Pro­get­ta­re il pae­sag­gio me­tro­po­li­ta­no

Editoriale archi 02/2013

La nuova condizione territoriale «metropolitana» nell'editoriale del direttore di Archi Alberto Caruso.

Data di pubblicazione
10-04-2013
Revision
19-10-2015

Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana, subito si scopre (sarà una dimenticanza del cartografo, una negligenza del politico ) una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini. Dove i boschi si sfrangiano, lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati dalle coltivazioni, là dove le macchine non passano. Copre superfici di dimensioni modeste, come gli angoli perduti di un campo; vaste e unitarie, come le torbiere, le lande e certe aree abbandonate in seguito a una dismissione recente. Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è cacciata. Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo Paesaggio, terzo termine di un’analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l’ombra da un lato, la luce dall’altro.
Gilles Clément, 2004

Gli insediamenti abitativi e produttivi diffusi sulle pianure dei maggiori fondovalle ticinesi sono riconoscibili in aree più «centrali», individuabili dalla densità degli abitati più antichi e dalla presenza di luoghi e edifici simbolici, e in aree «periferiche» caratterizzate dalla dispersione a bassa densità. Quando il fenomeno si è esteso al punto tale per cui aree periferiche di centri diversi si sono saldate tra loro in un continuo diffuso, allora la trasformazione territoriale ha fatto un salto di qualità e i concetti di «periferia» e di «centro» si sono svuotati di senso. Se si prescinde dai confini amministrativi, oggi rimessi in discussione dai programmi di aggregazione, vi sono aree abitate che non si capisce a quale «centro» facciano riferimento. L’intero ambito territoriale è diventato città e la città ha perso i suoi connotati di aggregazione e qualità della vita sociale. Mentre i boschi sono stati erosi nei loro margini inferiori, la superficie deputata all’attività agricola si è ridotta di dimensione e spezzata in enclave separate dalle infrastrutture della mobilità, che sono sempre più numerose e prevalenti nel paesaggio, per fare fronte alle esigenze di comunicazione indotte dalla stessa dispersione degli insediamenti.


Questa nuova condizione territoriale ha ormai i requisiti per essere definita «metropolitana», come lo sono numerose altre aree abitate del continente, a cominciare dalla vicina area lombarda, anche se la conformazione lineare dei fondovalle ticinesi le conferisce una singolarità geomorfologia rispetto alle aree metropolitane cresciute intorno ad una grande città. Area metropolitana è prima di tutto un termine operativo, che impone un approccio progettuale nuovo e diverso rispetto alla città/periferia di un tempo: il riscatto delle aree di minore densità non può più avvenire in funzione del centro, per esempio potenziando la mobilità verso di esso, ma ribaltando l’approccio tra centro e periferia, tra interno ed esterno. L’area metropolitana efficiente, che garantisce una qualità sociale diffusa, ha molti centri, da quelli storici a nuovi centri intesi come punti di accumulazione di densità abitativa e di servizi culturali e civili, corrispondenti ai punti di interscambio con i mezzi di trasporto, in modo da offrire una rete  di luoghi di incontro e scambio sociale, tra loro connessi a sistema. È una nuova lettura della città dispersa, come scrive Eric Batlle.


Tra le nuove aree potenzialmente centrali ci sono le aree verdi, quelle intercluse ancora coltivate, e le aree che costituiscono i resti, i negativi rispetto alle aree edificate e ai tracciati delle infrastrutture. Il recupero e la trasformazione di queste aree per farne luoghi centrali, dedicati alle attività del tempo libero, alla ricostruzione del rapporto con la natura, alla cura della biodiversità o all’agricoltura civica, come la chiama Richard Ingersoll, è un’attività poco costosa rispetto alla formazione dei luoghi centrali che comportano ingenti investimenti pubblici e privati in costruzioni, come dimostrano gli esempi pubblicati in questo numero di Archi. Il problema è il deficit di progettazione, dai livelli istituzionali all’attività degli architetti e degli ingegneri che lavorano quotidianamente sul territorio. La consapevolezza del rilievo politico di questi temi sta lentamente crescendo, come dimostrano la progettazione del paesaggio prevista dalla lst e anche la revisione della lpt confederale e la parallela revisione della legge cantonale, ma mancano la cultura architettonica e la cultura tecnica in generale, mancano le proposte, le nuove «idee di città», le visioni capaci di affascinare e mobilitare coscienze e risorse.

Da questo numero Archi ospita una nuova rubrica, redatta dai colleghi dell’Ordine degli Architetti di Varese, che tratterà di questioni del mestiere e di progetti prodotti in un vasto territorio confinante con il Ticino. Archi sarà quindi distribuito anche ai circa 2.500 architetti della provincia di Varese, favorendo uno scambio culturale transfrontaliero, che consideriamo una importante occasione di conoscenza e dibattito.

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