La «Casa sul ponte»
Gli architetti Agathe Belot e Mathieu Jaumain ci rendono partecipi di tutta la meraviglia che ha suscitato in loro la visita alla Casa sobre el Arroyo, capolavoro di gioventù di Amancio e Delfina Williams.
Fra le tante opere architettoniche che abbiamo visitato ce ne sono poche che ci hanno scossi così nel profondo quanto la Casa sobre el Arroyo, chiamata anche la Casa Del Puente. L’opera nasce dal desiderio, espresso dal padre di Amancio, Alberto Williams, un grande pianista argentino, di poter vivere in un luogo unico e straordinario, immerso nella calma e nella tranquillità, lontano dalla vita frenetica di Buenos Aires. Uno spazio in cui il musicista potesse riposare, accogliere i propri ospiti, ritirarsi e, soprattutto, comporre. Il pianista confida al figlio la realizzazione della casa dei suoi sogni. Fresco di diploma, Amancio coglie la sfida e, affiancato dalla giovane moglie Delfina Galvez, diplomatasi anche lei in architettura, si mette al lavoro e immagina un progetto innovativo, audace, che spezza i legami con gli stili classici e regionalisti di quell’epoca. Mano nella mano, i due coniugi architetti realizzano quello che in Argentina diventerà uno dei progetti più emblematici del Movimento Moderno.
La casa si trova nella città balneare di Mar del Plata, qualche centinaio di chilometri a sud della capitale argentina. Arrivando sul posto, la dimora si intravvede appena. La Casa sul ponte è infatti immersa in una lussureggiante vegetazione che ne lascia trasparire solo in parte le forme. Dopo esserci fatti strada, aprendo un varco tra il fitto intreccio di piante, ecco finalmente apparire davanti a noi un blocco rettangolare in cemento, adagiato su un ponte ad arco piuttosto sottile che collega le sponde di quello che un tempo era un torrente. Il volume sembra al contempo massiccio e leggero, come se fosse sospeso a mezz’aria. L’edificio tocca il terreno soltanto alle sue estremità e capiamo subito, in veste di visitatori, che i punti di contatto non soltanto fungono da supporto sono anche l’unica via possibile per accedere al piano superiore. La sequenza d’ingresso ci lascia una sensazione un po’ sconcertante, abbiamo infatti l’impressione di penetrare fisicamente nelle viscere strutturali della casa. Dobbiamo prima passare sotto una delle due estremità della parte aggettante per poter entrare poi in una massiccia colonna dall’interno cavo, da cui parte una stretta scala che sale, ricalcando la stessa curvatura dell'arco sottostante. La sequenza si ripete in perfetta simmetria e permette di percorrere l'arco da una parte all’altra. Arriviamo finalmente nel cuore dell'edificio, un lungo salone pervaso di luce, aperto a 180 gradi sulla vegetazione circostante. Qui abbiamo davvero la sensazione di starcene appollaiati sugli alberi; la linea che separa lo spazio interno da quello esterno diventa infatti improvvisamente effimera. Il susseguirsi di atmosfere e di ambienti che si contraggono e si dilatano evoca l’ambivalenza della composizione. L’opera unisce in sé gli opposti, la pesantezza e la leggerezza.
La planimetria è relativamente semplice; organizzata in fasce longitudinali, con gli spazi diurni separati dagli spazi notturni tramite una parete in legno che funge al contempo da armadio, nella fila di camere, e da piano di lavoro in cucina. La casa appare come un’opera d'arte totale: ogni elemento è pensato e curato sin nei minimi dettagli. Il meccanismo delle tende e delle finestre è progettato su misura per incastrarsi perfettamente nello spessore del soffitto. Sono pezzi unici sia le luci, ispirate al design Bauhaus, sia i corrimani, che seguono la stessa curvatura dell’arco. Il caminetto aperto, in metallo, evoca l’industrial design europeo in voga all’epoca.
Tutti questi numerosi dettagli non sono però purtroppo le prime cose che ci sono saltate all’occhio durante la visita. Gli ambienti interni si trovano in uno stato di abbandono e desolazione tali che abbiamo dovuto usare tutta la nostra immaginazione per riuscire a calarci in quello che doveva essere l’ambiente di un tempo. I soffitti e i pavimenti portano le cicatrici di due incendi e del progressivo deterioramento in cui è stato lasciato cadere l’edificio tra il 1989 e il 2013. Per fortuna, oggi la Casa sul ponte è stata dichiarata monumento storico e trasformata in museo. Dopo tanti anni di attesa, finalmente, la dimora sarà ora oggetto di un risanamento.
La visita ci ha resi consapevoli di quanto sia importante proteggere il nostro patrimonio architettonico. La Casa sobre el Arroyo è un’opera davvero unica nel suo genere, rappresenta una testimonianza dell’influenza che il Movimento Moderno ha esercitato anche al di fuori dell’Europa e di come, anche vent’anni dopo la sua nascita, i suoi fondamenti abbiano continuato a fungere da fonte d’ispirazione. La visita ci ha lasciato anche una sensazione di profonda ammirazione per il talento dimostrato dai due giovani architetti che non si sono accontentati di replicare uno stile in piena espansione, ma hanno saputo assimilarne i principi, introducendo elementi innovativi, sia in termini di struttura che di composizione architettonica.
Gli autori
Agathe Belot e Mathieu Jaumain, entrambi architetti, fondatori del blog odyssedarchitectures.comTesto
Adattamento di un articolo pubblicato sul blog odyseesdarchtectures.com.
Testo tradotto dal francese da Patrizia Borsa www.skarabeo.ch