«Que­ria ser escul­tor». Due poe­sie

Data di pubblicazione
23-04-2024
Gabriele Neri
Dott. arch. storico dell'architettura, redattore Archi | Responsabile della rubrica 'Paralleli' per Archi

L’ennesima poesia di Álvaro Siza è stata scritta: a Porto si è inaugurato l’ampliamento del Museo Serralves (capolavoro da lui stesso disegnato 25 anni fa), intitolato proprio all’architetto portoghese. La nuova «Ala Álvaro Siza» si aggiunge perciò alle meraviglie del Parque de Serralves, paradiso voluto dal conte e imprenditore Carlos Alberto Cabral (1895-1968) e disegnato dal francese Jacques Gréber negli anni Trenta. Qui Siza ha già realizzato (oltre al Museo) la Casa del Cinema Manoel de Oliveira (2019) e la Casa dei giardinieri (2021), insieme agli interventi di restauro fatti sulla Casa de Serralves, la villa déco che domina la tenuta.

Da dentro e da fuori, la nuova ala rassicura più che stupire, confermando le qualità dell’architetto che nonostante l’età (sono 90) continua a lavorare senza sosta. L’ampliamento si collega al corpo principale attraverso un piccolo ponte aperto da uno spigolo del museo, come un nuovo ramo, una talea germogliata a fianco della madre, adeguandosi come lei alla topografia del giardino. L’interno, pure, è in continuità, con intonaco bianco, legno a pavimento, marmo e i celebri soffitti che distribuiscono la luce secondo figure astratte.

Per comprendere la conformazione di questo nuovo organismo bisogna però volare in alto, acquisendo la prospettiva dei gabbiani che dall’oceano planano verso il fiume, raggiunta dallo scatto di Fernando Guerra. Da tale quota, l’impronta dell’edificio risulta infatti finalmente comprensibile, grazie al suo outline bianco che racchiude l’ocra della copertura con l’evidenza di un graffito di Keith Haring. 

Così ci viene in mente un parallelo, tra la sua planimetria e le sculture che Siza ha creato e voluto esporre al Padiglione della Santa Sede per la Biennale di Venezia dell’anno scorso. In entrambi i casi la matrice iniziale è squadrata, ma poi tutto si complica, ovvero si realizza, alla ricerca di un senso compiuto.

Per la nuova ala del museo si parte da un rettangolo allungato, da dividere all’interno in una enfilade di stanze; lo stesso per le sculture, fatte con pezzi di legno sovrapposti o giuntati, al fine di creare figure astrattamente antropomorfe. Ma il rettangolo non basta e non soddisfa. Da una parte e dall’altra, la regolarità di partenza viene contraddetta da piegature che distorcono gli spazi adattandoli al luogo (nell’edificio) e donano espressioni caricaturali, infantili e poetiche (nelle sculture). Pressappoco al centro, il museo si flette provocando una frattura che rimane impressa nel paramento esterno, sottolineata da una finestra triangolare. Nelle sculture, l’angolo retto diventa invece presto acuto oppure ottuso nella rotazione necessaria a mimare braccia alzate verso il cielo e accoglienti abbracci: la serie veneziana si chiama infatti O encontro (l’incontro), in linea con l’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco.

Ogni piegamento è frutto di sofferta gestazione. Per la nuova ala, è servita la «solita» infinita serie di schizzi assonometrici, maquette, scarabocchi, modelloni e modellini che è possibile ammirare nella mostra inaugurale intitolata «C.A.S.A.» (Collezione Álvaro Siza, Archivio). Per le sculture, il portoghese ha usato la mano ma anche il computer, in maniera essenziale, digitalmente primitiva, giungendo a dare vita a marionette congelate. 

Due canti paralleli, parti complementari di un poema di lungo corso, ormai entrato nella storia, non solo portoghese.

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