The Cap­pel­lini Me­thod

Intervista a Francesca Serrazanetti, autrice del volume

In occasione dell’uscita del libro Metodo Cappellini (Electa, 2016), abbiamo intervistato Francesca Serrazanetti, autrice del volume.

Date de publication
21-12-2016
Revision
21-12-2016
Gabriele Neri
Dott. arch. storico dell'architettura, redattore Archi | Responsabile della rubrica 'Paralleli' per Archi

La storia di Giulio Cappellini e della sua azienda, una delle più note nel panorama del design internazionale, rappresenta un caso studio di notevole interesse per molte ragioni, tra cui le strategie di marketing adottate, la rosa dei progettisti chiamati a collaborare (Jasper Morrison, Shiro Kuramata, Alessandro Mendini, Marcel Wanders, Marc Newson, Tom Dixon e tanti altri), la novità dei suoi prodotti e le modalità della loro esposizione. In occasione dell’uscita del libro Metodo Cappellini (Electa, 2016), abbiamo intervistato Francesca Serrazanetti, che ne è l’autrice, per capire meglio alcuni di questi aspetti e anche per farci spiegare la struttura del volume, caratterizzato da una copertina piuttosto enigmatica: uno sfondo rosso con sopra un grande punto di domanda bianco.

Gabriele Neri: Che valore ha la storia di Cappellini per il design contemporaneo?

Francesca Serrazanetti: Raccontare la storia (e il presente) di un’azienda come Cappellini significa intrecciare diversi fili narrativi fino a comporre una tessitura a più livelli. Perché al racconto degli oggetti si sovrappone quello degli incontri, delle intuizioni e degli eventi che hanno accompagnato il viaggio di Giulio Cappellini nell’universo del design. Un cammino intrapreso sul finire degli anni Settanta con la volontà di innalzare il potenziale del made in Italy con un progetto di rilevanza internazionale: mettendo in sinergia creatività e capacità industriale, Cappellini ha portato in Italia talenti provenienti da tutto il mondo definendo l’identità di un’azienda che è diventata officina delle idee, con un progetto culturale a tutto tondo capace di raccogliere e delineare nuove tendenze. E non solo nel progetto d’arredo: Cappellini ha inventato un nuovo modo per esporre il design, scovando spazi e strategie comunicative che presentassero il design non in vetrine commerciali ma in veri e propri allestimenti caratterizzati da una forte dimensione poetica.

Quali sono le tappe fondamentali della vita dell’azienda?

Giulio Cappellini è entrato nell’azienda di famiglia, fondata dal padre nel 1946, alla fine dei suoi studi in architettura, nel 1977. Nel 1980 la Cappellini cambia il proprio nome in Cappellini International Interiors, a sottolineare la propria nuova vocazione internazionale. Ma è l’ingresso a catalogo dei primi progetti di designer stranieri a catapultare il marchio sulla scena mondiale. Particolarmente significativa da questo punto di vista è la collaborazione con Shiro Kuramata e la sua collezione Progetti Compiuti, presentata nel 1986 con una grande mostra al Museo di Milano. Un altro passaggio fondamentale è la produzione della Thinking Man’s Chair di Jasper Morrison nel 1988: Cappellini per primo notò il prototipo della sedia, in una mostra dedicata alle migliori idee dei neolaureati inglesi nello showroom di Zeev Aram a Londra, dimostrando la propria doti di talent scout e di anticipatore di tendenze e mode. 

C’è poi la prima grande mostra antologica Cappellini: Identità Analogie Contraddizioni curata da Achille Castiglioni nel 1994 al Museum für Angewandte Kunst di Colonia. O le tante mostre organizzate da Cappellini negli spazi più inaspettati, come una fabbrica di motori diesel a Colonia nel 2001 o la casa di Giulietta e Romeo a Verona nel 2002, o ancora i capannoni ancora abbandonati di Superstudio a Milano, a partire dal 2000. 

Come è strutturato il libro?

Il libro prende la forma di uno «zibaldone» fatto di ricordi, incontri straordinari, oggetti e visioni. La struttura è quella di un lemmario che mette in fila, in ordine alfabetico, parole chiave che possono essere lette seguendo sequenze personali, non necessariamente cronologiche o tematiche, cercando la propria chiave d’accesso ai segreti del «metodo» Cappellini. Al racconto fatto di parole si affianca quello delle immagini: oggetti e ritratti che hanno segnato e guidato la realizzazione di tanti piccoli sogni, che sono entrati nella storia del design, nelle collezioni dei musei ma soprattutto, come ama ripetere Giulio, nelle case delle persone. In questa tessitura emergono trasversalmente quattro fili tematici, evidenziati nel libro con un codice grafico: l’identità di un’azienda fondata su un progetto culturale ampio, capace di coniugare innovazione, creatività, internazionalizzazione, avanguardia e artigianato; gli incontri con talenti ancora sconosciuti (come Jasper Morrison o i fratelli Bouroullec) o con designer già affermati (come Shiro Kuramata) che hanno dato avvio a collaborazioni spesso arrivate ben oltre il progetto del singolo pezzo; la particolare dote nel trovare forme inaspettate e suggestive per esporre il design; infine, le storie legate ai processi che precedono e accompagnano la realizzazione dei prodotti. Muovendosi tra questi settori, attraverso nomi, parole e immagini, il libro si articola – come recita il sottotitolo – nella declinazione ragionata di un sogno, ancora aperto e in divenire. Per questo in copertina c’è solo un punto di domanda.

Qualche prodotto emblematico?

Gli oggetti-icona del catalogo Cappellini sono moltissimi. Nel loro insieme dichiarano la capacità e l’intenzione di far coesistere in armonia i generi più opposti. Se l’ingresso a catalogo delle sedie e dei tavoli della linea Fronzoni’64 ha celebrato il primo pezzo minimalista, la riedizione della poltrona Proust di Mendini ha segnato un filone di prodotti dallo spiccato carattere decorativo. C’è poi un altro aspetto molto importante che è quello legato alla produzione, con una predilezione per oggetti capaci di far coesistere tradizione artigianale e produzione industriale. Mi riferisco ad esempio alle sedie Mr. B di François Azambourg o alla S Chair di Tom Dixon, nei quali è visibile il contributo della mano umana e si mantiene allo stesso tempo un elevato livello di ingegnerizzazione e ricerca tecnologica.

Ma esiste un «Metodo Cappellini»?

Molte delle persone (non solo designer) che ho incontrato e intervistato per scrivere il libro sostengono che il metodo di Giulio Cappellini sia di avere sempre fatto quello che gli piace. Quello che è certo è che si è sempre mosso con grande disinvoltura ed entusiasmo nel mondo del design, in equilibrio tra una spiccata professionalità e l’intraprendenza di una mente creativa che non ha paura di rischiare. È un metodo che si costruisce sul rigore e allo stesso tempo sulla libertà, sulla coerenza di un’idea e le contraddizioni della creatività. E forse anche in questo può stare un insegnamento per i giovani designer di oggi.

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