Bel­lin­zo­na, la nuo­va cit­tà

In questo numero di Archi, con la collaborazione del Laboratorio Ticino dell'AAM e del Seminario di Monte Carasso, ci occupiamo di Bellinzona, intesa come città nuova, recente, che necessita di essere progettata nei suoi nuovi spazi pubblici e senza previsioni pianificatorie espansive. Obiettivo di questa ricerca è di introdurre nella città diffusa quella chiarezza e riconoscibilità che possiamo trovare nelle aree centrali della città.

Data di pubblicazione
11-04-2016
Revision
11-04-2016

Le vigenti norme edilizie e le obsolete norme di piani regolatori nati vecchi, che pure accettiamo passivamente da almeno 40 anni, sono la causa della distruzione di 4’000 anni di storia dell’architettura e di tradizione del costruire il nostro territorio. Infatti i nostri avi avevano imparato a costruire il territorio nel rispetto ferreo, per necessità, dell’uso parsimonioso del territorio e delle risorse. Avevano imparato a costruire le case dove non era possibile altro: né prati, né campi, pascoli o boschi. Avevano imparato a costruire le case una vicina all’altra attorno a spazi di scambio e di magia (luoghi molto belli e strategici), una vicina all’altra per proteggersi dal freddo d’inverno e dal caldo d’estate, per costruire spazi, pubblici, privati e intimi nei quali identificarsi e attraverso i quali comunicare. 

Renato Maginetti, 2012

Se ritagliamo virtualmente una sezione trasversale est-ovest del territorio bellinzonese, compresa tra le montagne che definiscono la valle del Ticino, tagliando via gli insediamenti periferici a nord e a sud rispetto alla città – verso Arbedo e verso Giubiasco – il disegno urbano di Bellinzona appare ancora chiaro e leggibile, quasi come nelle vedute romantiche. La montagna, l’abitato antico e compatto con i suoi spazi pubblici, l’ordinata trama residenziale novecentesca costruita con la stazione ferroviaria, il grande sasso di Castelgrande, il parco costellato di edifici e spazi pubblici, il Ticino e la sua area golenale, e ancora la montagna. Poi, la chiarezza di questo disegno – che è da tutti riconoscibile e ha formato e consolidato l’immaginario degli abitanti e dei viaggiatori – si perde nella città nuova che si è espansa a nord e a sud. 

I lavori di ricerca che presentiamo in questo numero di Archi (elaborati dal Laboratorio Ticino dell’AAM e dal Seminario di Monte Carasso) sono dedicati alla città nuova – quella costruita in tempi più recenti – con l’obiettivo di progettare nuovi spazi pubblici, cassando previsioni pianificatorie espansive, e nuove densità capaci di introdurre ordine e regole insediative. Il fine che accomuna le ricerche è di introdurre nei territori della città diffusa un livello di chiarezza e riconoscibilità paragonabile a quello dell’area centrale della città. 

La sfida è di intervenire nella città nuova perché la sua forma tenda a quella razionale «necessità» che Renato Maginetti, lucido analista del territorio ticinese, considera propria della cultura insediativa precedente la fase espansiva, contraddistinta invece dallo spreco di risorse e dalla speculazione. Come ha più volte affermato Aurelio Galfetti, la chiave è il nuovo spazio pubblico. Esso deve rappresentare la cultura contemporanea e non può imitare le forme degli spazi ereditati dalla storia. Lo spazio pubblico deve essere aperto e inclusivo, per costituire il caposaldo della città nuova. 

L’interesse principale di queste ricerche consiste proprio nel carattere dei campioni di territorio esaminati: si tratta sempre di progetti di trasformazione del territorio già costruito. È questo dato che differenzia essenzialmente questi studi dalle pratiche pianificatorie azzonative tradizionali – responsabili degli effetti territoriali più disordinati – che si sono esercitate soprattutto nella previsione di nuovi insediamenti. Questi studi hanno prodotto progetti di organizzazione dello spazio, non di mera distribuzione di quantità insediative. Considerazioni queste che dimostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, che la formazione degli strumenti pianificatori non può prescindere dal contributo fondamentale della cultura e delle competenze dell’urbanistica, intesa come disciplina del progetto architettonico a grande scala. 

Queste ricerche stanno coltivando il terreno intermedio tra il piano e il progetto e stanno sperimentando i modi per ripensare gli strumenti di governo del territorio, destinati a sostituire i vecchi canoni della pianificazione azzonativa. La politica deve guardarli con interesse e tenerne conto, se intende realizzare pienamente l’uso parsimonioso del suolo previsto dalla legislazione federale.

I progetti di architettura di maggiore dimensione, tra quelli che di seguito pubblichiamo, partecipano alla tensione della ricerca urbanistica di cui abbiamo accennato e la interpretano con coerenza. Il progetto irb del gruppo Galfetti completa la dotazione di grandi edifici pubblici del parco urbano. La nuova sede del Dipartimento del territorio (di Sabina Snozzi Groisman, Gustavo Groisman e Luigi Snozzi) e la nuova sede amministrativa di AET (di Lucas Meyer, Ira Piattini + Francesco Fallavollita) svolgono con autorevolezza il ruolo proprio degli edifici pubblici, di diventare forti punti di riferimento nella trama urbana, favoriti dalla situazione che, collocandoli ai due estremi dell’asse stradale che collegherà la città alla nuova uscita dell’autostrada, li fa dialogare a distanza. Gli edifici residenziali di Giorgio Grasso e Massimo Giordani articolano invece interessanti spazi residenziali, diversi dai modi insediativi più frequentati in Ticino, e compatibili con le strategie descritte.

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