In­vec­chi­amen­to at­tivo

Tra promozione della salute e forme possibili dell’abitare

Publikationsdatum
02-08-2019
Giampaolo Cereghetti
Presidente cantonale dell’ATTE e direttore dell’UNI3, già insegnante di italiano e direttore del Liceo di Lugano 1

La Giornata della persona anziana organizzata nel 2018 dall’Associazione Ticinese Terza Età (ATTE) aveva per titolo: Anziani in forma! Vita attiva e promozione della salute e del benessere. Lo slogan si riferisce all’invecchiamento attivo indicato dall’OMS già nel 2002 quale soluzione necessaria a fronteggiare un problema emergente: «L’invecchiamento globale della popolazione comporterà richieste sociali ed economiche alle quali bisognerà fare fronte. Mantenere la popolazione attiva è dunque una necessità, non un lusso».1 Questo approccio implica che le persone abbiano la possibilità d’invecchiare rimanendo in salute e attive il più a lungo possibile. Il piano strategico dell’OMS suggerisce il superamento di una visione che consideri l’anziano solo come soggetto passivo, spesso bisognoso di cure, e promuove piuttosto una visione che riconosca a tutti il diritto e la responsabilità di mantenere un ruolo sociale in ogni fase dell’esistenza.2

Se il ritmo di crescita degli anziani è in accelerazione, il calo della natalità invece si generalizza: le proiezioni demografiche stimano che entro il 2060 oltre il 30% della popolazione europea avrà più di 65 anni e nel 2080 il numero degli ultra ottantenni sarà raddoppiato. Le condizioni generali di vita e la qualità del sistema sanitario collocano il nostro paese in una posizione particolare. Di fronte a mutamenti demografici di tale portata, è indispensabile interrogarsi sulle prospettive rispetto a una speranza di vita che si allunga. Ciò significa porsi delle domande sull’invecchiamento da molteplici punti di vista. Un accento particolare andrebbe posto sul saper invecchiare bene, cioè sulla capacità di prepararsi in modo proattivo a sperimentare l’invecchiamento come un’evoluzione fisica e psicologica di sé, senza sentirsi risucchiati dal declino irreversibile, ma disponibili a sperimentare altre avventure esistenziali, a immaginare nuovi orizzonti, qualche sfida e delle scelte. L’insieme del processo comporta peraltro anche un obbligo di natura etica, quello di dover invecchiare bene, per rispetto verso se stessi e considerazione per i propri legami affettivi. L’avanzare dell’età non è dunque una faccenda che tocchi solo l’individuo: essa riguarda l’intero corpo sociale. Perciò sono state elaborate a livello internazionale delle linee guida, che sviluppano l’idea dell’invecchiamento come stagione della vita foriera di esperienze positive, se accompagnata da condizioni di salute, indipendenza, sicurezza e dalla partecipazione agli ambiti economici, sociali, culturali. Fin dal 1999,3 l’ONU prospetta la necessità di tracciare una nuova «architettura dell’invecchiamento», preconizza la costruzione di una «società per tutte le età», in grado di diffondere una cultura favorevole a politiche sociali partecipative e inclusive.4

Date queste premesse, il discorso sui processi d’invecchiamento non può prescindere dal ragionare anche sugli spazi reali, cioè sui luoghi e sull’ambiente in cui l’anziano conduce l’esistenza. Almeno a partire dalla metà del XX secolo, si è assistito – nelle nazioni sviluppate – a numerose trasformazioni delle relazioni sociali. Tali cambiamenti sono stati determinati dall’accelerazione dei ritmi di vita quotidiani, nonché dalla rivoluzione epocale che ha riguardato l’accesso alle informazioni, la loro diffusione, i tempi e le modalità della comunicazione tra individui. Al di là della problematica riguardante le aree metropolitane, si può affermare che anche la piccola realtà ticinese ha conosciuto trasformazioni rilevanti del territorio e variazioni profonde nello «stile» di vita dei suoi abitanti. Basti accennare al fenomeno dell’urbanizzazione delle aree economicamente più attrattive, cui si affianca lo spopolamento progressivo delle zone periferiche, con conseguenze innegabili – in un caso come nell’altro – sul tessuto sociale. Tra queste, in primo luogo, la tendenza nella realtà urbana «[…] alla decelerazione dell’intensità dei legami comunitari, a partire da quelli del buon vicinato, che in passato costituivano una rete di sicurezza per soggetti fragili e che consentivano di creare dinamiche di prossimità».5 Mutamenti del genere comportano il rischio che le identità potenzialmente più deboli o isolate possano soffrire di una condizione d’inadeguatezza. La popolazione anziana rappresenta una componente esposta al disagio e alla fatica di trovare una propria collocazione rispetto a tempi e luoghi ad essa divenuti almeno in parte estranei.6 Ma sarebbe un errore affrontare la questione degli spazi e dei luoghi vissuti, senza considerare che gli anziani non sono collocabili dentro una generica categoria. Difatti, pur coi limiti insiti in ogni approssimazione, si tende oggi a parlare di «giovani anziani» (60-69 anni), «anziani» (70-80) e «grandi anziani» (oltre gli 80 anni). L’appartenere all’una o all’altra fascia d’età può comportare differenze significative, in particolare (anche se non solo) dal punto di vista delle condizioni fisiche e/o cognitive, con conseguenze ovvie sul grado d’autonomia e sulle possibilità di autodeterminazione, perciò anche rispetto al tema dell’abitare.

La perdita progressiva di autonomia può preludere all’ingresso in una residenza per anziani, dove l’ospite deve accettare i ritmi imposti da una gestione lineare e omogenea delle prestazioni, generata dalla routine assistenziale. Da qui la necessità di predisporre nelle residenze spazi accoglienti, inclusivi, attenti ai bisogni e alle possibilità del singolo, in grado «di promuovere dinamiche di convivenza e non solo di tolleranza, capaci di veicolare l’assistenza necessaria con gesti di cura centrati sulla persona».7 Onde evitare l’isolamento degli anziani non più autonomi, è importante prestare attenzione alle possibili sinergie tra casa di riposo e territorio, tra chi è «residente» e il contesto sociale di prossimità.

È innegabile che, mentre l’aumento della popolazione anziana era già conclamato ed esercitava dunque una certa «pressione» sociale, in Ticino si è ritenuto a lungo che si dovesse fronteggiare la questione moltiplicando il numero di residenze permanenti e dei letti a disposizione. I costi rilevanti hanno contribuito a spostare l’attenzione dal tema della residenzialità (case per anziani) a quello della domiciliarità. Sono così sorti i diversi Servizi di assistenza e cura a domicilio, che offrono un sostegno prezioso e consentono a molti «grandi anziani» di restare a casa. La condizione di fragilità genera del resto situazioni che chiamano in causa anche i famigliari nel sostegno dell’anziano. Non sempre tuttavia la famiglia e i servizi preposti bastano da soli a coprire i bisogni d’assistenza, talvolta pressoché continua; ciò ha generato, in tempi relativamente recenti nella nostra realtà, il fenomeno (dai risvolti complessi qui non affrontabili) della presenza nelle case di nuove figure professionali: gli/le assistenti famigliari.

È appurato come la grande maggioranza degli anziani desideri restare il più a lungo possibile nella propria abitazione. Questo orientamento è peraltro preconizzato dal Partenariato europeo per l’innovazione sull’invecchiamento attivo e in buona salute quale soluzione idonea a favorire uno stile di vita attivo e indipendente. Ma sostenere la domiciliarità non significa soltanto garantire il diritto di restare a casa: occorre sviluppare una cultura dei servizi che collochi le esperienze individuali d’invecchiamento nella vita della comunità e, nel contempo, bisogna puntare alla realizzazione di ambienti fisici adeguati. Alla base vi è l’idea che si dovrebbe ripristinare, nella misura del possibile, una «vita di quartiere»,8 che permetta di valorizzare spazi (milieux) simili a quelli che caratterizzano la struttura del villaggio (la piazza, i negozi, i luoghi di ritrovo, l’esistenza di zone verdi). Luoghi magari – perché no? – frutto dell’utile ripristino di aree o stabili dismessi. Ambienti «amichevoli», facilmente fruibili perché senza barriere architettoniche e ispirati a una mobilità lenta, dove si possa vivere in sicurezza e in maniera sostenibile, intrattenendo rapporti di vicinato e sperimentando la reciprocità del sostegno tra abitanti. Parafrasando considerazioni espresse da R. Deluigi,9 per favorire il passaggio «da un approccio gerontologico a un approccio comunitario», l’accento andrebbe posto sulla necessità di «dare cittadinanza ai processi d’invecchiamento», promuovendo per gli anziani una vita attiva, portatrice di benessere e di autonomia, grazie a scelte politiche che favoriscano lo sviluppo di progetti abitativi a carattere intergenerazionale, in spazi urbani favorevoli all’invecchiamento, connotati dalla molteplicità e dalla compresenza delle differenze, non solo di età.

Orientamenti come quelli qui sommariamente tratteggiati s’ispirano almeno in parte alle pratiche – diffusesi nel Nord d’Europa, ma con echi significativi anche in Svizzera10 – del co-housing o del social housing. Soluzioni abitative che si propongono di preservare l’indipendenza degli anziani a domicilio nel contesto di una «familiarità sociale», cioè dentro un tessuto di legami che ne sostengono le fragilità. Si tratta di linee di sviluppo sostenute anche dall’UE, che guarda tra l’altro con favore alla creazione di smart cities,11 basate su ambienti sostenibili e adeguati alla vita di tutti, da ideare considerando le possibili evoluzioni nel tempo dei bisogni connessi all’invecchiamento. Sarebbe inoltre importante dare maggiore spazio alla progettazione partecipata, aspetto sovente sottovalutato. L’opportunità data al fruitore di esprimersi sulle proprie pratiche, percezioni e rappresentazioni concorrerebbe al superamento degli stereotipi che possono risiedere nello sguardo di chi è chiamato a immaginare spazi age-friendly. Progetti architettonici non improntati quindi alla mera applicazione di prescrizioni tecnico-dimensionali (gli standard previsti per i portatori di handicap), bensì orientati alle reali esigenze degli utenti finali, pur garantendo la flessibilità degli spazi e delle soluzioni («standardizzando la personalizzazione»)12. È legittimo chiedersi se impostazioni del genere non potrebbero costituire un’alternativa all’edificazione di centri residenziali concepiti esclusivamente per persone anziane ancora autonome, secondo soluzioni abitative grossomodo uniformi, affitti non sempre vantaggiosi, e con un rischio residuo d’incrementare forme di «ghettizzazione».

In definitiva, oggi la sfida è ri-progettare lo spazio costruito e quello sociale insieme (in maniera concertata), tenendo conto non solo del problema (le disfunzionalità di alcune categorie di anziani) ma soprattutto delle risorse, individuali e collettive, che devono essere mantenute e valorizzate per dare qualità alla vita.

 

Note

  1. World Health Organization, Active ageing: a policy framework, 2002. 
  2. «Un’attività fisica regolare aumenta l’aspettativa media di vita, inibendo lo sviluppo di malattie croniche, mitigando le alterazioni biologiche legate all’età […] una regolare pratica di esercizi fisici comporta benefici fisiologici e cognitivi». American College of Sports Medicine, Exercise and Physical Activity for Older Adults, 2009. 
  3. Il 1999 è stato l’Anno internazionale della persona anziana (ONU); al 2012 risale l’Anno europeo per l’invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni (EY2012).
  4. In tal senso l’OMS ha continuato lo sviluppo del suo piano strategico per pubblicare quale ultimo aggiornamento WHO Regional Office for Europe, Age-friendly environments in Europe. A handbook of domains for policy action, Copenhagen, 2017.
  5. Rosita Deluigi, Abitare l’invecchiamento. Itinerari pedagogici tra cura e progetto, Mondadori, Milano 2014, p. 50.
  6. «L’anziano diventa «un attore urbano» che si colloca tra la perdita e il bisogno di legami […]» (ibidem, p. 50).
  7. Ibidem, p. 78.
  8. Nel Canton Vaud è in atto da tempo l’esperienza dei Quartiers solidaires, il cui obiettivo è di permettere agli abitanti di ridivenire protagonisti del proprio quartiere e alle persone anziane di trovarvi il sostegno e la compagnia dei vicini di casa. Progetti analoghi sono stati sviluppati anche in Italia.
  9. Rosita Deluigi, Abitare l’invecchiamento, cit., pp. 67-107 (capitoli 4 e 5 Aver cura degli anziani tra residenzialità e domiciliarità; Gli anziani e la costruzione di comunità accoglienti).
  10. È il caso di città come Ginevra, Basilea e soprattutto Zurigo, dove esistono da tempo cooperative d’abitazione innovative, che considerano il tema dell’abitare in un contesto intergenerazionale. In Ticino è attiva una Sezione della Svizzera italiana delle Cooperative d’Abitazione svizzera (CASSI).
  11. Cfr. www.smart-cities.eu
  12. Giulia Pentella, L’esperienza del co-housing sociale in alcuni Paesi europei, in Guido Lazzarini, Anna Gamberini, Sonia Palumbo, a cura di, L’home-care nel welfare sussidiario. Reciprocità e benessere nelle relazioni di cura, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 78-88.

Iniziative ATTE

L’Associazione Ticinese Terza Età promuove diversi progetti in tema d’invecchiamento attivo, promozione della salute e forme possibili dell’abitare. Per far fronte alle minacce della solitudine fra gli anziani delle valli soggette allo spopolamento, la Sezione Biasca e Valli, d’intesa col DSS e le Autorità comunali interessate, gestisce il progetto della Regione Solidale. Esso nasce dalla volontà di favorire le relazioni tra persone e facilitare i contatti con enti, organizzazioni o servizi. Dal 2018 due operatrici sociali sono attive sul territorio e in contatto con la popolazione anziana, della quale monitorano risorse e bisogni, al fine di creare una «rete» suscettibile d’influenzare in modo positivo la qualità di vita.

In collaborazione con l’Associazione Generazioni&Sinergie e con l’apporto sostanziale della Fondazione F. Ghisletta, l’ATTE è promotrice del Concorso Abitare bene a tutte le età, destinato a premiare la realizzazione di abitazioni ispirate a criteri di qualità e di sensibilità sociale. Il bando
di concorso 2019, sollecitando prioritariamente i Comuni, ha definito
i seguenti obbiettivi: sviluppo di progetti in nuclei abitativi atti ad alimentare il tessuto sociale e a favorire dinamiche di comunità (quartieri); soluzioni pensate non solo per anziani, ma pure per giovani famiglie (intergenerazionalità); condizioni economiche sostenibili; costruzioni preferibilmente frutto di ristrutturazione e recupero di edifici esistenti, vetusti o a rischio d’abbandono.

Con l’accordo del DSS, che ne ha approvato l’introduzione sperimentale, si è da poco deciso di aprire, al confine tra i comuni di Castel San Pietro e Balerna, un nuovo Centro diurno ricreativo (CD): un’opportunità per porre l’accento sull’invecchiamento attivo e offrire un servizio attento anche alle esigenze dei «giovani anziani». Il CD, a vocazione polisportiva e intergenerazionale, è destinato in particolare a stimolare l’attività fisica tra i suoi utenti. Saranno infatti a disposizione strutture quali un campo da tennis e uno da calcetto, un bocciodromo coperto, tavoli da ping pong, un gazebo e altri spazi esterni per programmi di ginnastica dolce e danza, un parco giochi per i più piccoli, spazi da adibire a orti e aiuole fiorite; in un secondo tempo, si conta inoltre di allestire un minigolf e una pista perimetrale tipo «percorso vita». Il «progetto pilota» si prefigge di perseguire i seguenti scopi: favorire il movimento per promuovere la salute e il benessere; offrire attività ricreative e culturali che stimolino i rapporti d’amicizia tra i frequentatori del CD e aiutino a combattere la solitudine; progettare varie attività a carattere intergenerazionale o del tipo nonni-nipoti (in loco è attiva una scuola di tennis per adolescenti; la coltivazione di un orto collettivo aprirà prospettive di condivisione sia con l’Istituto agrario cantonale sia con le Scuole elementari; altre idee sono in via di maturazione).

Nella fase iniziale sono previsti solo minimi lavori di sistemazione dell’area, in particolare per consentire l’accesso anche a persone disabili (rampe e servizi igienici), per le quali s’immagina in prospettiva che – date alcune condizioni organizzative e di sicurezza – il CD possa offrire spazi ricreativi e per la pratica di alcuni sport, indipendentemente dall’età.

Questo articolo è apparso in Archi 4/2019, che può essere acquistato qui, mentre qui è pubblicato l'editoriale di Mercedes Daguerre con i link a tutti gli articoli del numero dedicati all'abitare nella terza e quarta età.

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