Il MSP, uno strumento in evoluzione/3
ARCHI 6/2021 è stato dedicato all’analisi dello strumento dei Mandati di Studio Paralleli da varie angolature. Sembra emergere, oltre al loro crescente utilizzo, la complessità e la versatilità di questo tipo di procedura: espazium prosegue ora il dibattito, attraverso la terza intervista a Nicola Baserga e Stefano Rotzler.
L’idea è mettere in luce diversi punti di vista per meglio comprendere in che modo realizzare appieno le potenzialità intrinseche della procedura dei MSP; da qui il titolo «uno strumento in evoluzione». Tutti questi aspetti rendono la discussione attorno ai mandati di studio paralleli molto produttiva, a volte polemica, ma spesso confinata in ambiti molto ristretti. La serie di interviste su espazium.ch porta alla luce diverse linee di pensiero, dando spazio a ogni opinione con l’obiettivo di generare un dibattito che possa contribuire a un buon utilizzo dei MSP. Concludiamo questo scambio di opinioni con Nicola Baserga (NB), architetto titolare dello studio Baserga Mozzetti architetti, vincitore di numerosi concorsi e MSP e con Stefan Rotzler (SR), architetto paesaggista, vincitore di MSP e membro di innumerevoli collegi di esperti.
Tentiamo di condensare la grande varietà di pensieri e aspetti scaturiti da queste due discussioni.
PV: Al contrario dei concorsi di progettazione, i MSP non sembrano essere altrettanto chiaramente definiti, che potenzialità e che rischi vede nell’utilizzo del MSP?
NB: La potenzialità risiede nel dialogo con la committenza ed il gremio di esperti, che permette di riflettere su temi ampi con i vari attori e altri professionisti, facilitando la ricerca di un consenso. Può essere un’ottima procedura con scopo esplorativo, in particolare in ambiti territoriali, che può idealmente sfociare in successivi concorsi di progetto.
Ci sono però anche dei rischi. Capita che si facciano dei concorsi di progetto mascherati da MSP, ossia veri e propri concorsi per definizione dei compiti e dei risultati, ma che non impegnano la committenza. Le richieste sono a volte eccessive, chiedendo un impegno al gruppo sproporzionato allo scopo stesso del MSP, che dovrebbe, ripeto, essere piuttosto strumento d’indagine, non di progetto conclusivo. Un altro rischio è il possibile abuso da parte degli attori politici che sfruttano la potenzialità delle idee per le proprie strategie. Idee che poi scompaiono nell’oblio, in assenza di concreta volontà o necessità. Rispetto a questa problematica, occorrerebbe ad esempio maggior congruenza e controllo tra l’impegno richiesto ai progettisti e l’onere finanziario che la committenza assume. Succede pure che alcune visioni siano sviluppate successivamente senza l’interazione con gli autori, seppur ancora in ambito concettuale o di pianificazione. In questo senso c’è senz’altro un rischio di manipolazione, che potrebbe rappresentare il problema più sostanziale.
SR: Innanzitutto consiglio sempre di non invitare direttamente i team partecipanti, bensì di fare una prequalifica intelligente. Sono contrario a MSP con team invitati perché non si sa mai in che modo siano stati scelti e quali legami abbiano con membri della committenza.
Un aspetto problematico rimane la necessità di invitare i giovani, che troppo spesso sono tagliati fuori dai MSP, ma a cui è giusto dare la possibilità di partecipare. Per questo sono favorevole a un minimo di 3 e un massimo di 6 partecipanti con almeno un posto per une team giovane, anche se non è facile giustificarne la selezione fra i vari candidati. Secondo le mie esperienze, spesso prevalgono poi studi giovani o sconosciuti. Riguarda alla flessibilità dei MSP non vedo un problema, l’importante è definire chiaramente i bandi, i criteri di giudizio (per evitare ricorsi) e il lavoro che si richiede ai partecipanti.
In Ticino i ricorsi sono più frequenti, quindi consiglio di stabilire una ponderazione precisa per le prequalifiche. In Svizzera Interna invece si lascia più libertà, perché i ricorsi sono più rari.
PV: Il mandato di studio parallelo deve essere uno strumento esclusivamente urbanistico con lo scopo di definire l’architettura che ne conseguirà?
NB: Come detto penso che sia una procedura particolarmente utile quando si affrontano temi di scala territoriale, per approfondire una visione ampia, lungimirante e condivisa. Posso immaginarmi altre applicazioni in temi complessi, seppur di più ridotta scala, per i quali è interessante lo scambio tra i progettisti e gli altri attori. Ad esempio nello sviluppo di temi caratterizzati da interazioni con il tessuto sociale oppure a scopo innovativo, penso al potenziale non sfruttato da parte degli enti pubblici nella ricerca di soluzioni lungimiranti, in vari ambiti, non da ultimo in quello della sostenibilità. L’importante è che si sfrutti potenzialità e peculiarità del MSP e che siano a tutti chiare le finalità.
SR: I MSP possono coprire un ventaglio molto vasto, ma devono rimanere uno strumento flessibile, perché non si conoscono subito le soluzioni. In generale però i bandi sono troppo complicati. È importante ridurre la complessità delle consegne e lavorare sui temi generali, che non sempre sono chiari nelle fasi iniziali. Purtroppo, spesso si finisce per chiedere piante di appartamenti, posteggi, addirittura sezioni 1:20 di edifici: lo trovo inutile.
Non ho alcun problema con i rendering, anche se incantano soprattutto i membri del collegio di esperti non professionisti. Un modo per evitare questo problema è di vietarli oppure di definire uno o due punti di visualizzazione che si ritengono necessari.
In generale però preferisco lavorare sui modelli, lì non si può “mentire“ e sono molto più interessanti ai fini della discussione.
Più preoccupanti dei rendering per me sono i concorsi o MSP eseguiti utilizzando il BIM, dove si va a lavorare già su ogni dettaglio.
PV: Non vi è il rischio che i MSP diventino una camicia di forza per i concorsi di progettazione?
NB: Può anche essere. Un MSP che analizza un territorio abbastanza ampio può essere un valido sostituto della pianificazione tradizionale se mantiene un margine di modifica progettuale. Quando si vuole usarlo in scala ridotta, per assicurare l’aderenza ad una visione eccessivamente consolidata, si imbriglia progettista e sistema. I MSP devono analizzare delle situazioni complesse per poter orientare verso soluzioni percorribili, condivise ed attuabili, ma senza imporre un corsetto eccessivamente rigido. Quando diventano dei pre-concorsi di progetto, con risultanze e relative direttive troppo precise, inficiano la potenzialità sia del MSP che del successivo concorso di architettura.
SR: Bisogna iniziare con un bando aperto, che permetta di ponderare varie potenzialità e di trovare le principali problematiche. Delle volte durante la prima presentazione si palesano idee che vanno in direzioni inaspettate e a quel punto si discute e bisogna decidere in che direzione continuare.
In questo senso la presentazione intermedia è fondamentale per l’evolvere della discussione e trovare gli spunti giusti. Il dovere della giuria è di vedere le potenzialità delle visioni proposte, porre le domande principali e farle sviluppare. Con una sola discussione intermedia si decide da che parte andare, poi si portano dei risultati. Troppi incontri creano una mole di lavoro enorme che porta i concorrenti sempre più nel dettaglio per niente. Bisogna calcolare bene la quantità di lavoro che si vuole richiedere ai progettisti.
I committenti si sorprendono perché, quando si chiede ai partecipanti quante ore hanno lavorato emergono cifre orarie di 10-20 franchi e questo lo trovo inaccettabile.
PV: Crede che si potrebbe rendere più democratica e partecipativo questa procedura?
NB: Sì e no. Dipende dalla tipologia. Per un piano direttore può essere utile discutere di macro-strategie. In questo caso la condivisione preliminare o da un certo stadio, potrebbe essere ampia e pubblica. Se parliamo di un determinato tema contestuale occorrono competenze specifiche. Alcuni temi si prestano a dibattiti altri cadrebbero in gabbie inutili. Interessante sarebbe una maggiore condivisione all’interno della procedura di MSP. Infatti i MSP sono spesso gestiti come concorsi, senza condivisione con gli altri gruppi. Oltralpe la condivisione tra i gruppi è più esercitata rispetto al Ticino e a volte i gruppi giungono ad una soluzione condivisa. Accanto alla prassi che predilige competitività tra i gruppi e diversità delle soluzioni, si potrebbero esperimentare altre modalità.
SR: Certo, l’abbiamo già fatto in diverse maniere Oltralpe e ha sempre funzionato. Abbiamo fatto giurie aperte al pubblico con risultati molto positivi, ma ci vuole un po’ di disciplina, non possono prendere tutti la parola. Se c’è la possibilità di utilizzare l’energia delle persone per ricavarne spunti costruttivi non vedo problemi. Molti hanno paura però che si creino momenti esplosivi con il pubblico. A me non è mai capitato, ma immagino che dipenda dal fatto che ci siano o meno forti interessi da parte di privati. In un caso concreto che ho vissuto nel ruolo di esperto, è stato organizzato una sorta di mercato (in tedesco Echoraum), dove i partecipanti stavano davanti alle loro proposte e le spiegavano ai cittadini interessati. Questo ha permesso ai progettisti di effettuare correzioni in base a fattori che non conoscevano o non avevano considerato e al contempo il consenso popolare è stato ampio.
PV: È giusto che i MSP in certe situazioni sfocino in un mandato diretto di progettazione?
NB: Non lo escluderei a priori, ma occorre riflettere se sia opportuno, dato che la sua origine genetica è altrove, ossia è stato creato per favorire quello scambio che il concorso non permette. Questo significa poter eludere l’anonimato anche per mandati pubblici rilevanti. Qui ritorno sugli ambiti che si prestano agli MSP, insistendo sul valore territoriale e sociopolitico, allargando l’aspetto decisionale e di scelta di un progetto ad un gremio ampio e differenziato, allontanandolo dalle sembianze di un’usuale giuria. In questo caso è più concepibile un mandato successivo, proprio anche per il grado di complessità affrontato, difficilmente trasmissibile.
Tornando al tema precedente della partecipazione, mi permetto di evidenziare ancora un aspetto. Il MSP è soprattutto analisi, discussione e confronto. Uno studio di possibili soluzioni, diversificate o condivise, che di regola non porta ad una realizzazione. Per questo motivo sarebbe più che auspicabile una maggiore partecipazione di giovani professionisti, proprio per favorire un confronto anche generazionale e forse anche una maggior varietà e freschezza dei risultati.
SR: Difficile farne una regola generale. È chiaro che in alcuni casi ha senso concretizzare una visione direttamente e in altri, invece, è più appropriato l’approfondimento attraverso un concorso.
Per i partecipanti è senz’altro più appetibile la concretizzazione delle idee.
È sempre peccato quando buoni risultati rimangono solo propositi sulla carta.
Se non segue un mandato diretto la procedura va però remunerata correttamente.
Per concludere, non sono sempre d’accordo con la linea della SIA. In certe occasioni ho proposto modelli differenti rispetto al MSP o al concorso di architettura perché ritenevo che potessero funzionare meglio in quel caso, come la Charrette, molto popolare negli Stati Uniti. In un progetto a Gossau, ad esempio, un investitore privato aveva già scelto i progettisti, quindi non c’era margine di messa a concorso. Abbiamo allora organizzato una giornata con urbanisti, architetti e paesaggisti esperti retribuiti per eseguire un workshop con i progettisti designati per discutere e migliorare il progetto. I risultati ci hanno dato ragione, ma su questo la SIA è poco flessibile.
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