I MSP, uno strumento in evoluzione/2
Archi 6/2021 è stato dedicato all'analisi dello strumento dei Mandati di Studio Paralleli da svariate angolature. Quello che sembra emergere – oltre al loro crescente utilizzo – è la complessità e la versatilità di questo tipo di procedura. Abbiamo utilizzato la rubrica concorsi di Archi per lanciare il dibattito che avrà luogo sulla piattaforma espazium.ch, nella quale vari professionisti risponderanno ad alcune domande riguardo questo strumento di lavoro. L’idea è mettere in luce diversi punti di vista per meglio comprendere in che modo realizzare appieno le potenzialità intrinseche di questa procedura; da qui il titolo: «uno strumento in evoluzione». Questi aspetti rendono la discussione attorno ai Mandati di Studio Paralleli molto produttiva, a volte polemica, ma spesso confinata in ambiti molto ristretti. Con la serie di interviste su espazium.ch si vuole invece portare alla luce le diverse linee di pensiero, dando spazio a ogni opinione con l’obiettivo di generare un dibattito che possa contribuire a un buon utilizzo dei MSP.
Proseguiamo questo scambio di opinioni con Sophie Agata Ambroise (SAA), architetto paesaggista titolare dello studio Officina del Paesaggio e Matteo Inches (MI), architetto titolare dello studio Inches Geleta Architetti.
Entrambi hanno partecipato a svariati MSP e le loro proposte sono risultate più volte vincenti.
PV: Al contrario dei concorsi di progettazione, i MSP non sembrano essere altrettanto chiaramente definiti: che potenzialità e che rischi vede nell’utilizzo del MSP?
SAA: Ho l’impressione che sotto questa denominazione si mettano tante cose. Ho partecipato a vari MSP e posso testimoniare che possono essere una grande occasione per lavorare in modo transdisciplinare e creare una cultura del progetto trasversale tra ingegneri, architetti, paesaggisti e un confronto diretto con funzionari pubblici, tecnici e i politici. Un grande momento di crescita civile.
E’ fondamentale, però, creare una giuria di committenti e intellettuali che abbiano la capacità di dialogare e che siano preparati a sufficienza per valutare ogni componente della visione progettuale che il MSP deve proporre. Se parliamo di spazi pubblici è chiaro che va composta una giuria anche con professionisti architetti, paesaggisti e urbanisti con esperienze di lavoro riconosciute in questo ambito e non vincolati mentalmente dalla politica e dalle dinamiche locali, che rischiano di essere un ostacolo nella creazione di una visione. Dico questo quando mi sento ottimista.
Quando mi sento pessimista, invece, penso che tutto il lavoro fatto non riesce a incidere sulle scelte future.
MI: In realtà i MSP, perlomeno quelli a cui abbiamo partecipato, sono chiaramente calibrati per quanto riguarda gli obiettivi del committente, e alcuni addirittura fin troppo dettagliati nei contenuti, al punto da rasentare la struttura di un concorso. I rischi intrinseci della procedura sono da un lato una mole di lavoro sproporzionata per i partecipanti, dall'altro il fatto che le idee di partenza del committente siano troppo definite e «preconfezionate», col rischio di non stimolare il giusto dibattito nel corso del MSP, che dovrebbe piuttosto essere un momento di confronto d'idee e di proposte. Uno studio, appunto.
PV: Il Mandato di studio parallelo deve essere uno strumento esclusivamente urbanistico con lo scopo di definire l’architettura che ne conseguirà?
SAA: Mettere a fuoco le problematiche è già un primo passo positivo. E possibilmente ci vuole una committenza illuminata, che deve poter trascendere gli interessi economici e farsi guidare dal desiderio di migliorare la qualità della vita attraverso l’applicazione di una visione civica per il territorio e la popolazione che lo abita. E per far ciò occorrono politici e tecnici all’altezza.
Va bene il MSP, ma poi? I professionisti che hanno vinto il mandato di studio dovrebbero continuare a essere interpellati o coinvolti, anche come consulenti, per poter portare avanti le diverse decisioni a tutti i livelli: altrimenti il lavoro di studio rimane sulla carta.
Mi chiedo se a volte in Ticino il MSP non serva a giustificare decisioni già prese in precedenza. Se così fosse, questo è l’uso peggiore che se ne possa fare.
MI: No, trovo sia piuttosto da assumere come valido il modus operandi dell’MSP, in cui il confronto aperto col committente gioca un ruolo decisivo. Auspicherei, tuttavia, un vero dibattito in occasione degli incontri intermedi col committente e non una mera presentazione, che sfocia in un successivo rapporto intermedio; in alcuni MPS a cui abbiamo partecipato si è verificato quest'ultimo caso.
PV: Non vi è il rischio che i MSP diventino una «camicia di forza» per i concorsi di progettazione?
SAA: Lo scopo dei MSP dovrebbe essere l’elaborazione di una visione, non di un progetto, né definitivo né tanto meno esecutivo. Dopo che si è decisa la visione per il futuro, occorre interpellare i professionisti adeguati per elaborare i vari progetti che dovranno aderire a questa visione, coordinandosi con il team di progettisti che ha vinto il mandato. Il team dovrebbe poter tenere le redini della visione, del pensiero e della direzione generale. Oltre ai professionisti esterni come membri della giuria, penso bisognerebbe poter contare su funzionari formati in grado di gestire il MSP e il suo sviluppo.
MI: Non trovo sia un rischio, bensì un'ovvia conseguenza del MSP. E sono d'accordo che la visione di un professionista, prescelta da un collegio di esperti, venga poi consolidata tramite un concorso di progettazione che garantirà, in ogni caso, un ampio spettro di soluzioni architettoniche.
PV: Crede che si potrebbe rendere più democratica e partecipativa questa procedura?
SAA: Sì, ritengo che dovrebbero poter partecipare più giovani professionisti, formati alla costruzione di spazi pubblici e al pensiero urbanistico. E qui scarseggiano, perché sono ancora poche le scuole che formano a un alto livello in questa direzione. Non capisco questa procedura che richiede curriculum incredibili per poter partecipare. Chi ha costruito il nostro territorio da decenni, ha già detto quel che aveva da dire e grandi esempi di spazi pubblici recenti e di qualità in Ticino si contano sulle dita di una mano. Bisogna capire se si è in grado di affrontare il tema e trovare soluzioni nuove a problemi nuovi, apparentemente semplici ma in fondo molto complessi. Inoltre, bisognerebbe coinvolgere la popolazione prima, e non a cose fatte, per esempio tramite associazioni di cittadini che portino i loro bisogni, desideri e idee.
Un buon progetto deve interpretare il desiderio profondo della committenza e realizzarlo, non piegarsi a desideri semplici delle singole persone. Noi architetti, paesaggisti o ingegneri, così come i medici, dovremmo saperci mettere all'ascolto del «paziente» trovando la soluzione giusta che lo faccia star meglio. Uno spazio pubblico di qualità non deve essere bello, ma deve far star bene chi vi sosta e vi vive.
Far capire cos’è uno spazio pubblico oggi è un lavoro culturale enorme e urgente, ma se ben condotto può far crescere tutti.
MI: Si potrebbero coinvolgere più studi, calibrando però la mole di lavoro richiesta. Si otterrebbero più riflessioni, vere e proprie idee, che l'ente banditore può valutare.
PV: È giusto che i MSP in certe situazioni sfocino in un mandato diretto di progettazione?
SAA: Per me il progetto è la bellezza di poter costruire. Provo frustrazione quando progetto e non posso costruire. C'è chi invece si compiace di riempire i cassetti di disegni, premi o acquisti. Questi MSP dovrebbero sfociare in spazi pubblici costruiti. Arriveranno o dovremo aspettare ancora altri 50 anni, quando ormai ogni spazio libero sarà stato cementificato?
Tutto dimostra che i piccoli spazi pubblici creano la città: strade, spazi verdi, mobilità lenta, piazze.
I miei colleghi d'oltralpe, soci nel MSP del lungolago di Lugano mi dicevano: «In Ticino non avete capito cos’è un MSP. Deve essere una visione, un fil rouge che aiuta a portare avanti il futuro. Invece in Ticino, per tre soldi, accettate di sviluppare progetti che sono già quasi dei progetti definitivi». Non si può far fare un MSP molto approfondito per poi far rifare tutto daccapo, in un concorso di progettazione che non indirizza i progettisti nella medesima direzione, oppure che crea progetti di minore qualità rispetto a quelli del MSP: il risultato sono pessimi copioni e tanta energia persa.
Il dialogo scaturito dal MSP deve essere mantenuto vivo tra progettisti, tecnici, funzionari, cittadinanza e politici.
MI: In linea di principio non sono contrario; penso sia corretto, per esempio, approfondire le soluzioni che emergono dal MSP se queste ultime si rivolgono a un necessario consolidamento di pianificazione.
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