Costruire nel paesaggio sudalpino
Editoriale archi 01/2015
nello spazio delle architetture è viva, sempre, tutta la storia di un determinato luogo. Immanente, essa seguita ad agire... (Ludovico Quaroni, 1969)
La legge federale che obbliga i comuni a limitare il numero dei letti freddi, ovvero delle case realizzate per i turisti, abitate solo per brevi periodi nel corso dell’anno, è un provvedimento saggio. Esso limita l’edificazione dispersa e la conseguente estensione delle reti urbanizzative pubbliche, e tende, in generale, a limitare gli investimenti improduttivi, che non generano ricadute importanti sulla popolazione residente, che non siano quelle fiscali. Rimanendo costante la domanda di turismo e i relativi flussi, che in Ticino provengono dalle regioni a nord delle Alpi, si può supporre che alla riduzione di seconde case corrisponderà una tendenza alla costruzione di alberghi, o di nuove forme di abitazione temporanea collettiva. E non si ridurrà la tendenza dei turisti anziani al trasferimento di residenza a sud delle Alpi.
Il paesaggio ticinese, cioè la ragione generativa del turismo regionale, è la grande risorsa economica potenziale del cantone, una risorsa affatto naturale, come spiega Claudio Ferrata con grande chiarezza. Il paesaggio, nella forma che conosciamo, è stato costruito nel tempo attraverso la «messa in turismo» come la chiama Ferrata del territorio, attraverso la sua lenta e profonda trasformazione in funzione delle attese culturali dei turisti. La piena consapevolezza di questo fenomeno è la premessa indispensabile per promuovere politiche che governino la sua modificazione, ammesso che oggi vi siano le risorse culturali e la capacità politica di esercitare questo governo.
In molte tra le aree di più intensa fruizione del paesaggio, soprattutto sul bordo dei laghi, la densità disordinata delle singole abitazioni ha raggiunto un tale livello da ridurre, fino ad annullare, lo stesso spazio necessario alla fruizione. Come sottolinea Judit Solt, la casa di vacanza è condannata a distruggere proprio l’idillio di cui vive. La casa è progettata per inquadrare la vista ricercata e per escludere tutto ciò che compromette la stessa vista, cioè le altre case, le strade e le infrastrutture che formano la città reale. Quando le case singole sono mille e la loro disordinata densità è così elevata, la ricerca della vista diventa sempre più parziale e insoddisfatta, fino alla sua negazione.
Un altro aspetto della questione è quello della qualità dell’architettura delle case di vacanza, che in Archi 1/2015 trattiamo da un punto di vista particolare, quello delle case progettate da architetti svizzero-tedeschi, o comunque provenienti da nord delle Alpi. Al grande tema della relazione tra l’architettura della casa e la geografia e la storia del luogo, si sovrappone un secondo tema, quello della cultura dell’architetto, quando è formata ed esercitata in un altro luogo, con una geografia e una storia diversa. Con l’immanenza della storia tutta la storia di un determinato luogo, di cui parla Ludovico Quaroni in un prezioso scritto del 1969 dedicato all’architettura romana, non si può evitare di fare i conti. E nel caso di un architetto «straniero», la sfida diventa più difficile.
Tra gli altri esempi molto interessanti, Luca Ortelli cita quello obbligatorio quando si parla di architettura e paesaggio di casa Malaparte a Capri di Adalberto Libera. A questo proposito, mi interessa il tema della relazione di quella specifica e straordinaria architettura con la storia tutta di quel luogo. Mi interessa il riferimento alla scalinata strombata che bisogna risalire per accedere alla Chiesa dell’Annunziata di Lipari, che ha una forma molto simile a quella di casa Malaparte, e che appartiene pienamente all’universo culturale di quell’area del Mediterraneo. E mi interessa la relazione tra lo spazio della grande terrazza e della teatrale scalinata con il manufatto ellissoidale del paravento murario intonacato di bianco l’unico bianco della casa che richiama il linguaggio della cultura razionalista, e che risulta indispensabile ad articolare quello spazio e a concluderlo magistralmente verso l’orizzonte.
Tra le opere qui pubblicate, quella che appare più intensa e poeticamente impegnata a stabilire relazioni con il paesaggio e, insieme, con la storia tutta della cultura architettonica della regione sudalpina, è la casa costruita nel 1964 dallo zurighese Alfred Altherr nelle Centovalli. Non solo per la scelta, al tempo davvero coraggiosa, di interpretare il tema distributivo con la modernità della sua cultura nordica, ma per i riferimenti così importanti alle opere del razionalismo lombardo, che appaiono evidenti nel coronamento del volume, nel lungo portale che copre la fascia più esterna della terrazza, e che, rimanendo separato dal volume retrostante, diventa l’elemento più caratterizzante rivolto al paesaggio. Casa Cattaneo di Cernobbio ha un coronamento concepito come quello adottato da Altherr, e così pure molti edifici del razionalismo lariano e lombardo sono conclusi verso il cielo proprio da simili portali. Interpretare la modernità vuol dire costruire in modus hodiernus, vuol dire vivere intensamente e rappresentare il proprio tempo.