Char­lotte Per­riand a Pa­rigi

Une vie de Liberté

Nella sua opera ha sempre unito funzionalità e arte, creando icone della storia del design. Di sé stessa diceva: «Ma vocation: créer»; ora la Fondation Louis Vuitton le dedica un'ampia retrospettiva.

Date de publication
04-12-2019
Gabriele Neri
Dott. arch. storico dell'architettura, redattore Archi | Responsabile della rubrica 'Paralleli' per Archi

La fotografia più nota di Charlotte Perriand (1903-1999) è quella che la ritrae sdraiata sulla famosa chaise longue basculante, progettata insieme a Le Corbusier e Pierre Jeanneret. La giovane finge di dormire, voltando la testa all’osservatore; le linee del suo corpo entrano in risonanza con le curve del tubolare metallico scintillante, proiettando un’ombra scura sulla parete di fondo. Al collo ha una collana fatta di cuscinetti a sfera, da lei realizzata come piccolo manifesto portatile dell’auspicata fusione di arte e industria.

Siamo nel 1928, Charlotte ha 25 anni. L’anno prima ha aperto il suo atelier e cominciato a collaborare con il maestro svizzero, che ha 16 anni più di lei. Le Corbusier, per cui disegnerà arredi per la Villa Savoye, la Villa Church, la Cité du refuge de l’Armée du Salut e il Pavillon Suisse, sarà allo stesso tempo la luce e l’ombra della sua successiva fama. Molto spesso, specie fuori dalla Francia, il nome della Perriand sarà infatti citato solo insieme al suo o a quello di altri (vedi Jean Prouvé), tralasciando una densa carriera che per fortuna da diversi anni è giustamente valorizzata. Nel 2005, sei anni dopo la sua scomparsa, fu il Centre Pompidou a consacrarne il genio; oggi invece lo fa la Fondation Louis Vuitton, con una grandiosa esposizione aperta fino a febbraio 2020.

È la prima volta che l’edificio sghembo disegnato da Frank Gehry nel Bois du Boulogne, aperto nel 2014, viene interamente dedicato a un unico soggetto. Ma Charlotte Perriand – grazie ai curatori Jacques Barsac, Sébastien Cherruet, Gladys Fabre, Sébastien Gokalp e Pernette Perriand-Barsac – non fa fatica a riempirlo, in un percorso cronologico e tematico che ne ripercorre la carriera attraverso oltre 400 opere.

L’esposizione comincia con la rottura verso il passato in nome della modernità, ben espressa dalla serie di arredi in acciaio cromato inventati per il suo studio di Saint-Sulpice del 1927 (come il Fauteuil pivotant B302). In quegli anni giovanili sono molti i contatti e le collaborazioni con altri artisti, di cui la mostra offre diverse opere: ad esempio la Nature morte (Le Mouvement à billes), del 1926, di Fernand Léger, tela che ritrae anche una collana in «perle» d’acciaio uguale a quella di Charlotte, esposta di fianco. Con Léger, la giovane condivide la passione per l’art brut e diversi progetti: il Pavillon de l’Agriculture del 1937, le mostre in Giappone, alla Triennale di Milano ecc.

Se l’incipit celebra la spinta progressista dell’industria, la seconda galerie svela invece il complementare legame con la natura che Charlotte Perriand coltivò negli anni Trenta. Lo si vede, in chiave critica, nel grande collage (16 × 3 metri) intitolato La grande misère de Paris, che condanna le pessime condizioni abitative della capitale (in cui il contatto con la natura è perduto), così come – in chiave propositiva – nel progetto della Maison du jeune homme (1935) e nelle prime forme organiche, che escono dalla sua mano, come il Résidu de fonte,
del 1933.

Al piano superiore, la mostra affronta invece la contaminazione culturale e ­
artistica avvenuta in paesi lontani. La Perriand era una grande viaggiatrice: fu influenzata dall’Indocina, dal Brasile e in maniera particolare dal Giappone, dove fu invitata nel 1940 con lo scopo di orientare la produzione del paese nel campo delle arti applicate. Lì presentò un’esposizione chiamata Sélection, Tradition, Création, in cui venivano valorizzate le potenzialità dei materiali tradizionali (come il bambù) e delle culture locali. L’influenza fu insomma duplice: del Giappone sulla sua visione artistica, e di Charlotte sulla successiva generazione di designer nipponici.

Finita la guerra, parteciperà attivamente alla ricostruzione, specie studiando il tema dell’alloggio minimo, ad esempio nei progetti per camere per studenti della Maison du Mexique (1952) e della Maison de la Tunisie (1952), così come nella celebre cucina aperta della Unité d’habitation di Marsiglia, prodotto industriale che rileggeva i modelli d’anteguerra (vedi la Cucina di Francoforte) in maniera innovativa e più integrata con il resto della casa.

Funzionalità e arte rimangono sempre connessi: nella maggior parte dei progetti la Perriand coinvolge infatti i suoi amici artisti, convinta che la ricostruzione sia fisica ma soprattutto morale. Emblematica, a tal proposito, è la ­mostra organizzata a Tokyo nel 1955, in cui Charlotte mette in scena una Pro­position d’une Synthèse des Arts insieme a Corbu, Léger, Hans Hartung e Pierre Soulages, dimostrando la sua tesi principale: la dissoluzione dei confini tra le varie discipline, e perciò anche tra arti e vita.

La mostra parigina colpisce per la quantità di opere esposte, non solo ­della Perriand (ci sono capolavori di Corbu, Léger, Hartung, Soluanges, Picasso, Miró, Calder, Lipchitz, Braque, Henri Laurens, Noguchi, Delaunay, ­Teshigahara ecc.), che ci restituiscono quel principio di sintesi delle arti inseguito per tutta la vita. A ciò si aggiungono le diverse ricostruzioni in scala ­reale di ambienti altrimenti perduti, eseguite dall’azienda italiana Cassina (che della Perriand produce molti arredi) con attenzione filologica e la sorveglianza di un comitato scientifico dedicato (Pernette Perriand-Barsac e lo storico svizzero Arthur Rüegg). Dentro alla Fon­dation Louis Vuitton si possono ad esempio visitare gli interni del Salon d’Automne (1929), dove per la prima volta furono presentati i «mitici» arredi in tubolare metallico, alcuni arredi della Maison du Jeune Homme (spazio del 1935 per «un atleta intellettuale») e della mostra Proposition d’une Synthèse des Arts (1955), dove compare (oggi riprodotta) la sua Double chaise-longue. C’è anche la ricostruzione del Rifugio Tonneau, struttura prefabbricata a forma di dodecaedro pensata insieme a Pierre Jeanneret per l’alta montagna, e quindi connubio di industria e natura. Irrealizzato, fu prodotto da Cassina nel 2012 ­come prototipo e oggi riappare a Parigi.

Attraverso la creazione di formes utiles, Charlotte Perriand diede un contributo di prim’ordine all’evoluzione di un nuovo modo di affrontare non solo il progetto, ma la vita di tutti i giorni. Donna libera, indipendente e curiosa in un mondo prevalentemente maschile, continua a stupire ancora oggi per la freschezza della sua visione: «Ma vocation: créer. Créer non seulement des formes usuelles, mon métier, mais aussi créer une forme de vie détachée des formules stéréotypées, admises en ces temps. En fait une vie de Liberté. Tout remettre en cause, mais aussi me remettre en cause au fil de ce temps qui passe, face à l’avenir qui vient».

Charlotte Perriand. Inventing a New World

Parigi, Fondation Louis Vuitton

Fino al 24 febbraio 2020

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