Diario dell'architetto, Ottobre 2017
Mi piacerebbe scrivere di...
Se su questa pagina ho ripetuto «Mi piacerebbe scrivere di...» è perché il mio tempo è scaduto. Questo che leggete è il mio ottantatreesimo Diario dell’architetto.
Chi altri, se non noi?
Mi piacerebbe scrivere… di Felicia Lamanuzzi. Forse i Workshop che organizza sono una piccola cosa rispetto a quelli promossi da istituzioni di ben altro spessore. Però: una giovane che tutta sola non ha voluto stare zitta, né seguire la routine dei colleghi, lamentandosi del poco lavoro. Ha voluto fare. «Sono un architetto di origine italiana – mi scrive in un mail – ma ho scelto di chiedere la naturalizzazione svizzera perché profondamente convinta che, nonostante il sentirsi cittadini del mondo, sia poi importante sentirsi agganciati al luogo in cui si abita, sentirsene parte». E aggiunge che si sente responsabile «... delle sue “forme” e, più in generale, delle scelte che la comunità compie». Tutto questo «... mi induce a riflettere, cimentarmi e prendere posizione sulle dinamiche che generano la trasformazione del territorio... noi per primi siamo chiamati ad adoperarci… riscoprendo il valore civico (in cui è l’etica) del mestiere di architetto».
«Chi altri se non noi architetti può sensibilizzare il comune cittadino alla ricaduta collettiva di ogni intervento sulla sua proprietà privata?» è l’appello di Felicia ai colleghi. «Chi altri se non noi può spiegargli che ogni trasformazione dello spazio genera un diverso modo di abitarlo o di abbandonarlo? Chi altri se non noi può mostrare che se ognuno continuasse a concepire la propria dimora come un castello, manufatto a sé stante, tutti insieme continueremmo a frammentare il nostro bene più prezioso, disperdendo quel valore in sé custodito che è la memoria collettiva, la testimonianza della cultura della comunità che lo abita?».
«Per dare forma a questo pensare» Felicia dal 2015 promuove ogni anno un Workshop di Progettazione Urbana, cui partecipano studenti di architettura, di ingegneria, del paesaggio accompagnati da docenti invitati e con conferenze. Il tutto aperto al pubblico, alla cittadinanza, per promuovere: «... l’opinione pubblica a una maggiore sensibilità verso la qualità dello spazio urbano e, dall’altro, come occasione di coinvolgimento della cittadinanza nel progetto della città».
Scrivo queste due righe, ma il prossimo Workshop a Rovio dell’11 settembre non è ancora iniziato. Cito comunque una frase di Felicia: «Spazio pubblico e partecipazione popolare, fondamenti dentro il caos della città contemporanea».
Progetto per il Comparto della Stazione di Mendrisio
Mi piacerebbe scrivere ... di importanti recenti progetti urbanistici, affidati per mandato diretto. Mica progetti qualsiasi, ma progetti destinati a definire la città di domani. Non quisquilie quindi.
Penso ad esempio a quello appena pubblicato relativo al comparto A della stazione di Mendrisio. Magari mi sbaglio, e mi scuso con tutti, progettisti in primis. Me se sono (ben?) informato, il progetto per questo comparto risulta da un mandato diretto da parte della città di Mendrisio, affidato a uno studio di urbanistica. Nulla da ridire, per carità, sulla capacità e competenza dei progettisti, né voglio entrare nel merito del progetto.
Però. Però la perplessità, e il malessere sale più ci si pensa: perché per un progetto così importante non è stato organizzato un concorso pubblico? Dovrebbe essere il Comune stesso ad avere la preoccupazione e l’interesse e la sensibilità per comprendere quanto quella parte di città sia importante per la qualità futura dell’area della Stazione. E quanto cambierà nel futuro quel luogo. E allora, se il Comune si rende conto di quello che sta promuovendo, e ovviamente se gli importa qualcosa, è allora il primo che dovrebbe organizzare un concorso pubblico di progetto. Per avere un confronto tra i diversi progetti, un confronto di differenti idee e soluzioni per quel luogo. Luogo delicato per le sue preesistenze, delicato per le trasformazioni in atto, di cui occorre rendersi conto: aumento del traffico ferroviario, apertura di una nuova linea ferroviaria, realizzazione della SUPSI sull’altro lato della ferrovia, sviluppo del trasporto pubblico su gomma, la trasformazione urbana dell’esistente in un quartiere diverso, nuovo, che dovrebbe essere ricco di valori spaziali e architettonici, per il commercio, per il lavoro, per l’abitazione, per i cittadini. Se poi il concorso fosse accompagnato e giudicato non solo dai politici del Comune e da rappresentanti di Enti pubblici, non solo da un paio di architetti e ingegneri, ma anche dalle FFS, dai rappresentati dei trasporti pubblici e dai i futuri utenti, la loro presenza sarebbe importante per dare concretezza al progetto. Utenti come gli eventuali commerci o gli investitori interessati. E poi ancora, importante sarebbe la presenza delle associazioni di cittadini, ognuno a esprimere la propria sensibilità. Avremmo così, al termine del concorso, una serie di progetti tutti diversi tra loro, che soddisfano le esigenze e i bisogni dei futuri utenti. E magari tra i diversi progetti che scaturirebbero dal concorso ci potrebbe essere, perché no, quella soluzione che meno ci si aspetta. Quella geniale.
Questa procedura non è mica una mia invenzione: basta guardare (e apprezzare) quanto fatto da anni in altre città svizzere con i loro concorsi, i loro studi paralleli. Sia per oggetti importanti come questo di Mendrisio, ma talvolta anche per dei soli quartieri.
La deriva dell’architetto
Mi piacerebbe scrivere … della deriva dell’architetto. Scaduto nella definizione dell’odierna burocrazia a essere non un architetto (o un ingegnere), ma un prestatore di servizi. Sarà un dettaglio, ma architetto o ingegnere non è solo una parola, non è solo un sostantivo, ma ha un significato, rappresenta una realtà. Architetto o ingegnere è la storia, è un contenitore con dentro la storia dei secoli antichi e dei secoli appena passati, c’è dentro la cultura del costruire, la cultura delle regole, la cultura della composizione, comprende anche i nomi, quelli dei Maestri antichi e quelli dei Maestri del Moderno. Fecero e fanno opere che segnarono e segnano il territorio e le città. Portatori di qualità con sul groppo questa storia lunga secoli, con le idee e le utopie, anche. Già, utopie: quali utopie mi chiedo può avere un prestatore di servizi?
Eliminare le parole architetto o ingegnere azzera tutto ciò, lo butta via. Già lo fece la SUPSI anni fa cambiando il nome delle sue facoltà, come se da lì non uscissero più ingegneri e architetti. Oggi è lo Stato Federale con le sue leggi: via la parola architetto, via quella di ingegnere, è un prestatore di servizi. Non si direbbe che importi la qualità, la professionalità, il mestiere, la dignità. È un banale prestatore di servizi, come quello che di recente offre il suo lavoro a franchi 60 all’ora in un concorso promosso dall’USTRA, e si becca l’incarico.
La Conferenza delle associazioni tecniche del Canton Ticino (CAT), in una lettera indirizzata all’Ufficio federale delle strade (USTRA) scrisse che «... abbiamo appreso, con non poca preoccupazione e stupore, che le prestazioni di direzione locale dei lavori da svolgere nell’ambito del progetto in oggetto sono state aggiudicate da voi per una tariffa oraria inferiore ai 60 franchi l’ora (...) Offerte e assegnazione di mandati a delle tariffe orarie così basse rappresentano delle situazioni che svalutano e ridicolizzano tutta la categoria ...».
E sapete cosa risponde l’USTRA? Cito solo alcune frasi, delle vere chicche. Come: «Trattandosi di una prestazione... normale nell’ambito dei lavori di risanamento autostradali... il nostro manuale interno prevede di assegnare al criterio prezzo una ponderazione del 40%». Come: «... riconosciamo che si situi ad un livello estremamente concorrenziale, ma tutto sommato in sintonia con analoghe offerte che riceviamo di questi tempi per altri mandati. Non si tratta pertanto di un valore singolo isolato, ma della tendenza attuale del mercato».
Non male questo ente pubblico – l’USTRA – che spreme fino a tariffe inimmaginabili le ditte che lavorano nel risanamento delle autostrade. Come se le autostrade non valessero niente, fossero una m...a senza alcuna qualità da salvaguardare. Qualità, guarda caso, realizzate proprio da ingegneri e architetti anni addietro, un lavoro oggi svenduto a sessanta franchi l’ora.
Risparmio energetico
Mi piacerebbe scrivere… del risparmio energetico, e dello Standard Minergie. E le malefatte che ne derivano. Per via degli importanti strati d’isolamento termico le facciate sono applicate a posteriori, roba posticcia dal design affidato all’estro del progettista. Guai a un ponte freddo, guai se una soletta o trave esce in facciata. Anche i balconi sono allora posticci. Se pubblico, poi, nell’edificio è proibito aprire qualsiasi finestra, anche se si trova di fronte a un grande prato, a un bosco. Non solo. Poiché l’edificio è ermetico come una cassaforte, per far respirare chi lo abita occorre un’apposita ventilazione, tubi che si sviluppano ulteriormente in un intrico appeso al soffitto quando i locali sono occupati da molte persone – come un’aula scolastica ad esempio.
La questione mi sembra chiara: il risparmio energetico è un tema, e finora le risposte date da architetti e ingegneri sono un pasticcio basato su tecniche esistenti che si rivelano essere obsolete. Occorre invece elaborare dei concetti innovativi, che finora né i luoghi della ricerca e della sperimentazione – come le scuole – hanno saputo dare, né tantomeno i pirandellismi inventati dalle Archistar.
Occorre riflettere sul passato per inventare il futuro. Il passato è quello di quando architettura e ingegneria vivevano sulla ricerca e la sperimentazione e l’innovazione per inventare e trovare risposte adeguate a nuovi temi, che allora erano i nuovi materiali costruttivi, l’espansione delle città, l’alloggio per tutti, un nuovo linguaggio compositivo e così via. Oggi è il risparmio energetico che le chiede, le soluzioni.
Anche se oggi è più difficile, tanto è vero che i protagonisti di oggi sono le Archistar, mentre quelli di allora erano i Maestri. Una bella differenza.
Questo è l’ultimo Diario dell’architetto: Good Night, and Good Luck
Se su questa pagina ho ripetuto «Mi piacerebbe scrivere di...» è perché il mio tempo è scaduto. Questo che avete letto è il mio ottantatreesimo Diario dell’architetto. Il primo fu pubblicato nel numero 4 del 2003 di Archi. Troppi probabilmente: ho sempre più l’impressione di scrivere cose già scritte. Avrei dovuto smettere già tempo fa.
Lo faccio ora. Per accomiatarmi da tutti quelli che hanno avuto la pazienza in questi anni di leggermi, prendo in prestito l’augurio formulato in una frase, ripetutamente detta in un film del 2005 di George Clooney: Good Night, and Good Luck. 1
Note
- Good Night, and Good Luck è il titolo di un bel film diretto da George Clooney, apparso nel 2005. La storia di un giornalista, anchorman alla radio CBS con una sua rubrica ogni martedì, che denuncia gli eccessi e le ingiustizie provocati negli anni Cinquanta dal senatore Joseph McCarthy contro la «minaccia comunista». Good Night, and Good Luck è la frase che il giornalista usava per salutare gli ascoltatori al termine del suo programma.