Pro­getto di due case uni­fa­mi­liari, Cug­nasco

Stefano Moor

Non schizzi ma modelli: in questa testimonianza Stefano Moor racconta di una progettazione che parte dal modello, "costruendo" le idee e, subito, mettendole alla prova.

Un treppiede

Amo cimentarmi con un nuovo modello, senza badare se la colla sbava – sono ossessivamente preciso –, senza sapere bene cosa sto facendo. Mi evita il blocco del foglio bianco e quegli schizzi per tenere a bada l’ansia (credo che questa storia dello schizzo come antidoto all’ansia l’abbia evocata Jacques Herzog).

I miei progetti iniziano così, con un modello di studio malfatto, raramente con un disegno. Il modello è la forma più astratta di progetto e rappresentazione.

Questo modello è diverso, qui l’aspetto ludico dell’incollare e «paciugare» non c’è, il gioco va cercato altrove. È il modello di un progetto fatto per un cliente che aveva adocchiato un terreno in forte pendenza per costruirvi la propria casa più un’altra che avrebbe dovuto vendere per finanziarsi. Non ha funzionato. E io ci ho rimesso soldi e tanto lavoro. «Fallire di nuovo, fallire meglio» (Samuel Beckett citato da Paul Auster in Una vita in parole). Ma l’impegno è ripagato, sempre: l’occasione di ragionarci ancora oggi è già una bella ricompensa. Un terreno disperato, su cui i nostri vecchi non avrebbero costruito o avrebbero costruito con sapienza in barba a certe ottuse regole di oggi. Siamo in un quartiere di villette, la città generica in pendenza. I temi erano tre: come inserirsi in questo contesto disgraziato sapendo che l’unico comun denominatore è l’autonomia di ogni edificio; come inserirsi nel pendio sfruttando le solite limitanti regole del gioco; come fare due case uguali ma diverse. Mi piace ripetermi: ogni volta è diverso. Questo progetto è una suite di altri, ma qui mi sono fatto affascinare dal treppiede. La massa della trave sospesa su tre punti, come in una sedia di Arne Jacobsen.

In realtà il progetto di origine prevedeva un treppiede per un edificio e un «quadripiede» per l’altro. Poi ho fatto costruire questo modello per un’esposizione e, posandolo e riposandolo nello zoccolo, ci ho ripensato: togli, ruoti e tutto cambia. La statica no, il linguaggio no, l’espressione sì! Eccole due case uguali, ma diverse.

Poi c’è il luogo: fare astrazione del pendio, scavare per forzare l’appoggio orizzontale e riconoscere il pendio nelle viscere. La massa riflette la luce, i pilastri incamerano le ombre. Gli appoggi sono posizionati in maniera da ricevere ognuno lo stesso carico, è una questione di baricentro: l’espressione coincide con la statica.

Il piedistallo è indissociabile dal modello, tutto solo non ha alcun significato: luogo e artificio si fondono, si realizza – finalmente – quel giusto equilibrio tra astrazione e contesto.

«Archi» 6/2020 può essere acquistato qui, mentre qui si può leggere l'editoriale con l'indice del numero.

Luogo Cugnasco
Architettura Stefano Moor, Lugano
Collaboratori G. Brenna, M. Luppi, D. Soldati
Struttura Ingegneri Pedrazzini Guidotti, Lugano
Fotografia Igor Ponti, Sorengo
Date progetto 2012-2015, modello 2015

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