m.a.x. festeggia Achille
La mostra a Chiasso per il centenario del grande designer milanese
Cent’anni fa nasceva Achille Castiglioni e il m.a.x. museo gli rende omaggio con una mostra che celebra i suoi best seller – la lampada da terra Arco, lo sgabello Mezzadro, la lampada Parentesi ecc. – ma non solo.
Perché a Chiasso? La fama di Achille, uno dei maestri indiscussi del design del XX secolo, basterebbe a giustificare l’evento, ma qui si aggiunge un ulteriore motivo d’interesse: il profondo rapporto di amicizia e collaborazione proprio con lo svizzero Max Huber, a cui il museo è dedicato.
Achille cominciò a lavorare nel campo del design intorno al 1940, prima ancora di laurearsi in architettura, insieme ai fratelli maggiori Livio (1911-1979) e Pier Giacomo (1913-1968). Era un mondo totalmente diverso: non c’era il Salone del Mobile, e molte delle grandi aziende di design che conosciamo oggi non esistevano ancora, o erano poco più che piccoli laboratori artigianali. Era l’alba del design italiano, che tuttavia ci mise poco a bruciare le tappe, grazie all’intraprendenza di alcuni e alla fantasia di altri. Quella di Achille, ad esempio, affascinato dalle potenzialità nascoste degli oggetti che compongono il mondo: naturali e artificiali, vecchi e nuovi, anonimi o d’autore. Passò la vita a guardarsi attorno raccogliendo frammenti di mondo e trasformandoli in qualcos’altro. Assemblando un sedile da trattore, una balestra d’acciaio e una traversa in faggio (simile a un giogo per i buoi) ottenne il Mezzadro; con una canna da pesca, il faro di un’automobile e un trasformatore inventò la lampada Toio; e così via.
Dall’altra parte del confine c’era invece Max, nato nel 1919, che dopo gli studi alla Kunstgewerbeschule di Zurigo si era immerso nella cultura d’avanguardia grazie agli incontri con Max Bill e con fotografi come Werner Bischof e Alfred Willimann. Nel 1940 Huber giunse a Milano per lavorare per qualche mese nel celebre Studio Boggeri, calamita di talenti della grafica internazionale, e a Milano tornerà alla fine della guerra, cominciando collaborazioni importanti, tra cui la Rinascente.
Nella Milano del tempo fu facile incontrarsi e lavorare insieme, anche perché i fratelli Castiglioni (Achille e Pier Giacomo, scomparso prematuramente, erano coppia fissa) sostenevano il lavoro di squadra, la contaminazione con altri punti di vista, fin dall’inizio di un progetto. «Erano molto simili di carattere», spiega Italo Lupi, grande graphic designer che collaborò con Achille in molte occasioni e oggi tra i curatori della mostra. «I Castiglioni lavorarono con molti grafici, ma Huber era quello più vicino al loro atteggiamento vitale ed esistenziale». Condividevano un atteggiamento irriverente, poco legato alle formalità, che trasformava ogni cosa in un gioco geniale, sottile, stimolante.
Terreno privilegiato per questo incontro fu l’allestimento espositivo, ambito che la mostra a Chiasso mette in risalto in maniera particolare. Nello spazio effimero delle mostre temporanee, Huber e i Castiglioni poterono infatti mettere alla prova i loro punti di forza: l’ironia dell’allusione e l’essenzialità dell’impaginato, lo stravolgimento dimensionale e la carica comunicativa di testo e immagine, la forza della forma e del colore, lo spiazzamento concettuale e la fluidità della narrazione. «Nei 484 progetti per allestimenti che abbiamo trovato nel suo archivio – spiega Mara Servetto, allieva di Achille e curatrice della mostra insieme a Ico Migliore – si coglie appieno la sua natura di architetto-regista, capace di usare lo spazio come strumento di comunicazione, sfruttando elementi diversi per creare un racconto. Aveva una incredibile capacità di condurre la narrazione e di saper leggere la percezione dell’insieme, e in questo approccio progettuale la grafica non era mai qualcosa di aggiunto a posteriori, ma sempre utilizzata come qualità spaziale, come materiale da costruzione». Prova di ciò rimane ad esempio negli storici allestimenti per le mostre alla Fiera di Milano, negli anni del dopoguerra, in cui i Castiglioni con Huber furono chiamati a interpretare visivamente e spazialmente lo sviluppo di radio e televisione, mass media che avrebbero modificato una volta per tutte la nostra società.
Difficile scindere il lavoro da un’amicizia che durò tutta la vita, tra Milano, il Canton Ticino e Lierna, poco sopra Lecco, dove i Castiglioni avevano casa. Molti progetti nascevano quasi casualmente, da idee estemporanee (da un bicchiere di troppo?). Si veda la «giacca con maniche» disegnata a quattro mani nel 1967, con tasche di ogni forma, colore e dimensione, a metà tra il camice da lavoro e il vestito da clown, che ricorda anche alcuni costumi teatrali russi degli anni Venti di Malevič o Rodčenko. Più «svizzero» è invece l’orologio Record, progettato da Max e Achille nel 1989 per Alessi. Cercavano la massima leggibilità: «molto spesso ci capita di leggere le ore sul nostro orologio e non ci riusciamo: quando siamo di fretta; quando siamo in bici; quando siamo stanchi; quando siamo sotto la doccia; quando siamo senza occhiali» ecc. Il risultato è un orologio «tutto quadrante». Di Achille ci piace sempre citare un suo invito agli studenti, che in realtà vale per tutti: «Se non siete curiosi lasciate perdere. Se non vi interessano gli altri, ciò che fanno e come agiscono, allora quello del designer non è un mestiere per voi […]. Un buon progetto nasce non dall’ambizione di lasciare un segno, ma dalla volontà di instaurare uno scambio, anche piccolo, con l’ignoto personaggio che userà l’oggetto da voi progettato. Mettetevi in testa che il lavoro di ricerca è tutto, e il singolo oggetto prodotto ne è una tappa, un momentaneo stop più che una conclusione». Parole sante, non solo per i designer.
Achille Castiglioni (1918–2002) visionario. L’alfabeto allestitivo di un designer regista
A cura di Ico Migliore, Mara Servetto, Italo Lupi e Nicoletta Ossanna Cavadini
Progetto allestitivo e grafica di Migliore + Servetto Architects e Italo Lupi
Chiasso, m.a.x. museo, fino al 23 settembre 2018
info: www.centroculturalechiasso.ch