Col­ti­vare la pie­tra: ar­chi­tet­ture mon­tane come dis­po­si­tivi di tras­for­ma­zione

«Quando abbiamo posto un’opera architettonica dentro, o fuori, il mucchio architettura di montagna, non vuol dire che il nostro occhio esercitato ha verificato la sua quintessenziale natura montana ma, semplicemente, che l’abbiamo posizionata rispetto a un insieme provvisorio, ancorché strutturato, di conoscenze relativamente oggettive, che si possono partecipare, che sono deducibili ed autoesplicative». – Bruno Reichlin, 1996

Date de publication
12-12-2023

La pubblicistica specializzata degli ultimi anni ha messo in luce diverse manifestazioni diffuse in ambito montano orientate alla rivitalizzazione delle comunità marginali, penalizzate dal fenomeno dell’abbandono, dal processo di spopolamento e dalla conseguente crisi di risorse. In questo quadro le nostre professioni hanno svolto un compito rilevante contribuendo alla rigenerazione e aggregazione di nuclei minori, al sostegno di attività locali in grado di creare migliori condizioni di vita, alla riconversione plurifunzionale destinata all’accoglienza così come alla riqualificazione di sentieri e percorsi ciclo-pedonali per renderli attrattivi a un turismo sostenibile.

Il dibattito interdisciplinare sul paesaggio e l’architettura alpina si è inoltre intensificato di fronte al riscaldamento climatico, che provoca la diminuzione dell’innevamento e lo scioglimento dei ghiacciai. Una situazione che porta a rivalutare le prospettive delle aree ad alta quota imponendo scelte strategiche che tengano insieme istanze ambientali e modelli progettuali virtuosi. Si sono così delineate una pluralità di ricerche che indagano modalità inedite di confronto con la montagna anche nei suoi aspetti sociali, economici e culturali, intrecciandosi sia con l’esigenza di apertura e mobilità, sia con la riappropriazione di borghi dove la storia sfoggia la sua «attualità», conferendo ai luoghi nuove connotazioni identitarie tramite il recupero delle preesistenze e la condivisione partecipativa.

Roberto Dini osserva, infatti, che l’eredità alpina non va concepita solo come «patrimonio nel senso fisico e statico di manufatti, opere, infrastrutture che hanno plasmato nei secoli la montagna, ma soprattutto [come] quel bagaglio di culture, conoscenze, approcci e dispositivi progettuali “attivi” che hanno consentito di volta in volta alle comunità che la abitano di relazionarsi in modo consapevole con il territorio e di reinventarsi, adattandosi con repentinità agli scenari di cambiamento». D’altra parte, una serie di opere emblematiche che esplorano differenti declinazioni progettuali fuori e dentro la montagna, cercando una risoluzione compositiva e spaziale del rapporto col dislivello roccioso attraverso le murature in calcestruzzo, permettono ad Alberto Bologna di soffermarsi su alcuni tratti particolari dell’arte di costruire in montagna, esaminando il ruolo del cemento armato in quanto vero e proprio strumento di mediazione tra il fabbricato e la natura: «un ruolo che va al di là del suo essere mera materia».

All’interno di questo panorama e sempre nella convinzione dell’inscindibile rapporto tra locale e universale, variegate iniziative, spesso nate da occasioni fortuite, esplorano la piccola scala e costituiscono un terreno fertile di sperimentazione architettonica – insediativa, tipologica, costruttiva – all’insegna della ricucitura dei tessuti e della valorizzazione delle peculiarità di ogni singolo contesto paesaggistico. Scenari innovativi che Archi illustra in questa occasione attraverso alcuni esempi significativi: una casa unifamiliare a Bedretto (Baserga Mozzetti), l’albergo diffuso di Corippo (Quaglia, Patà e Perret-Gentil), il recupero di strutture rurali a Saas-Fee (Christen) e Taneda (Studio Guscetti), perfino uno straordinario intervento tecnico quale l’itinerario del Giardino dei Ghiacciai a Cavaglia, ai piedi del massiccio del Bernina (Conzett Bronzini); sono testimonianze in grado di illustrare le potenzialità di questi approcci progettuali nell’avviamento di un processo di accudimento e manutenzione del territorio.

Infine – esulando dalla specificità del tema per ampliare la riflessione critica a nuove categorie d’analisi – questo numero si conclude con il contributo di Carlo Prati, il quale individua nei termini Figurazione, Intersezione, Instabilità e Relazione quattro caratteri che segnano l’architettura svizzera al tempo dell’Antropocene.

Novità nelle rubriche di Archi

 

In questo numero Archi presenta due novità: una veste rinnovata della rubrica ESPAZIUM che promuove le pubblicazioni e le varie attività del gruppo editoriale, sempre imperniata sulla cultura della costruzione, e la rubrica EXFABRICA che si rivolge a imprese, produttori, progettisti, specialisti e artigiani coinvolti nella realizzazione delle opere illustrate.

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