Recensione a «Verso un’architettura ecocentrica» di Daniele Vadalà
Un libro utile e suggestivo che suggerisce di ripensare le premesse fondamentali della nostra professione, invitando a immaginare le ricadute positive che potrebbe determinare, se si lasciasse ispirare da alti valori sociali e da una visione più responsabile del rapporto col pianeta.
Quello dell’architettura ecocentrica è un tema non nuovo, nel dibattito contemporaneo. Introdotto nell’Almanacco di un mondo semplice (1949) da Aldo Leopold, sostenitore di una nuova land ethic della gestione ambientale, e in sintonia con i presupposti teorici della deep ecology enunciata da Arne Næss e George Sessions, l’ecocentrismo indica – secondo il pensiero del filosofo Stan Rowe – una esplicita attenzione verso il ruolo attivo dell’elemento umano come elemento regolatore dell’ambiente e delle comunità biotiche, che comporta il superamento della tradizione di pensiero antropocentrica in favore di una più consapevole alleanza tra gli esseri umani e la Terra.
Il volume di Daniele Vadalà – già docente di Storia dell’architettura contemporanea a Reggio Calabria e Catania, oggi funzionario presso la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del MIBAC – si pone l’obiettivo di individuare alcune esperienze comuni rispetto a questo tema, identificandolo come idea di progettazione «ulteriore» piuttosto che «altra», e come un modus operandi che si aggiunge – piuttosto che porsi in modo alternativo – rispetto a quello dell’architettura globalizzata.
La prima parte del testo, che riguarda una puntuale analisi delle sue premesse teoriche, si sviluppa attraverso la rilettura di alcuni riferimenti culturali fondamentali: Tim Ingold, che ha sottolineato il paradosso dell’idea di «mutamento ambientale globale», in cui si pretende che le emergenze ambientali siano proiettate a scala planetaria, piuttosto che a scala umana e locale; Walter Gropius, che ha promosso i principi dell’«architettura integrata», secondo la quale l’omologazione dello spazio costruito può essere contrastata solo attraverso un dialogo tra competenze diverse, capaci di confrontarsi con tutti gli elementi che caratterizzano uno specifico contesto; Jane Jacobs, per l’idea di considerare le infrastrutture collettive come elementi indispensabili per il pieno svolgersi della vita civile e per il riconoscimento dell’importanza della diversità produttiva e della conoscenza accumulata a livello locale per la salute della città; Paul Shrivastava, che ha proposto una trasposizione del paradigma ecocentrico nel contesto economico e della gestione d’impresa.
La seconda parte riguarda l’analisi delle sue espressioni nel panorama contemporaneo: prima illustrandone alcune esperienze emblematiche degli anni Ottanta e Novanta, come le cantine in pietra in Francia di Gilles Perraudin, la Cappella del Collegio del Sacro Cuore a Tuléar in Madagascar di Hervé Brugoux, i centri culturali a Kaolack e a Ziguinchor in Senegal di Patrick Dujarric e l’asilo gesuitico ad Antofagasta in Cile di Glenda Kapstein, poi guidando il lettore in uno stimolante itinerario nell’architettura degli ultimi vent’anni che attraversa diversi ambiti del progetto: l’abitare collettivo, la casa unifamiliare, i nuovi spazi per il terziario e l’educazione, i luoghi del commercio, i luoghi per il tempo libero e i parchi culturali, le infrastrutture per lo sviluppo locale, i luoghi della cura e i luoghi dello spirito.
Particolarmente in questi tempi di grandi mutamenti sociali, economici ed ambientali, Verso un’architettura ecocentrica è un libro utile e suggestivo. Ricostruisce attraverso opere e scritti la storia di una declinazione che si distingue nettamente da altre correnti del pensiero ambientale. Individua i tratti comuni delle sue espressioni più recenti attraverso un ricco repertorio di opere realizzate. Soprattutto, però, offre l’occasione di una riflessione di carattere metodologico, che ci porta a riconsiderare le premesse fondamentali della nostra professione, e a ripensare alle ricadute positive che può potenzialmente determinare, quando ispirata da alti valori sociali e da una visione più responsabile del nostro rapporto col pianeta.
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