Il ram­men­do del­le pe­rife­rie

G124 Renzo Piano 2020

Il progetto G124_Renzo Piano nasce nel 2014 con l'intento di portare bellezza nelle periferie, premurandosi, durante tutto l'arco dei lavori, di conoscere e implementare il tessuto sociale che le abita. Perché per recuperare tali spazi occorrono progetti partecipati che attraverso un intenso lavoro sociale siano inclusivi e attenti alle specificità locali.

Publikationsdatum
28-08-2021

Il tema dello spazio pubblico sarà sempre più centrale nella rigenerazione delle periferie. Gli anni trascorsi dal 1970 ad oggi hanno visto in Italia una focalizzazione della progettazione verso l’architettura pubblica rispetto allo spazio pubblico. Sono stati realizzati numerosi spazi commerciali, risanati i centri storici e ampliati i quartieri residenziali canalizzando le risorse su nuove lottizzazioni che ampliassero i perimetri cittadini. Le periferie, cariche di industrie, sono state lentamente abbandonate e le abitazioni nate per rispondere al bisogno di alloggi della classe operaia dimenticate, cadendo in un rapido degrado. Quelle aree residenziali realizzate negli anni dell’industrializzazione e mai realmente completate hanno mantenuto la separazione dai centri cittadini sia fisica che sociale caratterizzandosi per una fatiscenza delle strutture, mancanza di servizi e trasporti pubblici insufficienti.

Come sappiamo, negli ultimi anni una tendenza alla sostenibilità che predilige la rigenerazione di aree dismesse rispetto alla nuova costruzione, ha fatto sì che le periferie, luogo per eccellenza dell’abbandono, tornassero al centro degli investimenti. Grandi complessi ex-industriali stanno lasciando il posto a nuove lottizzazioni dimenticando il fortissimo tessuto sociale che vi risiede nonché la storia di questi luoghi. Sempre più spesso in Europa e nel Mondo la parola rigenerazione ha dato adito ad accesi dibattiti e proteste, identificandola immancabilmente come uno strumento di invasione e distruzione delle comunità residenti, radicate nel tessuto periferico e testimonianza esse stesse della resilienza di questi luoghi. In molti casi infatti la carenza di servizi delle periferie è stata sostituita da una più fitta rete sociale di aiuto e sostegno reciproco. Gli spazi esterni sono stati progressivamente adattati a spazi pubblici di gioco e svago creando vere e proprie comunità di quartiere, lontane dai canoni della vita cittadina ma altrettanto vitali, un immenso panorama sociale radicato nelle periferie che doveva essere preservato e studiato. La periferia nella sua breve durata aveva infatti costruito una sua storia direttamente legata ai bisogni sociali dei fruitori, luoghi a misura d’uomo, creati sulle macerie di un passato industriale e di edilizia fiorente caduta in rovina.

Dopo anni di tentate politiche di recupero, oggi siamo consapevoli che non basta più la mera ristrutturazione di palazzine popolari, né un puntuale potenziamento dei trasporti per recuperare le periferie. Occorrono progetti partecipati che attraverso un intenso lavoro sociale siano inclusivi e pensati per rispondere alle esigenze strettamente locali. In questo contesto sono nati numerosi progetti di volontariato e «rigenerazione consapevole» in cui piccoli gesti dal basso hanno permesso una crescita sociale basata sullo stile di vita delle comunità residenti. Progetti che includono l’ampliamento dei servizi, la riconnessione sociale e una progettazione condivisa degli spazi pubblici (tactical urbanism), generalmente realizzati in autocostruzione ed autofinanziati. Capita però che queste piccole azioni non siano sufficienti al recupero di interi quartieri. In alcune città capoluogo italiane come Roma, Milano, Napoli e nelle grandi capitali europee, le periferie non sono soltanto un margine cittadino ma un vero e proprio organismo autonomo, dividendosi esse stesse in aree più e meno degradate. Dalle sperimentazioni degli ultimi anni abbiamo potuto constatare che la progettazione dal basso può e deve essere il motore iniziale della rigenerazione, ma è necessario supportare il cambiamento con politiche di salvaguardia e ripensamento di intere aree di città andando a «fecondare con funzioni catalizzanti questo grande deserto affettivo».1

G124_Renzo Piano nasce nel 2014 con questi presupposti: la vocazione di portare bellezza nelle periferie, premurandosi, durante il periodo di progettazione, di conoscere ed implementare il tessuto sociale che vi risiede. «Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee».2 Così Renzo Piano commentava nel 2014 il suo lavoro sul rammendo delle periferie, tematica sempre più attuale e che presto sarà sotto i riflettori anche in risposta all’emergenza Covid-19.

Nelle periferie italiane risiedono infatti 15 milioni di cittadini e i dati confermano una crescita esponenziale nella richiesta di alloggi conseguente il periodo di pandemia che stiamo vivendo. La necessità di spazi aperti e maggior distanziamento sociale ha portato a desiderare abitazioni con giardini privati e possibilità di brevi camminate all’aria aperta, oltre a dimensioni dell’abitazione più adeguate al lavoro da remoto. Molti abitanti si stanno spostando dai centri città verso le periferie con un conseguente intensificarsi delle opere di rigenerazione architettonica. Viene da chiedersi come riusciranno le periferie a rispondere al crescente bisogno di spazi pubblici a servizio dei cittadini.

Gli spazi pubblici in periferia non hanno subito negli anni la cura e la manutenzione necessari: i parchi incolti sono diventati luoghi di spaccio e rifugi per malavitosi mentre le piazze abbandonate hanno perso la loro valenza sociale. Occorre considerare inoltre che esiste una sottile distinzione tra gli spazi pubblici di periferia e quelli di città. Lo spazio pubblico cittadino viene rappresentato generalmente come una piazza, un portico, un giardino, uno spazio sempre circoscritto, dove il limite tra pubblico e privato è sottolineato dal tessuto urbano e dalla presenza di cancelli e separazioni che ne identificano il perimetro. Esso è funzionale al bisogno di stare all’aria aperta in città, per un pranzo su una panchina o una corsa ai giardini pubblici: sono spazi facili da raggiungere e frequentati negli stessi orari di attività della città, percepiti come sicuri e costantemente sorvegliati. Gli spazi pubblici di periferia al contrario sono per definizione più vicini all’area rurale, più difficili da raggiungere e utilizzati principalmente dagli abitanti del quartiere. Purtroppo questi spazi si caratterizzano spesso per essere inutilizzabili: esistono le piazze ma non i marciapiedi per raggiungerli, esistono campi da calcio ma non le righe per giocarvici, esistono i parchi ma non le panchine per leggere un libro. È esemplificativo il fatto che quando si parla di rigenerazione degli spazi pubblici in periferia si parli spesso di “cantiere diffuso”, perché non esistono aree puntuali di degrado ma una carenza generalizzata di cura dei luoghi. Non stupisce quindi che i cittadini si spostino fuori città piuttosto che visitarli, lasciando gli spazi pubblici periferici ai residenti che li conservano nei limiti delle loro risorse. Il parco diventa così il “cortile” di quartiere in cui incontrare gli amici, giocare e coltivare le aiuole; esso perde il suo valore pubblico per diventare uno spazio condiviso dalla comunità. La funzione di un parco, piazza e strada di periferia è quasi domestica, è ammissibile vedere sedie e tavoli portati dai residenti per creare momenti di incontro, proprio come se fosse un luogo privato. Gli spazi pubblici agiscono da catalizzatori del tessuto sociale di quartiere e sarebbe oltremodo dilettantistico non considerarlo nella progettazione. In questi termini il lavoro del G124 è fondamentale per individuare le potenzialità dei vari quartieri e lavorare sul loro recupero, con piccoli cantieri dal basso, un'agopuntura urbana sui luoghi vitali della periferia. Le periferie vanno infatti trattate con delicatezza, per preservare la loro indole semplicemente umana.

Visitando le periferie ci si può accorgere immediatamente dei numerosi eyes on the street di Jane Jacobs, così come si possono notare i bambini lasciati a giocare nelle strade senza traffico, riportandoci alla mente le immagini di Nigel Henderson dei sobborghi londinesi, da cui numerosi architetti si sono ispirati per ridefinire gli spazi urbani nel dopoguerra. Questi spazi pubblici, oggi come allora, sono il vero tema della periferia, il luogo di incontro in cui fare comunità, e dove la definizione di chiare centralità di quartiere è fondamentale per la lotta al degrado, una necessità spesso constatata solo da chi le periferie le ha vissute e le progetta da anni. Non è un caso che il tema di progetto G124 2020 siano le aree verdi periferiche, per il quale Renzo Piano ha affiancato ai gruppi di progettisti il famoso neuro-biologo Stefano Mancuso. Come suggerisce Piano, «serve una cintura verde che definisca con chiarezza il confine invalicabile tra città e campagna»,3 e questo verde deve risiedere nelle periferie ora identificate come grigie e inospitali. I parchi di quartiere sono un luogo strategico in questo senso. Creare spazi accoglienti in cui l'eco-sostenibilità possa andare di pari passo con nuove offerte culturali è di vitale importanza per rendere le periferie nuovamente attrattive portando giovamento all'intera città.

Lo scopo del progetto G124 è ricucire quel lembo di tessuto periferico troppo spesso stigmatizzato come degradato e grigio. Le tre università selezionate per l’anno 2020 sono state chiamate a realizzare interventi di rigenerazione nelle città di Padova (Parco dei Salici), Modena (Parco XXII Aprile) e Palermo (ZEN) con progetti dal basso, capaci di cogliere le peculiarità dei quartieri periferici impegnandosi ad intervenire sulle aree verdi. Il progetto G124 non mira a grandi realizzazioni ma a piccoli progetti, realizzati insieme ai cittadini. L’architetto Piano si è premurato spesso di ricordarci l’importanza di individuare dei «portatori di interesse» così come dei «futuri custodi» del progetto che potessero sostenerci con consigli e critiche, e che grazie all’affezione nata potessero custodirlo dopo la conclusione dei lavori. Scopo del programma G124 è infatti innescare con il proprio lavoro un circolo virtuoso di azioni di recupero, e i progetti realizzati vogliono lasciare «una prima piccola goccia di rammendo» auspicando che «se le gocce sono giuste e tante si può fare un mare».4

Dall'archivioIntervista a Matteo Agnoletto, capogruppo del progetto per la riqualifica del Parco XXII Aprile di Modena.

Con il progetto al Parco XXII Aprile a Modena abbiamo trovato già dai primi sopralluoghi una fortissima presenza sociale. Rappresentato dalla cronaca come sede di spaccio e microcriminalità, è apparso fin da subito molto vitale, con associazioni attive su tutta l’area in diversi ambiti: sociale, sportivo, culturale, con attività per giovani, anziani e famiglie in un clima di totale integrazione multiculturale. Consci della reputazione di luogo pericoloso e inavvicinabile, abbiamo basato la strategia di intervento sul cambiamento della narrazione del parco, amplificando i valori sociali che vi risiedono. Malgrado l’inizio della pandemia quasi in concomitanza con l’inizio del programma, siamo riusciti a contattare numerosi cittadini e associazioni del quartiere avviando con loro una progettazione partecipata a distanza con riunioni e raccolta di testimonianze in video conferenza. Ne è emerso un bisogno complessivo di rinnovamento del parco, abbandonato e mai più realmente manutenuto nelle sue numerose strutture degli anni Settanta. Sorprendentemente, però, quasi in modo inversamente proporzionale, il declino del parco aveva portato alla formazione di numerosissimi gruppi e singoli individui interessati alla sua cura, vere e proprie organizzazioni dal basso che negli anni hanno concretizzato molte idee: l’apertura di un bar, la sistemazione del verde, piantumazione delle aiuole, sistemazione di panchine e giochi, oltre alla formazione di gruppi multietnici di studio, gioco, danza e tempo libero. Le 15 associazioni, prime promotrici dei progetti sul parco, sono attive su vari fronti per attirare sempre più cittadini modenesi con iniziative ed eventi coinvolgenti. Già dalle prime riunioni si sono dimostrate entusiaste collaboratrici per la sistemazione delle aree più degradate, simbolo della complicità e dell'interesse rivolti al parco come spazio pubblico. L’energia di questi «portatori di interesse» ci ha coinvolto e spinto a credere sempre di più nel programma di lavoro che partendo dalle loro suggestioni si è concretizzato presto nella proposta progettuale.

Inizialmente abbiamo analizzato il parco e le sue numerose funzioni. Parco XXII Aprile è infatti il terzo parco più grande di Modena, ma rimane sconosciuto ai più, a causa della pessima nomea per la quale viene solitamente scartato dalle mete cittadine. Il parco è baricentrico rispetto al quartiere Crocetta che lo rende amatissimo e molto vissuto dai residenti. Gli interventi puntuali eseguiti negli anni rendevano il parco sconnesso e disorientante, rendendo necessaria l’identificazione di una nuova centralità che andasse a ordinare le numerose attività con strutture di sostegno. È stato progettato un grande vuoto di forma circolare, una radura, definita dall’architetto Piano «una stanza a cielo aperto», circoscritta da un nuovo bosco realizzato con alberature autoctone. Tangente a questo vuoto centrale si colloca un padiglione, un riparo aperto e fruibile a tutte le ore per attività ed eventi al coperto. Il padiglione, delle dimensioni di 15 metri di lunghezza per 7 di profondità e 6 in altezza, sarà realizzato interamente in legno con carpenteria e controventi metallici. La struttura è costituita da 4 moduli accostati con una copertura lignea in listelli verticali fino a metà altezza, risultando leggero ed effimero come le chiome degli alberi, con cui si fonde su tre lati. Un intervento delicato, che non si impone nella natura del parco ma diventa parte di essa quasi mimetizzandosi. All’ombra delle chiome degli alberi verrà realizzato un lungo tavolo, anch’esso fortemente richiesto dalla comunità e per questo definito «il convivio» simbolo del ritrovo e della domesticità. Va a completare il progetto un’opera d’arte site-specific, realizzata insieme all’artista internazionale Edoardo Tresoldi, che monumentalizza la socialità del parco con una struttura effimera in rete metallica, materiale caro all’artista. La forma è quella di un portale monumentale completato da una seduta, un piccolo gesto che vuole diventare parte del parco, integrandosi con la vegetazione circostante e creando un legame con i fruitori che quotidianamente vivranno questi luoghi.

L’influenza del progetto G124 è stata visibile fin da subito. La risonanza che ha avuto nella città di Modena ha fatto avvicinare numerosi cittadini incuriositi dal progetto e le notizie di cronaca sul parco sono iniziate a cambiare. Un motore importante di questo processo sono stati sicuramente i bambini. Lavorando con le scuole del quartiere abbiamo coinvolto gli studenti delle scuole elementari nella piantumazione degli alberi, proponendo loro di adottare un albero a testa tra quelli del progetto. Questo ha creato un nuovo sentimento di affezione al progetto che ha coinvolto presto anche le loro famiglie. Negli ultimi incontri sono stati i genitori stessi a confessarci di venire al parco con i figli appositamente per visitare i loro alberi, un legame affettivo che ha amplificato l’effetto catalizzatore che il progetto architettonico da solo non avrebbe potuto avere.

In conclusione, l’analisi del quartiere Crocetta e del parco ha fatto emergere un quadro analogo a molte periferie emiliane e italiane. Innanzitutto l'isolamento di queste aree, posizionate tra tangenziali e ferrovie, limita la fruizione degli spazi pubblici, necessitando di nuovi percorsi di mobilità lenta che promuovano le periferie come connessione ideale tra città e campagna. In seconda battuta l’obsolescenza dei blocchi residenziali tipici delle periferie, privi dei comfort necessari e di spazi esterni privati, spinge i residenti a vivere più intensamente lo spazio pubblico; un processo da sostenere con la rigenerazione di piazze e parchi di quartiere di qualità che favoriscano l’integrazione e siano attrattivi per i cittadini, incoraggiandone la ripresa. Infine un andamento demografico, che in questi quartieri ha una propensione all’immigrazione e alla rotazione abitativa, una temporaneità del flusso residenziale che rende la storia sulla quale si fondano gli spazi pubblici completamente inconsistente perché non tramandata, così come la cura degli stessi ignorata e deturpata. A Modena abbiamo incontrato numerosi operatori attenti alla salvaguardia del parco come luogo della comunità, ma è inutile negare che ci siano stati anche numerosi cittadini frustrati e polemici rispetto alle condizioni del quartiere e alla possibilità di ottenere risvolti positivi con il progetto. È innegabile che alcune aree siano degradate, ma consci delle ragioni storiche e gestionali che l’hanno generato, occorre intervenire con progetti a sostegno dei cittadini per promuovere la bellezza delle periferie salvaguardandone la storia e dandole continuità.

«Qualcosa noi del G124 abbiamo fatto: si tratta di piccoli interventi di rammendo che possono innescare la rigenerazione anche attraverso mestieri nuovi, microimprese, start up, cantieri leggeri e diffusi, creando così nuova occupazione. Si tratta solo di scintille, che però stimolano l’orgoglio di chi ci vive. Ci vuole l’amore, fosse pure sotto forma di rabbia, ci vuole l’identità, ci vuole l’orgoglio di essere periferia».5


Note

  1. R. Piano, Il rammendo delle periferie, «Il Sole 24 ore», 26 gennaio 2014.
  2. Cfr. la pagina dedicata al progetto per Crocetta, Modena, nel sito del G124.
  3. Ibidem
  4. Renzo Piano: Il lavoro del G124 presentato al Senato, «Professione Architetto», 2 dicembre 2019.
  5. Testo tratto da PERIFERIE 1 – Diario del rammendo delle nostre città, 2014, e disponibile online sulla pagina del G124.

«Archi» 4/2021 può essere acquistato quiQui si può leggere l'editoriale con l'indice del numero.

Verwandte Beiträge