Coo­pe­ra­ti­ve di abi­ta­zio­ne: dal­la ca­sa uni­fa­mi­lia­re al "di­rit­to al­la cit­tà"

«Se l’abitare non è solo risiedere ma anche orientarsi nel mondo e modificarlo e mettere in atto processi di attribuzione di senso agli eventi e ai luoghi, è possibile che ciò si dia senza relazioni interpersonali e sociali, senza un rapporto diretto con l’altro? È possibile tutto ciò senza socialità e condivisione, ivi compresa la condivisione e la cura di luoghi e paesaggi?».

Henri Lefebvre, 1947

 

Data di pubblicazione
19-02-2018
Revision
19-02-2018

Archi apre questa nuova fase della sua esistenza con un tema che riguarda l’ormai classica questione delle abitazioni. Dopo gli anni Settanta e Ottanta che hanno visto i principali architetti ticinesi dedicarsi soprattutto a una feconda sperimentazione tipologica sulla casa unifamiliare, occorre attraversare l’ultimo ventennio del laboratorio Ticino1 per registrare alcuni tentativi di indagare le potenzialità insediative e funzionali dell’edificio plurifamiliare – due tipi che costituiscono un tema centrale nel dibattito europeo sull’edilizia popolare fra Otto e Novecento e che esprimono antitetiche concezioni dell’abitare, rinviando a differenti tradizioni culturali e disciplinari –. 

Paradossalmente, occupandosi di quartieri di abitazione cooperativi, Archi affronta un tema quasi inesistente – almeno dal punto di vista dell’edilizia materiale – nell’attuale panorama abitativo della Svizzera italiana. Quali siano le ragioni strutturali (economiche, politiche, sociologiche, di mentalità) per cui il modello cooperativo ampliamente diffuso nel resto della Confederazione non abbia avuto successo nel Canton Ticino esula da questo appuntamento, ma auspichiamo che le discipline direttamente interessate all’argomento trovino il modo di approfondire questi aspetti teorici basilari per capire le caratteristiche di un contesto che si è finora dimostrato particolarmente refrattario a una modalità abitativa intrinsecamente democratica e così diffusa altrove, nelle sue più varie articolazioni, come strumento di riequilibrio delle disuguaglianze sociali.

Risulta evidente che anche in Ticino, di fronte alla devastazione speculativa del territorio, alla conseguente necessità di tutela del patrimonio architettonico e paesaggistico e quindi alle esigenze di densificazione del tessuto urbano, incentivare altre dimensioni di socialità potrebbe rivelarsi una risposta efficace. Forse una risposta di resistenza (termine frequente tra i protagonisti della migliore tradizione del moderno in Ticino), tesa ad esplorare possibilità abitative alternative che aumentino la qualità della vita interagendo positivamente con lo spazio pubblico della città e con l’uso sostenibile del territorio. Non a caso, di fronte ad analoghe esigenze, emerge oggi un’inusitata vitalità – sostenuta da fondi pubblici e concorsi di architettura che promuovono l’innovazione nella ricerca sulla residenza – sia nella Svizzera tedesca che in quella romanda. Questa vitalità sta trasformando radicalmente intere «parti di città», evidenziando peraltro sia la volontà politica di dare risposta al diritto alla casa – sancito come mandato costituzionale dalla carta statutaria dei committenti di abitazioni di utilità pubblica – sia la crescente consapevolezza dei cittadini sulla necessità di prendere l’iniziativa nell’autogestione collettiva della vita quotidiana. 

In ogni caso, come la ricerca storica più avveduta ci dimostra, la città è sempre stata un «campo di battaglia», in cui spesso i vuoti (o i progetti mancati) sono più rivelatori dei pieni (l’edilizia materiale) – parlano di dinamiche sociali, rappresentazioni simboliche, resistenze2 – e quindi questa assenza risulta in questo caso significativa di un approccio critico che – in perfetta continuità con la linea editoriale che ha sempre caratterizzato la rivista – si pone ora come portavoce di problematiche che registrano una nuova sensibilità sulle questioni territoriali e paesaggistiche, sulla sempre più diffusa consapevolezza del «diritto alla città»3 e sull’importanza del patrimonio costruito come bene comune. 

Malgrado un quadro apparentemente cristallizzato a sud delle Alpi – o forse proprio per questa ragione – Archi vuole assumere in questa occasione un ruolo preciso: introdurre il tema tramite voci autorevoli, indicare esempi qualitativi di riferimento, promuovere il dibattito, registrare indizi di rinnovamento, rilevare un cambio di clima che coinvolge una nuova generazione di professionisti impegnati nei più diversi fronti per la difesa di quella cultura della costruzione che costituisce l’essenza stessa del nostro compito.

 

Note

  1. Cfr. R. Masiero, Laboratorio Ticino 2000, Archi 5/2000, pp. 10-13.
  2. Cfr. G. Duby, Storia sociale e ideologie della società, in J. Le Goff, P. Nora (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Torino 1981, pp. 117-138 (Paris 1974).
  3. Cfr. H. Lefebvre, Il diritto alla città, Padova 1970, p. 48 (Paris 1968).

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