Lo spa­zio nar­ra­ti­vo

Master internazionale in Architettura d’interni

Data di pubblicazione
26-07-2018
Revision
30-07-2018
Pietro Vitali
Architetto dipl. ETH, responsabile del corso di laurea in Architettura d'interni della SUPSI

Esiste una sorta di amore spesso inconfessato nei confronti del cinema da parte di tanti architetti. È forse questa la vera ragione per cui nel 2012 organizzammo a Lugano un workshop che trattava proprio delle analogie e delle aree di convergenza fra le due arti.

Il contesto in cui ciò avvenne è la collaborazione che dal 2005 coinvolge il corso di laurea in Architettura d’interni della SUPSI in seno a un master internazionale in rete: l’International Master in Interior and  Architectural Design (IMIAD), il cui programma prevede un workshop annuale organizzato a turno presso le università partner di Stoccarda, Ahmedabad, Istanbul e Cincinnati.1 

Esso permette di radunare studenti e docenti attorno a una medesima tematica, confrontando in maniera molto diretta i diversi approcci che ogni scuola riserva nei confronti della professione nelle diverse regioni del mondo. 

Ciò che caratterizza sempre questi workshop, e più in generale l’intero programma del Master, è il dialogo transculturale e transdisciplinare, non tanto come dato di fatto connaturato o implicito all’internazionalità del partenariato, ma come vero e proprio tratto metodologico specifico del programma.

Torniamo quindi al 2012 e alle analogie fra progettazione dello spazio e cinema con cui si confrontarono 72 studenti e docenti provenienti da Scozia, India, Finlandia, Germania e Svizzera nell’ambito del workshop Space in Motion.

Il necessario riferimento del cinema allo spazio o, in taluni casi, all’architettura, stabilisce di fatto una relazione necessaria di una disciplina con l’altra. Lo spazio come latore di significato o come termine narrativo è concepito, costituito e descritto secondo modalità analoghe e distinte nei due casi. In modo speculare, la forza espressiva del cinema e di altri mezzi audiovisivi è applicata negli interni architettonici con grande frequenza ed efficacia, anche se non sempre in modo esplicito e consapevole. Costituisce cionondimeno un forte potenziale per progettisti quali architetti d’interni, interior designer e architetti.

Tre sono le aree attorno alle quali si concentrò il lavoro: la prima, più immediata, concerne sostanzialmente la concezione di atmosfere, che potrebbe essere molto approssimativamente riassunta nella capacità di trasmettere emozioni e sensazioni immergendo lo spettatore (nel caso del regista) o l’utente (nel caso dell’architetto d’interni) in uno spazio connotato tramite la combinazione di luce, materiali, dimensioni, colori, proporzioni, e tutti quegli elementi che concorrono alla definizione di uno spazio.

Una seconda area di convergenza fa invece riferimento all’opera teorica di Sergej Ejzenstein e in particolare alla sua Teoria generale del montaggio, dove descrive l’impianto spaziale dell’Acropoli di Atene secondo un approccio riferito alle tecniche del montaggio cinematografico, definendo quella promenade come un vero e proprio piano sequenza.

«[Quando si parla di cinema] la parola percorso non è utilizzata per caso. […] La pittura è rimasta incapace di fissare la rappresentazione generale dei fenomeni nella loro totale visione multidimensionale – distribuita nello spazio tempo. Solo la camera cinematografica ha risolto il problema riuscendovi su una superficie piatta, ma l’indubbia ascendente di questa capacità è l’architettura. L’Acropoli di Atene può esser legittimamente definita come perfetto esempio di uno dei più antichi film.»2

Tale descrizione (verosimilmente ispirata dalla professione del padre architetto e alla descrizione che fa dapprima Auguste Choisy3 e successivamente Le Corbusier,4 della promenade architecturale dell’Acropoli di Atene), apre interessantissime prospettive in ambito metodologico, collegando l’approccio disciplinare dell’architettura – fortemente ancorato a una solida tradizione millenaria – a quello della giovane arte del cinema. In particolare l’aspetto logico-narrativo, così chiaramente manifesto nella tecnica del montaggio cinematografico, trova nella composizione spaziale e nella determinazione comunicativa dello spazio architettonico un ricchissimo precedente.

La declinazione più operativa del workshop verteva sulla terza area di convergenza delle due arti, che indaga le istanze formali attraverso le quali, in un’opera cinematografica lo spazio diventa elemento essenziale della narrazione e della costruzione del senso, per ipotizzare come tradurle nella realtà dello spazio architettonico.

In quest’ottica gli studenti si concentrarono su una decina di film nei quali lo spazio assume una funzione narrativa essenziale. Fra le opere trattate vi era per esempio il primo Alien,5 di Ridley Scott, che costruisce e filma lo spazio dell’astronave come un labirinto dove il Minotauro è incarnato dalla mostruosa creatura aliena. Oppure La donna di sabbia di Hiroshi Teshigahara,6 che confina il destino del protagonista in una trappola scavata nella sabbia, mirabolante metafora della condizione che l’uomo finisce per (dover) accettare. O ancora Il gabinetto del dottor Caligari,7 dove «…l’interpretazione espressionistica è riuscita con raro successo a evocare la “fisionomia latente” di una piccola città medievale dai vicoli tortuosi e oscuri, budelli stretti rinserrati tra case sgretolate le cui facciate sbilenche non lasciano mai entrare le luce del giorno».8

Per ognuna di queste opere gli studenti concepirono e realizzarono altrettante installazioni, che non si limitassero a riprodurre nello spazio le immagini «piatte» proposte nelle scene del film, ma che avessero, perlomeno nelle intenzioni, la facoltà e la forza di evocare la funzione narrativa assunta dallo spazio. Per fare ciò disponevano di luoghi già fortemente connotati (come l’ex Asilo Ciani, o l’ex macello di Lugano) da integrare nel principio di composizione della loro installazione. 

Il reale esito di questi workshop risiede principalmente nel salto metodologico e disciplinare che ogni studente riesce a compiere grazie all’attività svolta e grazie ai contributi puntuali delle figure radunate per l’occasione: in quel caso si trattava di registi, designers, teorici dell’architettura, fotografi, che permisero di costruire una visione poliedrica della professione, allargando, nei fatti e in potenza, il sistema di riferimenti sul quale costruiamo la nostra pratica di progettisti. 

Nel corso delle ultime edizioni si è profilata una tendenza molto interessante che riguarda il ruolo dell’architetto d’interni quale vero e proprio agente civile, chiamato ad operare in contesti urbani e territoriali con importanti implicazioni sociali e politiche. Nel 2016 a Nicosia l’attività si concentrò infatti sul futuro degli interni urbani compresi nella buffer zone dell’ONU sul confine tra i due stati ciprioti; nel 2017 a Cincinnati trattò invece degli spazi delle startup volte a rivitalizzare un quartiere socialmente devastato nel centro della città. Visto che parliamo di cinema, magari qualcuno ricorda il film Traffic di Steven Soderbergh, ambientato proprio a Over the Rhine, il quartiere di Cincinnati di cui ci occupammo. 

È nel solco di questa tendenza che dall’11 al 20 luglio di quest’anno la SUPSI ha ospitato nuovamente il workshop occupandosi della demarginalizzazione di luoghi e persone, riferendosi nella fattispecie alla prospettiva di ripopolare la frazione disabitata di Casiroli in valle di Muggio grazie al coinvolgimento di persone che la società non riesce più a comprendere e integrare.

 

Note

  1. La composizione iniziale del partenariato, avviato nel 2005, contava oltre alla SUPSI le seguenti scuole: ITU Istanbul (Turchia), HFT Stoccarda (Germania), ECA Edimburgo (Scozia), LAMK Lahti (Finlandia). ECA e LAMK hanno abbandonato il programma, sostituite dalla CEPT di Ahmedabad (India, Gujarat) e dalla DAAP di Cincinnati (USA, Ohio).
  2. Sergej M. Ejzenštejn, Teoria generale del montaggio; Izbrannye proizvedenija v šesti tomach (Opere scelte in sei volumi), Mosca, Iskusstvo, 1963-1970: Montăz (Il montaggio), vol. II, traduzioni dal russo di C. De Coro, F. Lamperini, Teoria generale del montaggio, a cura di Pietro Montani, Marsilio Editori, Padova 1985, 2004.
  3. Auguste Choisy, Histoire de l’architecture, Paris 1899.
  4. Le Corbusier, Vers une arcitecture,  Cres, Paris 1923.    
  5. Alien, regia di Ridley Scott, 1979.
  6. La donna di sabbia (Suna no onna), regia di Hiroshi Teshigahara, 1964.
  7. Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari), regia di Robert Wiene, 1920.
  8. Lotte H. Eisner, L’Ecran démoniaque, André Bonne, Paris, 1952.

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