Studiare il territorio
Gli architetti della nostra generazione si sono formati sullo sfondo dell’annosa diatriba tra pianificatori e architetti in merito alla «progettazione del territorio». Diatriba che si è protratta per lungo tempo e può essere illustrata citando l’editoriale di «Rivista Tecnica» 4/1993, dove Bruno Vezzoni, allora redattore responsabile per il campo dell’architettura, in concomitanza con l’inaugurazione del restauro del Convento di Monte Carasso riteneva l’occasione propizia «per porre l’accento su alcuni aspetti dell’intervento, per molti versi unico, almeno alle nostre latitudini. Innanzitutto l’aspetto legato alla pianificazione. Viviamo attualmente un momento in cui la pianificazione tradizionale viene aspramente criticata da una parte degli architetti, dimenticando troppo spesso le responsabilità passate e presenti della nostra categoria nel processo pianificatorio. Si afferma: questa pianificazione non va, ma quasi mai si propongono delle alternative concrete».1
Oggi si sta affermando un tipo di procedura che permette di superare la storica rivalità tra architetti e pianificatori: i mandati di studio paralleli (MSP), cui si ricorre sia per affrontare i grandi temi territoriali legati ai nuovi comuni aggregati (Bellinzona, Lugano e Mendrisio),2 sia per l’analisi di comparti territoriali specifici o più limitati. Poco conosciuti in Ticino fino a pochi anni fa, i MSP costituiscono una nuova via di produttiva collaborazione fra i due «fronti» che per decenni si sono trovati in forte opposizione.
I mandati di studio paralleli: una definizione
Nel Preambolo alla norma SIA 143, che ne regola l’applicazione, i MSP vengono definiti «una forma particolare di messa in concorrenza di prestazione d’architettura, d’ingegneria e di settori professionali analoghi, segnatamente la pianificazione del territorio, l’urbanistica e l’architettura paesaggistica. Essi si basano su proposte di soluzioni non anonime, elaborate tramite un dialogo diretto tra i partecipanti e il collegio di esperti. I MSP possono comprendere i mandati di progettazione o i mandati di prestazioni globali. Essi sono idonei per l’elaborazione di soluzioni che rispondono a programmi complessi, i cui termini di riferimento non possono essere stabiliti in modo sufficiente e definitivo prima del dialogo con i partecipanti».3
I MSP si utilizzano dunque, rispetto ai concorsi d’architettura, in situazioni complesse che prevedono ragionamenti su scala territoriale, ovvero quando il programma non è ancora completamente maturo, quando questi luoghi complessi non sono ancora stati esplorati e si devono verificare le relazioni fra i pieni e i vuoti, fra l’edificato e lo spazio pubblico, fra il verde e le strade, nel tentativo di individuare le misure, le quantità e i rapporti che le ordinano. Questo vale per tutti i gradi di complessità: per nuclei storici delicati nei quali, in presenza di edifici protetti, si deve intervenire con riusi o ampliamenti, per comparti industriali con edifici obsoleti o anche per terreni dove la pianificazione deve essere aggiornata, e per farlo non basta una semplice variante di Piano regolatore ma si deve provare ai cittadini, con delle progettazioni test, il potenziale del terreno e dello spazio pubblico che può esservi generato. È in questo senso che si manifesta il vero interesse dei MSP: essi permettono di negoziare e discutere lo spazio pubblico, le qualità del vuoto. «Il progetto urbano inizia dal progetto di suolo», affermava Bernardo Secchi.4
Il Preambolo della norma SIA 143 si conclude con una frase che permette di capire meglio perché abbiamo affermato che i MSP si prestino a superare la diatriba tra progettazione e pianificazione: «Il dialogo diretto durante la fase di studio permette di precisare e di completare, in modo flessibile e interattivo, i contenuti del programma al fine di identificare le soluzioni che meglio rispondono ai criteri concettuali, formali, sociali, ecologici, economici e tecnici».5 Rispetto alla pianificazione tradizionale, dunque, i MSP si incardinano sul dialogo, perseguito su vari fronti: tramite i workshop, che sono parte integrante della procedura, tramite l’interdisciplinarità richiesta ai gruppi di lavoro e tramite la messa a confronto delle ipotesi elaborate da essi, auspicata dalla Legge sullo sviluppo territoriale (LST) e in particolare nelle schede dove si consiglia l’uso dei MSP appena approvate dal Gran Consiglio.
È utile ricordare a questo punto che nel 2012, in merito alla LST, sulle pagine di Archi Paolo Fumagalli scriveva: «Legge sullo sviluppo territoriale invece di Legge sulla pianificazione: già da questo titolo se ne possono intuire le ambizioni. Perché un conto è occuparsi di pianificare, vale a dire disciplinare la destinazione e l’uso del suolo secondo prospettive di ordine e di equilibrio. Un conto invece è occuparsi di sviluppo del territorio. Il primo concetto è di ordine statico, il secondo è dinamico. Il passato e il presente ci insegnano purtroppo – e i risultati sono lì da vedere – che a fronte della virulenza degli interessi economici e delle nuove attività commerciali e del dilagare dell’urbanizzazione, il territorio è perdente. Se questo è vero, occorre allora riconoscere che con le metodiche pianificatorie attuali e con le sole regole dei Piani Regolatori se ne esce, appunto, perdenti. Occorre insomma uscire dalla crisalide di una gestione per un certo verso passiva, capace di reagire solo a posteriori e con tempi lunghi… e provare – dico provare, a fronte delle sconfitte – a fare qualcosa di ben diverso, a progettare questo territorio».6
Una guida ai MSP
A fronte di queste considerazioni, quando – in qualità di membri del comitato nonché della Commissione concorsi della Società svizzera degli ingegneri e degli architetti (SIA) Sezione Ticino – ci è stata data la possibilità di proporre un tema per uno dei numeri del 2021 della rivista Archi, nell’ambito della consolidata collaborazione tra essa e il comitato, ci è sembrato interessante e utile concentrarci sui MSP. Tanto più che ci siamo resi conto che la conoscenza di questa procedura e del suo funzionamento è ancora limitata sia tra i potenziali committenti, sia tra i progettisti.
Vorremmo quindi che questo numero si prospetti come una sorta di «guida pratica» che illustri le caratteristiche principali della procedura in modo molto concreto, attraverso la presentazione di casi studio. Per questo motivo abbiamo deciso innanzitutto di non occuparci, in queste pagine, dei grandi MSP per i comuni aggregati (la cui presentazione avrebbe richiesto l’elaborazione di un numero monografico per ciascun tema, come già si è fatto nel caso di Archi 6/2018), bensì di focalizzarci su dei comparti più specifici e limitati, che ci permettono di esporre le caratteristiche di questa procedura in modo chiaro e sintetico. Inoltre, la scelta di mettere l’accento sull’aspetto pratico dei MSP, più che sul loro retroterra teorico, ci ha spinti a presentare, nella maggior parte dei casi, delle procedure che conosciamo in prima persona, delle quali possiamo quindi raccontare dall’interno l’iter. Siamo ben coscienti che una tale scelta si presterà a delle critiche. Esse sono comunque sempre benvenute e siamo convinti che arricchiranno il dibattito.7
Il numero raccoglie quindi la presentazione di cinque MSP, a comporre una sorta di vademecum che sintetizza come si siano svolte le procedure. Gli esempi sono stati selezionati sulla base della varietà dei luoghi, dei committenti e dei contenuti. Nel caso del comparto Bosciorina a Biasca non solo presentiamo l’esito dei MSP, ma anche quello del susseguente concorso d’architettura; si tratta di uno dei pochi casi in Ticino dove l’intero processo (dai MSP alla preparazione di una variante pianificatoria fino al concorso d’architettura) è stato portato a termine. A inquadrare questi esempi pratici vengono proposti inoltre i contributi dello studioso Pierre-Alain Croset (che presenta una panoramica sulla genesi dei MSP a livello europeo) e di Martino Colombo, direttore della Divisione dello sviluppo territoriale e della mobilità del Cantone Ticino (che presenta la procedura dalla prospettiva dell’ente pubblico), oltre che la trascrizione di una conversazione, svoltasi nella sede della Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino (CAT), a cui abbiamo invitato attori coinvolti a vario titolo in questo tipo di procedura.
Con questi contributi miriamo, da una parte, a rivolgerci agli enti pubblici o ai committenti privati che potrebbero scegliere di organizzare dei MSP, con l’intento di illustrarne le potenzialità e le caratteristiche e di metterli in guardia rispetto agli usi impropri di questa procedura (talvolta strumentalizzata a fini elettorali, o utilizzata in sostituzione di una procedura di concorso che sarebbe stata, in determinati casi, più consona). Dall’altra, ci proponiamo di fare chiarezza, in particolar modo per i nostri colleghi (che possono trovarsi coinvolti nei MSP sia in qualità di partecipanti che di membri del collegio di esperti), sui veri obiettivi che queste procedure perseguono. E questo perché a volte si percepisce che l’atteggiamento di chi partecipa ai MSP non è tanto quello di ricercare, in dialogo con il collegio di esperti, la migliore impostazione possibile a partire dalla quale affrontare un tema complesso, quanto di proporre un progetto vero e proprio che lasci ben poco spazio a ulteriori interpretazioni. Spesso questi «progetti» sono anche correlati da fuorvianti rendering che poco hanno a che vedere con lo spirito dei MSP. Per questo motivo riteniamo essenziale dire chiaramente che i MSP non mirano a individuare una soluzione di tipo progettuale concreta e definitiva, bensì una via che permetta di affrontare un tema complesso. Una via che permetta di definire in modo chiaro una eventuale variante di Piano regolatore e anche le necessarie linee guida per l’eventuale concorso d’architettura, che nel migliore dei casi forniranno ai partecipanti un quadro chiaro entro cui agire e che dovranno lasciare la libertà necessaria a proporre svariate soluzioni per la concretizzazione dei progetti.
In altre parole, i MSP dovrebbero permettere, perlomeno, di dare l’avvio a un «processo» di comprensione del problema e delle necessità a esso connesse che attraverso il confronto di alcune ipotesi aiuti il committente a iniziare a muovere, in quel determinato comparto, i primi passi di un intervento urbanistico. Significa porre delle domande nel modo corretto, e quindi formulare delle interrogazioni che generino delle riflessioni, più che dare delle risposte definitive. Si tratta, in fondo, di chiedere ai partecipanti e al collegio di esperti di fare un lavoro di «immaginazione» e di mostrare come un luogo potrebbe essere. Come dice anche Matteo Vegetti nel dibattito che troverete in questo numero, «se l’espressione mandati di studio ha un senso, questo risiede nella parola studio. I MSP dovrebbero allora essere innanzitutto intesi come un lavoro di ricerca che non dà la priorità alla realizzazione, ma alla comprensione, alla proposta, all’analisi». Uno studio, quello portato avanti nell’ambito dei MSP, che mira a generare una forma fisica concreta, e che coinvolge anche i diversi soggetti sociali (associazioni, cittadini, privati ecc.) che possono essere invitati a seguire la procedura, per esempio, in qualità di consulenti del collegio di esperti, così da diventare parte di un processo di sviluppo tangibile e da poterlo sostenere in seguito, attivamente, nel tempo.
La ricerca del consenso
L’interesse per i MSP deriva anche dalle varie attività che da anni la Commissione concorsi della SIA Ticino, di cui facciamo parte, porta avanti. Infatti, tramite l’impegno dei suoi membri, la commissione si adopera per difendere tutte le forme di messa in concorrenza nel rispetto delle leggi vigenti. E qui viene spontaneo chiedersi: perché per realizzare anche un piccolo edificio pubblico un Comune è tenuto ad allestire un concorso di architettura mentre per la «progettazione» del suo intero territorio (o di una parte di esso) questo tipo di messa in concorrenza è praticamente inesistente, o almeno lo era fino all’arrivo dei MSP?
La lunga battaglia della Commissione concorsi in difesa e per la promozione dei concorsi di progetto ha subito un’importante accelerazione negli ultimi anni, con la creazione dell’Osservatorio Commesse Pubbliche (OCP) della CAT. Il risultato di questo impegno è che oggi in Ticino, rispetto agli anni precedenti alla fondazione dell’OCP, c’è stato un incremento esponenziale del numero dei concorsi di architetttura. Ora la Commissione concorsi e l’OCP si stanno impegnando per informare i vari committenti in merito ai MSP che, quando necessari, sono un ottimo strumento per un sano confronto fra gruppi interdisciplinari chiamati a risolvere delle problematiche particolarmente complesse che possono comprendere la definizione dei contenuti, l’impostazione urbana e paesaggistica, il rapporto fra pubblico e privato e non di meno per risolvere dei conflitti a livello politico tramite la ricerca del consenso.
Consenso che dovrebbe essere la parola cruciale quando si affrontano i MSP. Consenso che non deve mai essere inteso come compromesso ma come ricerca della miglior impostazione possibile per affrontare in modo collegiale delle problematiche complesse. Consenso che dovrebbe essere poi trasmesso in modo trasparente a chi probabilmente in futuro vivrà sulla propria pelle quanto scaturito dai MSP: la cittadinanza. Perché non bisogna dimenticare che questi processi, che si fondano sullo studio, sul dialogo e sul confronto di idee, dovrebbero avere come fine ultimo lo sviluppo di proposte di elevata qualità per un utilizzo intelligente e rispettoso del nostro esiguo territorio.
Note
1 Bruno Vezzoni, Monte Carasso: un fatto culturale, «Rivista Tecnica», 4, 1993, pp. 1-2.
2 Alla procedura portata avanti dal Comune di Mendrisio è dedicato «Archi», 6, 2018, Il modello pianificatorio della nuova Mendrisio.
3 Preambolo, in Regolamento dei mandati di studio paralleli d’architettura e d’ingegneria, Norma SIA 143, 2009.
4 Bernardo Secchi, Un progetto per l’urbanistica, Einaudi, Torino 1989, p. 216.
5 Preambolo, in Regolamento dei mandati di studio paralleli d’architettura e d’ingegneria, Norma SIA 143, 2009.
6 Paolo Fumagalli, Valorizzare il paesaggio in quanto bene collettivo: i comuni ne saranno capaci?, «Archi», 5, 2012, oggi in Paolo Fumagalli, Cronache di architettura, territorio e paesaggio in Ticino, Edizioni Casagrande, Bellinzona 2019, pp. 111-117, a p. 112.
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