Il gia­ci­men­to di co­no­scen­ze del­la SUPSI

«Nel campo dell’architettura l'essere in sé, per quanto monolitico e autoreferenziale possa pretendere di farsi, non toglie mai né riduce l’essere-per-gli-altri».

Nicola Emery, 2007

Data di pubblicazione
02-10-2017
Revision
02-10-2017

Considerando i tempi lunghi della storia, i progressi della scienza e della tecnica hanno sempre fatto avanzare l’umanità nella salute e nel benessere, ma sono anche stati periodicamente interrotti da fasi di regresso, di ritorno indietro rispetto alle conquiste che sembravano definitivamente acquisite. Il nostro tempo, così diverso dagli altri per la dimensione globale delle conoscenze e dei mercati, ci ha riservato anche la particolarità di vivere contemporaneamente il costante progredire delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche, insieme a violenti fenomeni culturali di ritorno al medioevo – con guerre, stragi di popolazione civile, siccità e fame. Nel mondo occidentale, nel quale sono concentrate gran parte delle regioni più progredite, si vive anche un’altra contraddizione, di natura culturale, tra il valore dell’elaborazione tecnico-scientifica e la sua credibilità e condivisione popolare. Si pensi che gli USA, la nazione da mezzo secolo all’avanguardia del progresso scientifico grazie agli immensi investimenti privati e pubblici nella ricerca, oggi sono governati da un presidente che ritiene il riscaldamento globale una fandonia inventata dai cinesi per danneggiare l’economia americana. E sembra che la sua convinzione non venga sfiorata dal dubbio, neanche davanti ai disastri climatici che in queste settimane hanno devastato tante parti del suo paese. Oppure si pensi ai movimenti sorti in Italia contro la vaccinazione dei bambini – alla quale lo Stato chiede di sottoporsi prima dell’iscrizione alle scuole – finalizzata a impedire la trasmissione di alcune malattie ancora diffuse, proteggendo così i soggetti più deboli.

Questa lunga premessa sulla contraddizione tra ricerca tecnico-scientifica e consapevolezza diffusa della sua attendibilità e necessità per il bene comune, è per sottolineare come le istituzioni che si dedicano alla ricerca e alla diffusione della conoscenza debbano essere riconosciute e sostenute da tutti come elementi fondamentali del vivere civile. La Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) festeggia venti anni da quando ha assunto questa forma istituzionale, trasformando la gloriosa «Scuola Tecnica» in un centro di studi, ricerca applicata, didattica di base e formazione continua, coinvolgendo esperti, studiosi, professionisti e studenti e formando un vero giacimento di conoscenze per l’economia e la cultura del Cantone. In particolare, oltre alle più stimolanti attività di ricerca e al loro sviluppo sul territorio, ad Archi interessa il contributo importante e specifico della SUPSI alla cultura della costruzione e le relazioni che intratterrà con l’Accademia di architettura, quando la nuova sede del Dipartimento ambiente costruzioni e design occuperà la nuova sede di Mendrisio. In che misura gli architetti e, in generale, i tecnici formati dalla SUPSI per lavorare nel mondo della costruzione e gli architetti formati dall’Accademia saranno in competizione o avranno, invece, formazioni culturali e titoli differenziati e complementari? Delle conoscenze tecnico-scientifiche proprie della SUPSI potrà usufruire anche la struttura didattica dell’Accademia? E, viceversa, delle ricerche e delle conoscenze storico-umanistiche proprie dell’Accademia potrà usufruire la struttura didattica del Dipartimento della SUPSI? E il patrimonio di ricerche e di ricercatori proprio della SUPSI potrà essere considerato risorsa conoscitiva comune del mondo universitario?

Questi e altri sono quesiti ai quali soltanto la comune esperienza sul territorio di Mendrisio potrà dare risposte esaurienti. Per ora prendiamo atto della comune e convinta volontà costruttiva che è stata espressa dai dirigenti di SUPSI e USI durante la tavola rotonda* che Archi ha organizzato su questi temi. A noi, che abbiamo la missione di rappresentare criticamente la cultura ticinese della costruzione, sembra che il dialogo e lo scambio tra le due scuole sia la strada da perseguire con determinazione e che la condizione perché lo scambio sia efficace è che avvenga tra diversi. Cioè che entrambe le scuole mettano a punto i loro programmi finalizzandoli a formazioni specifiche differenziate, offrendo così al mestiere e alla cultura locale più punti di vista prospetticamente diversi e quindi capaci di leggere sempre più criticamente la realtà.

La cultura architettonica e ingegneristica ticinese sta cercando strade nuove rispetto alla tradizione del moderno fondata negli anni Settanta del secolo scorso. È una condizione che abbiamo chiamato «laboratorio Ticino», che si alimenta di ricerche a tutto campo e che sarebbe notevolmente favorita dalla contemporanea produzione di ricerca delle due scuole. Bisogna tuttavia che la produzione di ricerca avvenga in connessione con il territorio, che lo scambio sia multiplo, che si rompano i confini tra mondo professionale e scuole, che tutte le istanze siano aperte e dialoganti, affinché la conoscenza e le ragioni della trasformazione parsimoniosa del territorio diventino sempre più diffuse.

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