Toc­ca­re il fon­do

Publikationsdatum
15-09-2022
Gabriele Neri
Dott. arch. storico dell'architettura, redattore Archi | Responsabile della rubrica 'Paralleli' per Archi

In uno dei suoi migliori racconti – The Swimmer, pubblicato sul «New Yorker» nel 1964 – il grande scrittore americano John Cheever descrive un originale viaggio attraverso la suburbia americana. La peculiarità dell'impresa, lunga una quindicina di chilometri, è che non si svolge a piedi o in automobile ma a nuoto: il protagonista – Neddy Merrill, uomo di mezza età apparentemente ricco e felice – punta infatti a traversare «quella catena di piscine, quel corso d'acqua quasi sotterraneo che si snodava attraverso la contea». Dall'ebbrezza iniziale per la performance atletica, favorita da qualche gin tonic, l'esperienza si tramuta rapidamente in un confronto introspettivo con il proprio fallimento familiare ed esistenziale che riaffiora bracciata dopo bracciata, nel blu artificiale di piscine sempre più difficili da guadare. Infatti, se le prime si dimostrano perfette come un dipinto di David Hockney, presto Ned troverà vasche malandate o addirittura prosciugate, come quella della famiglia Welcher, spia di un decadimento che dovrà presto affrontare.

Il racconto di Cheever ci viene in mente al cospetto della piscina vuota fatta costruire dal duo di artisti Elmgreen & Drag­set per la mostra Useless Bodies? alla Fondazione Prada di Milano, dedicata al ruolo del corpo nella società contemporanea (e per questo fortemente «architettonica»). La tesi di partenza è la perdita di centralità della presenza fisica nell'era post-industriale, ormai sostituita dal predominio dello schermo, specie in un mondo del lavoro ormai digitalmente delocalizzato che da tempo provoca – con un picco nel buio della pandemia – lo svuotamento degli uffici e di intere zone delle nostre città. Per simboleggiare tale condizione, gli artisti hanno allestito un ufficio deserto, sempre negli spazi della Fondazione Prada, intitolato Il Giardino dell'Eden, sospeso tra squallido anonimato e un'inaspettata limpidezza geometrica – quella delle alienanti postazioni standardizzate – che paradossalmente vuole richiamare la scultura minimalista del Novecento. Concepita prima dell'avvento del Covid e messa in scena dopo il ritiro – speriamo permanente – dell'onda pandemica, quest'opera trasforma l'ufficio da prigione postmoderna (il panopticon fatto di cubicles del film Mon Oncle di Jacques Tati) a Monumento al Lavoro al Computer e ai suoi milioni di caduti.

Liberati dal fardello della presenza fisica e del cartellino da timbrare, saranno dunque tutti fuggiti in posti migliori? La piscina abbandonata di Elmgreen & Dragset, come quella di Cheever, accenna a tutt'altro destino. Dovrebbe fare riferimento a un settore come l'industria del benessere (fitness, tempo libero, chirurgia estetica, salute), e quindi diventare una sorta di contemporanea fonte della giovinezza (tema su cui hanno insistito molti pittori, come Lucas Cranach il Vecchio nell’immagine che riportiamo qui), in cui il corpo – come beneficiario o come vittima – rimane al centro. Tuttavia, svuotata dall’acqua, la vasca perde ogni potere taumaturgico, diventando il frammento degenerato di un mondo ormai privo di vita. Qualche indizio, depositato sul fondo della piscina, ci parla del nostro tempo: una mascherina chirurgica richiama il presente pandemico; manciate di terra arida sono segno di desertificazione; il tappo gettato di una borraccia sembra alludere alla siccità di questa estate. Da teatro di edonismo e spensieratezza, riproduzione addomesticata dell'oceano, oasi salvifica dalla canicola estiva, la piscina di Prada diventa la rappresentazione di un dramma in corso, l'ennesimo palcoscenico di un'epocale trasformazione del mondo che sta avvenendo davanti a noi. La domanda è banale ma sempre più inevitabile: a che punto della traversata riusciremo – anche noi architetti e ingegneri – ad aprire gli occhi?

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