«Im­ma­gi­na­re una cit­tà più giu­sta»

Intervista a Cristiana Storelli

Il 7 febbraio 2021 segna i 50 anni dal riconoscimento del diritto di voto alle donne svizzere. Ma cosa aveva significato quella svolta (assai tardiva) per le professioniste della Baukultur ticinese? Ne abbiamo parlato con un’architetta attiva professionalmente già dal 1965: Cristiana Storelli, che a partire dal 1971 affiancò alla pratica da progettista l'impegno politico, a livello locale e internazionale. Una storia che comprende un diritto di voto perso e riconquistato (a causa del matrimonio con uno svizzero, che la privò della nazionalità tedesca), e che attraversa le aule di un Politecnico di Zurigo presessantottino, passa per la sala del Gran Consiglio (di cui sarà la prima presidente donna) e arriva fino al Consiglio d’Europa. Sempre facendo dialogare architettura e politica, perché non si può pensare la città senza interrogarsi sui diritti di chi la abita.

Data di pubblicazione
07-02-2021

espazium – Nel 1971, quando alle donne svizzere viene finalmente riconosciuto il diritto di voto, lei gestiva già uno studio d’architettura con suo marito Giampiero Storelli. Quali cambiamenti ha portato il diritto di voto nella sua pratica professionale? Si sono forse aperte per lei porte che prima erano rimaste serrate?
Cristiana Storelli – Quando nel 1971 alle donne svizzere (o diventate svizzere, come nel mio caso) viene riconosciuto il diritto di voto, e di eleggibilità, esercitavo già da tempo la professione di architetto: se c’erano porte da aprire, queste le ho aperte io (o, almeno, ho tentato), e non si sono aperte per il riconoscimento del diritto di voto: la difficoltà iniziale è stata quella di far riconoscere che quella professione potesse essere esercitata anche da una donna.

Sempre per il 50° abbiamo fatto il punto sulla situazione delle professioniste della Baukultur con Beatrice Aebi, presidente della rete «Donna e SIA»

Questa difficoltà si percepiva anche durante i suoi studi al Politecnico di Zurigo, all’inizio degli anni Sessanta? Immagino che allora le studentesse di architettura fossero poche…
Come donna e studentessa al Poli di Zurigo sorvolavo sulla questione che le donne erano poche e discriminate, sostenuta dalla mia curiosità verso ciò che avveniva anche fuori delle aule, in città: la mia attenzione era rivolta alle manifestazioni e ai movimenti che si stavano creando (si era in piena guerra fredda e in periodo di pre-Sessantotto). Il fatto di non avere il diritto di voto (che ho perso per matrimonio, e questo a posteriori mi ha dimostrato l’ingiustizia) non mi appariva così evidente proprio perché vivevo la scuola, vivevo la città, mi nutrivo dei rapporti umani (con librai, pittori, fisici…).
Ho studiato architettura per caso, avevo altre idee, ma a Zurigo ho visto, imparato, percepito molto: il fatto di essere donna, di avere opinioni, di essere critica, di andare un po’ controcorrente non era ovviamente preso sempre “bene”.

«La difficoltà iniziale per le architette è stata far riconoscere che quella professione potesse essere esercitata anche da una donna»

Ha accennato alla perdita del diritto di voto. Come l’ha vissuta?
L’ho percepita pienamente anni dopo, quando, riacquistandolo, ho fatto politica attiva. E facendolo ti accorgi delle ingiustizie, delle discriminazioni che non spariscono – anzi! È stato questo, la lotta all’ingiustizia, il motivo principale del mio impegno in politica.

Nella pagina degli archivi RSI, un servizio del 1990 sulla condizione della donna in Ticino con un'intervista a Cristiana Storelli

Ed infatti già nel 1972 entrava in Consiglio comunale a Bellinzona. Tre anni dopo la troviamo in Gran Consiglio, di cui sarebbe diventata presidente nel 1983 – prima donna in quella funzione. In ambito politico è stata poi attiva anche a livello internazionale, collaborando con il Consiglio d'Europa. Tutti incarichi in cui ha messo a frutto la sua esperienza di architetta. Pensa che architettura e politica siano pratiche affini? In che modo queste dimensioni possono dialogare e alimentarsi a vicenda?
Il senso di ingiustizia a cui ho accennato in precedenza e la difficoltà di veder riconosciute uguali possibilità alla donna mi hanno condotta direttamente verso la politica nelle istituzioni, lì dove avevo l’impressione di poter agire. L’architettura come disciplina è stata effettivamente riferimento e supporto per la mia attività politica, già solo per il fatto che si opera per le persone, i loro desideri, le loro necessità. Aver esercitato la professione di architetta secondo certi principi, seguendo una linea umanistica e filosoficamente democratica (con il rispetto verso persone, territorio, finanze) in parallelo con l’attività politica ha mostrato (a me almeno) che le due attività si possono supportare bene vicendevolmente.
In architettura conta conoscere, ascoltare, saper scegliere e decidere, criticare, sperimentare, proporre, immaginare – e proprio così dovrebbe essere l’attività politica. D’altra parte, è alla politica urbana in particolare che mi sono maggiormente dedicata e in cui mi sono maggiormente identificata. Ed è in essa che i risultati possono essere misurati al meglio.

«Per la mia attività politica l’architettura è stata riferimento e supporto, già solo per il fatto che si opera per le persone, i loro desideri, le loro necessità»

Negli anni Novanta ha messo a frutto questo interesse per la città nella sua dimensione politica lavorando, su incarico del Consiglio d’Europa, alla Carta urbana europea, che comprende una «Dichiarazione europea sul diritto alla città». Questa si chiude parlando dell'importanza di costruire città egalitarie: si legge: «i poteri locali devono garantire l'esercizio dei diritti summenzionati per tutti i cittadini, senza discriminazioni di sesso, età, origine, credo, situazione sociale, economica o politica, handicap fisici o mentali». Oggi si parla sempre di più di «città inclusive», progettate per favorire uno scambio tra tutti i cittadini e combattere la marginalizzazione di determinati gruppi sociali. Pensa sempre che l'urbanistica e la pianificazione possano contribuire a creare una società più egalitaria e giusta?
Quando al Poli avevo osato dire che la pianificazione aveva un carattere politico (negli anni Sessanta!) mi avevano effettivamente guardata male. La realtà è però quella. Un piano che “regola” interventi nel territorio (a livello di città, regione, paese) deve aver carattere politico oltre che culturale (e non solo tecnico e di facciata, dunque), affinchè si possa far capo alla democrazia partecipativa. E questo significa riconoscere i diritti: alla città, all’ambiente, al paesaggio – assieme agli altri diritti, naturalmente (penso alla Dichiarazione universale dei diritti umani o alla Convenzione europea del diritti dell’uomo), che sempre, ovunque e per tutti devono valere.
Il tema del «diritto alla città» è riconducibile a tre documenti che ho contribuito a elaborare, che sono stati preziosi strumenti di arricchimento personale durante la loro preparazione e diffusione. Preparazione e diffusione avvenute in tutta Europa privilegiando il livello locale, con il motto «Pensa globale e agisci locale». Si tratta della Carta urbana europea del 1992, della Carta europea per l’uguaglianza di donne e uomini nei poteri locali (del Consiglio dei Comuni e Regioni europei del 2006) e della Convenzione europea del paesaggio del Consiglio d’Europa del 2000. Oggi questi documenti, di facile lettura, possono servire da riferimento per ripensare le città, considerare i temi emergenti, trovare gli adattamenti necessari (non bisogna sempre distruggere, la memoria ha il suo valore per il futuro) affinché la città diventi più giusta, sempre più luogo dove le persone si trovino a loro agio, si sentano ascoltate e ricevano risposte, dove si divertano, anche, e dove si possano sentire cittadini attivi esercitando i loro diritti.

«Quando al Poli avevo osato dire che la pianificazione aveva un carattere politico mi avevano guardata male. La realtà è però quella. Un piano che “regola” interventi nel territorio deve aver carattere politico oltre che culturale»

Quali sono i principali punti critici posti dalla città di oggi?
All’occhio attento dell’architetto impegnato politicamente emergono diversi temi: il costruire fuori dimensione; la mancanza di una efficace e chiamiamola pure vera politica della/per la città che non sia solo tecnica, con norme a non più finire; la periferia; la dimensione umana; la mancanza di bellezza che dà gioia; la discriminazione e l’insicurezza; la concentrazione…
Cosa si può fare? Si può protestare criticare sognare per immaginare la rinnovata città: che sia aperta, accogliente, gioiosa, capace di incuriosire, ispirare, dare sicurezza… fino a diventare un’opera d’arte. Questo ho esposto in un mio recente intervento in Germania sul tema Baukultur, terminando affermando che «la mia città ha bisogno di democrazia, cultura e critica». Quindi ci vuole coraggio, bisogna osare e soprattutto avere visioni.

Torniamo al 50°. Se si guarda alle spalle, come ha visto evolversi nel corso della sua vita le possibilità per le donne nella nostra società?
Se ripenso al mio percorso di vita politica e professionale, non riesco a vedere una marcata evoluzione in senso positivo. Mi limito a tre oggetti per dimostrarlo. Nel 1977 nel Parlamento cantonale è stata bocciata (51 a 25) l’iniziativa per l’adeguamento degli orari degli asili a quelli del lavoro (pensata per permettere anche alla donna di lavorare). Stessa sorte per le “quote” quale misura transitoria, qualche anno dopo. (Queste due proposte erano mie). E poi, nel 2020, è arrivata una proposta assurda come quella di elaborare al femminile la Legge sull’esercizio dei diritti politici – proposta bocciata, per fortuna, ma dopo aver ricevuto consenso in Commissione; e ciò malgrado l’esistenza dell’ufficio per la condizione femminile, di rapporti, di studi vari.
Se si guarda fuori dall’orticello, però, molto sta cambiando.

«Bisogna immaginare la rinnovata città: che sia aperta, accogliente, gioiosa, capace di incuriosire, ispirare, dare sicurezza… Come ho detto in un recente intervento in Germania, "La mia città ha bisogno di democrazia, cultura e critica"»

Mi ha raccontato che per un congresso sta lavorando a un intervento intitolato: «Le donne governeranno il mondo, e salveranno il paesaggio». Di cosa si tratta?
Da tempo, sull’onda di azioni, interventi, osservazioni, incontri, curiosità personale, desiderio di trasmettere e scambiare esperienze, mi sono avviata lungo un percorso – incentrato proprio sui 50 anni di diritto di voto alle donne – che non può fermarsi in occasione dell’anniversario. Per questo sto lavorando al tema «Le donne governeranno il mondo, e salveranno il paesaggio», che volevo presentare al Congresso svizzero sul paesaggio, cui poi non ho partecipato perché svoltosi on line preferisco la presenza.
È la mia visione, disegnata come manifesto [vedi imm. 2], che mostra, partendo dal locale, come arrivare al globale: un viaggio/itinerario fatto di lotte, proteste, manifestazioni e conquiste che la donna ha fatto in tanti anni, e che va continuato. Camminando simbolicamente sulle corde di un immaginario violoncello, supera altri ostacoli, propone temi e strategie necessarie al pieno rispetto della persona, e la porterà in musica al governo del mondo.

50 anni di suffragio femminile in Svizzera

Una raccolta di manifestazioni organizzate per la ricorrenza si trova sul sito del 50°.

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