Elo­gio dell’in­geg­ne­re

Editoriale archi 01/2014

L’ingegnere, ispirato dalla legge dell’Economia e guidato dal calcolo, ci mette in comunicazione con le leggi dell’universo. Raggiunge l’armonia. Le Corbusier, 1923

Publikationsdatum
10-02-2014
Revision
19-10-2015

È bastato un giro veloce nella Halle 1, il primo padiglione della Swissbau 2014 a Basilea, per rendersi conto di come la vetrina del mercato dei componenti per l’edilizia offra in primo piano le più evolute soluzioni per l’involucro degli edifici, prima di qualsiasi altra parte fondamentale della costruzione. E per involucro intendiamo lo strato più superficiale, la parte pubblicamente visibile, non lo spessore intero del setto perimetrale. Allo stesso modo le riviste internazionali assecondano e alimentano questa tendenza a considerare l’involucro come la qualità principale, quella fotogenica, dell’architettura, quella che determina la pubblicabilità dell’opera e la conseguente notorietà dell’autore.

È vero che la recente trasformazione della Messe basilese è anch’essa caratterizzata dall’immagine dell’involucro, una lamiera stirata (Streckmetall) di ordine gigante. Qui il progetto di Herzog & de Meuron realizza un effetto spaziale di una potenza straordinaria, densifica la città formando un nuovo spazio pubblico di grande intensità, e per ottenere quest’effetto gli autori hanno adottato, insieme alle immense luci strutturali e ad altri artifici costruttivi, anche l’involucro di un unico materiale, che conferisce al pesante volume sospeso potenza espressiva insieme alla levità necessaria per librarsi a quota elevata. 

Ma se avete fermato lo sguardo sulle immagini di architetture esposte negli stands della Halle 1 che reclamizzano involucri, o se scorrete le pagine delle riviste più lette, potete memorizzare un repertorio enorme di superfici dai mille effetti tattili e cromatici applicate ai fronti delle opere più diverse, senza relazione con il contesto, con ciò che l’involucro nasconde, con l’effetto spaziale cercato. L’attenzione per l’involucro è stato il modo per realizzare il necessario superamento di concetti funzionalisti e ha consentito la ricerca di nuove relazione tra edificio e città, ma la sua attuale enfasi estetica e immaginifica può sottrarre al nostro mestiere la sua sostanza costruttiva. Vengono in mente gli architetti «facciatisti» della prima parte del ’900 e le polemiche degli architetti moderni contro l’ornamento e il ruolo effimero degli architetti, tra le quali spicca per chiarezza l’elogio degli ingegneri cui Le Corbusier ha dedicato un capitolo del suo «Vers une Architecture». È necessario che le case reggano. Bisogna ricorrere all’uomo di mestiere. Il mestiere, secondo Larousse, è l’applicazione delle conoscenze alla realizzazione di una concezione. Ora, oggi, sono gli ingegneri che conoscono, che conoscono il modo di far reggere, di scaldare, di ventilare, di illuminare. Non è vero? La diagnosi è, per cominciare dall’inizio, che l’ingegnere, procedendo per conoscenze, indica il cammino e possiede la verità…

Certo, questa tendenza alla prevalenza dell’immagine sulla costruzione è più diffuso nel resto d’Europa che in Svizzera, e ancora meno in Ticino. Ma proprio in Ticino si coglie nei più giovani un generale allentamento della cultura tecnica che ha costituito il carattere e ha determinato l’eccellenza dell’architettura regionale. La sperimentazione di materiali nuovi e di nuove tecniche costruttive o energetiche, la ricerca di concetti statici capaci di realizzare spazialità inusitate non caratterizzano la produzione architettonica degli ultimi anni. Quella cultura comune di architetti e ingegneri, che è l’unica e importante ragione per cui sono membri della stessa associazione e condividono le sorti, pur con ruoli diversi, della costruzione del territorio, non sembra progredire con evidenza. 

È vero che la battaglia di Le Corbusier aveva un contesto drammaticamente diverso e lontanissimo dalla condizione presente. Lo storicismo e i regionalismi dominavano nelle scuole di architettura, mentre gli ingegneri esercitavano, come diceva Le Corbusier, l’economia e il calcolo, praticando una disciplina della costruzione rigorosa ed essenziale, dalla quale era necessario partire per costruire un mestiere e un’arte capace di suscitare emozioni.

Parlando del ruolo degli ingegneri nella progettazione dei ponti e delle infrastrutture territoriali che modificano in modo importante il paesaggio, Pierre von Meiss si chiede se gli ingegneri civili non agiscano come architetti e urbanisti senza saperlo o senza ammetterlo, e se non sia quindi necessario inserire nella formazione degli ingegneri l’obiettivo di oltrepassare la mera funzione tecnica della struttura. Senza addentrarci in un tema difficile come quello della formazione, possiamo affermare che le ultime generazioni di ingegneri civili posseggono spesso sensibilità ambientali, che erano poco conosciute nelle generazioni precedenti, e che alimentano e indirizzano la loro ricerca oltre all’economia e al calcolo, producendo opere eccellenti, come quelle illustrate in Archi 1/2014. È con questi ingegneri che è necessario per gli architetti dialogare e lavorare insieme, rimuovendo concezioni, vetuste ma ancora presenti, di superiorità gerarchica, per riconnettere le diverse conoscenze in un’unica cultura. 

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