Ab­it­are a Gi­nev­ra e in Ti­ci­no

Editoriale archi 3/2013

L'edificazione dei territori ticinese e ginevrino a confronto nell'editoriale del presidente Archi Alberto Caruso.

Publikationsdatum
24-06-2013
Revision
15-10-2015

Raramente l’architettura, e forse per un eccessivo peso della storia, ha usato la periferia come materiale per l’architettura stessa. Forse non si tratta solo di bonificare la periferia ma di cambiare il nostro sguardo per scoprire che cosa di significativo e autentico ci sia nelle periferie contemporanee, come fa il cinema, la fotografia, la letteratura, la poesia, l’arte nelle sue diverse forme.
Roberto Collovà, 2012

Sfogliando le immagini delle opere di Rino Tami e di Peppo Brivio, e anche di Oreste Pisenti, di Bruno Bossi, di Bruno Brunoni o di Tita Carloni e di diversi altri architetti operanti in Ticino nel dopoguerra fino agli anni ’70, non si può non rilevare che nella loro opera erano presenti molti edifici residenziali collettivi, progettati e spesso realizzati nei centri urbani. Era una fase di crescita delle città, che avveniva ancora in modo strutturato, estendendo la maglia stradale novecentesca e riproponendo alte densità, pur senza rispettare gli allineamenti perimetrali della città più compatta.

Nell’opera, invece, dei giovani allievi, esposta nel 1975 nella ormai leggendaria esposizione zurighese intitolata Tendenzen, nell’opera di questi architetti che hanno reso il Ticino famoso nel mondo, era assolutamente prevalente, a volte senza eccezioni, la presenza di edifici unifamiliari. Edifici straordinari, con una ricerca linguistica e una sperimentazione tipologica radicale, edifici ancora oggi capaci di interpretare magistralmente la specificità dei luoghi e della loro cultura materiale, ma abitazioni per una sola famiglia. Era l’inizio di un processo espansivo nel territorio intorno alle città, più spesso sulle alture, dove la borghesia più colta e ricettiva rispetto alle proposte innovative dell’architettura, realizzava modelli insediativi che si sarebbero poi diffusi all’intera domanda di abitazioni.

Oggi il processo espansivo nel territorio, la cosiddetta diffusione insediativa, lo sprawl, (per farsi capire da tutti) è giunto al punto da compromettere la bellezza del paesaggio ticinese, cioè la ragione stessa della tendenza ad abitare fuori dalle città, nella natura, e al punto di mettere in crisi la solidarietà sociale e di provocare costi economici giganteschi in reti di urbanizzazione, servizi, trasporti, tutti a carico dei bilanci pubblici.

Ripensare al modello insediativo è diventata un’urgenza. Prima di tutto un’urgenza culturale, perché non c’è misura legislativa, pianificatoria o fiscale mirata a combattere quel modello, che poi venga effettivamente realizzata senza una convinzione culturale largamente condivisa sui danni irreversibili provocati dalla diffusione delle abitazioni sul territorio. Il Piano Direttore cantonale contiene obiettivi abbastanza chiari al riguardo, ma i suoi orientamenti rimangono sulla carta, senza la necessaria inversione culturale nelle attese e nei desideri.

Quale il ruolo degli architetti e degli ingegneri? Se conveniamo che con l’architettura non si cambia la società, ma si può cambiare l’architettura stessa, allora dobbiamo progettare con un tasso maggiore di criticità, dobbiamo cercare e promuovere progetti più vasti e capaci di trasformare gli attuali assetti per ridurre lo spreco di territorio, dobbiamo scrivere e parlare in favore delle scelte che vanno nella direzione di rinnovare la cultura insediativi, e combattere pubblicamente quelle che favoriscono la permanenza di quella dominante.

A Ginevra, il Piano Regolatore cantonale prevede 50.000 nuove abitazioni nei prossimi venti anni, preservando la qualità del paesaggio e limitando il consumo di terreni agricoli, come scrive l’architetto cantonale Francesco Della Casa. Il problema in quel cantone è di costruire alloggi sufficienti per il fabbisogno indotto dai 100.000 ginevrini che oggi hanno meno di venti anni e dai 100.000 pendolari che lavorano in città e abitano lontano o nella vicina Francia, perché non trovano alloggi a prezzi accessibili. Certo, i problemi abitativi ticinesi hanno un’altra scala dimensionale. Ma, abbiamo pensato che tra qualche anno il treno che collega Lugano alla Svizzera interna consentirà di viaggiare in un tempo compatibile con il tragitto quotidiano tra casa e lavoro, e allora il Ticino potrà essere oggetto di una pressione residenziale mai vista? E abbiamo pensato che, se la cultura insediativa e gli strumenti di governo del territorio saranno ancora quelli attuali, il Ticino non avrà energie sufficienti per contenere, indirizzare e convogliare questa pressione in progetti di scala adeguata, con morfologie complesse e tipologie abitative contemporanee ed evolute, in progetti di nuove densità ricche di socialità cittadina, in una Città-Ticino sostenibile?

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