi di interpretare un luogo e le necessità dichiarate dal committente. 

Lo studio dueA architetti, fondato nel 2015 da Silvia Barrera Meili (1979) e Lorenzo Fraccaroli (1978), ha sede a Lugano.

Attualmente ha partecipato a nove concorsi, ottenendo premi in due:

Questa intervista appartiene a una serie raccolta nel dossier digitale «Concorsi». Il dossier viene sviluppato contemporaneamente anche in francese e tedesco.

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