C’è abbastanza pietra in Svizzera?
La domanda può sembrare strana. Basta guardarsi attorno, la storia della Svizzera è intimamente legata ai giganti che la caratterizzano: il Santis, l’Eiger, la Jungfrau o il Cervino, tutte queste montagne mostrano gigantesche pareti di roccia grezza. Il granito o lo gneiss potrebbero essere utilizzati come materiale da costruzione robusto e durevole. Ma allora perché i cordoli dei nostri marciapiedi sono di pietra cinese? E ciò pone dei problemi? È a queste domande che vogliamo rispondere in questo articolo.
La prima considerazione che si può fare confrontando un cordolo di pietra svizzera con uno cinese è che il primo è più costoso, ma ha un impatto ambientale minore. Tuttavia, un esame più approfondito sembrerebbe quasi attestare il contrario. Per dimostrare la nostra tesi, affronteremo in successione i temi dell’esaurimento delle risorse minerarie, delle emissioni di CO2 e dell’analisi economica.
Per analizzare l’esaurimento delle risorse, si può fare riferimento al metodo classico dell’Analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessement) che considera l’impatto ambientale dall’estrazione del materiale, alla lavorazione, all’utilizzo, fino alla demolizione della struttura e al suo riutilizzo o smaltimento in discarica. La pietra, per la sua durabilità, e per il bassissimo consumo energetico durante la produzione è ovviamente un materiale che può essere considerato ecologico, malgrado ciò i metodi di calcolo convenzionali, a causa dei criteri di valutazione dell’esaurimento delle risorse, non permettono di evidenziare differenze tra i tipi di pietra o tra le regioni di estrazione.
Infatti il marmo vallesano di Saillon risulterà abbondante come quello di Carrara. Ciò è dovuto al fatto che i metodi LCA convenzionali considerano unicamente lo stock complessivo di pietra ritenendo che questo sia illimitatamente disponibile per l’estrazione. Ma qual’è l’effettiva disponibilità di molasse bernesi o di Losanna? Ogni cava ha le sue specificità e i suoi vincoli di sfruttamento. Per valutare lo stock di uno specifico tipo di roccia, occorre considerare fattori più ampi rispetto ai soli criteri geologici, estrattivi. La commercializzazione di una risorsa naturale dipende tanto da criteri socioeconomici quanto da criteri geologici.
Ad esempio sotto la città di Losanna, si trova in abbondanza la molassa con la quale sono stati costruiti gli edifici storici della città. Ma chi può immaginare che questa pietra sia facilmente disponibile? Questo è un fenomeno molto comune. Parigi è costruita su vecchie cave sotterranee che un tempo erano utilizzate per estrarre il calcare dagli edifici haussmanniani del centro città. Analogamente la crescita urbana si scontra con la possibilità di estrarre la risorsa necessaria per la sua costruzione. Questo conflitto per lo spazio, chiamato anche effetto NIMBY (not in my backyard), è stato recentemente evidenziato e mappato per i diversi cantoni svizzeri da Dimitra Ioannidou.1
Per utilizzare questa risorsa locale, spesso abbondante dal punto di vista geologico, ma inaccessibile a causa di vincoli sociali, dobbiamo ripensare le nostre politiche pubbliche in modo da sfruttare i rari giacimenti che affiorano per estrarre e commercializzare la pietra. Ad esempio, il cantiere per una nuova strada o lavori di riassetto urbanistico possono portare alla luce della roccia madre che, se estratta e impiegata in modo adeguato, potrebbe diventare l’elemento caratterizzante dei nostri centri urbani. La possibilità di accedere a queste risorse locali è prioritaria rispetto alla difesa della tradizione. Infatti, se la pietra non ha un utilizzo locale ma diventa un prodotto globale, vanno considerate le implicazioni socio-economiche legate al mercato interno e ai rischi geopolitici associati.
Un tasso elevato di importazioni, combinato con un calo della produzione locale, può aumentare la dipendenza da altri paesi per le risorse edilizia. Per esempio, un cambiamento nella politica di esportazione cinese, come nel caso attuale dei metalli, può esporre la Svizzera a una situazione critica se il suo consumo dipende quasi interamente dalla produzione di pochi altri paesi esportatori (Cina, Pakistan, Brasile, Norvegia). Questi rischi sono inclusi nella cosiddetta criticità delle materie prime. Tuttavia, è chiaro che questi problemi relativi alle risorse sono molto più importanti per i metalli rari o il litio che per la pietra.
Se l’aspetto di una pietra locale e di una d’importazione è lo stesso e il rischio geopolitico è limitato, perché allora utilizzare una risorsa locale? Sarà allora l’influsso sul riscaldamento globale a privilegiare una pietra indigena? I nostri studi sull’impatto ambientale della produzione di pietra da costruzione dimostrano che le emissioni di CO2 sono generate solo in minima parte dall’estrazione e maggiormente dalla sua lavorazione. Nel caso della pietra non è il materiale in sé a pesare nell’impatto ambientale, ma bensì il materiale asportato. Più materiale si estrae e più fasi di lavorazione subisce, maggiore sarà il suo impatto ambientale.
Una pietra non trattata avrà quindi un impatto molto minore rispetto a una più lavorata (lucidata, bocciardata). Spessi muri di pietra grezza avranno quindi un basso impatto, l’opposto del caso del calcestruzzo, dove a un minore impiego di materiale ne corrisponde uno minore. La pietra, pur essendo un prodotto lavorato dell’uomo, resta soprattutto un materiale naturale.
Tuttavia, oltre alla sua produzione, va considerato anche il suo trasporto. Il carico ambientale della pietra raddoppia dopo un tragitto di 300 km in camion. Un muro apparecchiato in pietra e malta di calce avrà lo stesso bilancio di un muro di calcestruzzo se la pietra viene trasportata per più di 500 km, nel caso in cui il calcestruzzo sia prodotto localmente e trasportato per meno di 50 km. Naturalmente, se la pietra viene trasportata via acqua o su rotaia, l’impatto del trasporto è 10 volte inferiore a quello su gomma, e permette di estendere le distanze a più di 5’000 km. Con queste modalità l’impatto aggiuntivo risulta minimo se si trasporta una pietra dal Ticino o da Zurigo a Berna o Losanna.
Ma da Shanghai, l’impatto non è trascurabile. Una tassa sul CO2 per i trasporti consentirebbe quindi di ri-localizzare la produzione di pietra? Non è certo, poiché la pietra è usata come zavorra nelle navi portacontainer, il suo trasporto tra Cina ed Europa non pesa nell’impatto ambientale del materiale ma in quello dei prodotti trasportati. I blocchi di pietra abbassano il baricentro delle immense portacontainer, garantendo alle nostre T-Shirt di arrivare sane e salve in porto. Il CO2 viene emesso a causa della maglietta e non della pietra. L’attribuzione delle emissioni tra i co-prodotti di un’attività è una questione delicata nell’Analisi del ciclo di vita perché non esiste una risposta esatta. Sembra invece chiaro che parte delle emissioni dovute al trasporto debbano essere ripartite tra le diverse merci.
Questa suddivisione è spesso proporzionale al valore economico dei diversi prodotti. Un prodotto che non ha valore, se trasportato insieme a prodotti di valore, non avrà alcun impatto ambientale associato al suo trasporto. Questa regola di ripartizione non risulta però favorevole alle pietre da costruzione locali di basso valore come il granito o la molassa svizzera. Il discorso cambia per ciò che riguarda i marmi o pietre ornamentali.
Se l’impatto ambientale non è un criterio discriminante tra la pietra locale e la pietra importata, dobbiamo mettere a confronto i prezzi e il costo di queste pietre. Quale è la più conveniente? Un’analisi semplicistica si limiterebbe a considerare il prezzo sull’etichetta, ma ciò non terrebbe conto dell’impatto economico di questo materiale. Infatti, per considerare questo aspetto, ossia le conseguenze indotte dalla scelta di acquistare un prodotto o l’altro, è necessario considerare il flusso di denaro all’interno della società e non solo il prezzo finale. Così come abbiamo osservato nelle ripercussioni delle nostre scelte sull’ambiente, non ci limiteremo alle sole emissioni dirette.2
L’analisi degli investimenti nella produzione dei materiali ci ha condotti a studiare i flussi di denaro ad essa associati. Il capitale viene utilizzato per acquistare energia fossile o per pagare un salario che sarà poi reinvestito localmente? Valutiamo il costo per l’investitore o il beneficio per la società? Investire in un materiale da costruzione, che si tratti di legno, cemento, paglia o pietra, non ha le stesse conseguenze in termini di promozione di una certa organizzazione dei mezzi di produzione.
Acquistare un materiale ad alta energia grigia significa investire una quantità significativa di denaro per acquisire l’energia fossile utilizzata per la sua produzione. Investire nel lavoro invece che in energia fossile permette di costruire un mondo differente. Ma se questo lavoro è in Svizzera o in Cina quale è la differenza in una visione globale e umanista? Investendo nella manodopera cinese, vengono a mancare i contributi per le imposte e il sistema pensionistico svizzero.
La scelta di una pietra svizzera non è quindi una questione ambientale, né una scelta che può privilegiare il lavoro piuttosto che l’energia fossile, si tratta di una questione sociale. Scegliere una pietra svizzera implica la valorizzazione delle specificità di sviluppo locali, armonizzandone l’estrazione e l’utilizzo nei lavori di costruzione, inscrivendola così a pieno titolo nell’economia circolare emergente. La pietra svizzera inoltre permette di sostenere il finanziamento del secondo pilastro del sistema previdenziale. Citando le parole di un nativo americano: «Una tecnologia appropriata ci ricorda che prima di scegliere i nostri strumenti e le nostre tecniche, dobbiamo scegliere i nostri sogni e i nostri valori, perché alcune tecnologie servono alla loro realizzazione, mentre altre le rendono inaccessibili».
Traduzione di Graziella Zannone Milan
Note
1. Dimitra Ioannidou, Grégoire Meylan, Guido Sonnemann, Guillaume Habert, Le gravier se fait-il rare? Évaluer la criticité locale des granulats de construction, in «Resourses, Conservation and Recycling» (Amsterdam), n. 126, 2017, pp. 25-33.
2. Dimitra Ioannidou, Stefano Zerbi, Borja García de Soto, Guillaume Habert, Where does the money go? Economic flow analysis of construction projects, in «Building Research & Information» (Abingdon), n. 44 (4), 2018, pp. 348-366, in francese Où va l’argent? Analyse des flux économiques des projets de construction.