In ricordo di Paulo Mendes da Rocha
Paulo Mendes da Rocha (Vitória, 1928) è morto il 23 maggio 2021 a São Paulo, la città che ha fortemente segnato con le sue opere imponenti e poetiche, ispirate dall'architettura moderna e dal pensiero di João Batista Vilanova Artigas. I suoi progetti gli sono valsi riconoscimenti come il Pritzker (2006) e la medaglia d'oro del RIBA (2017); quest'anno, in estate, avrebbe dovuto ricevere anche la medaglia d'oro dell'UIA.
L'architetto aveva visitato più volte la Svizzera italiana, ospite dell'Accademia di architettura e del Seminario di Monte Carasso, su invito dell'amico Luigi Snozzi. Con lui aveva delineato il grande progetto per l'Olanda «Deltametropolis», di cui parla in questo scritto apparso su «Archi» 5/2003. Lo riproponiamo in suo ricordo.
Come per l'avventura dell'Olanda, scrivere alcune linee su questa pubblicazione è, per me, una straordinaria emozione. Luigi Snozzi è una sorta di «forza creativa della natura» e nei nostri incontri – quasi tutti promossi dalla sua generosa invenzione dei bellissimi e divertenti seminari di Monte Carasso – questo episodio della video-conferenza sul Deltametropolis, assieme a Henri Ciriani, è stato, e continua a essere, un momento di estrema complessità e di fortissimo appello per la mia povera immaginazione.
Questo scritto è apparso con il titolo Sul progetto Deltametropolis in «Archi» 5/2003, insieme a contributi di Luigi Snozzi e Renato Maginetti dedicati al medesimo progetto. Il numero può essere sfogliato qui
Le questioni legate alla configurazione del territorio, alla geografia, al concetto di natura e alla riflessione sulle sue trasformazioni e sulla costruzione del luogo abitabile, sono sempre state, in America, il fondamento delle idee sull'architettura e sull'urbanistica; costruire – dove prima non c'era – un luogo dove sia possibile vivere. Qui è tutto molto nuovo, inaugurato assieme alla prova che abitiamo un pianeta che ruota nello spazio sottomesso a leggi che abbiamo dedotto da una certa meccanica celeste. Io e Snozzi ci siamo già divertiti con la dignità delle piccole pietre delle torri di Monte Carasso, degne ed esigenti, perfettamente a piombo per rimanere così, come mai sono state prima, per sempre, parlanti e discorsive.
Qui in Brasile, in America Latina, sogniamo di poterci liberare dai limiti amari di uno smantellamento del territorio. Dal trattato di Tordesilhas. Dalla sua mentalità distruttiva.
Sogniamo di collegare l'Atlantico al Pacifico. Siamo ancora legati al canale di Panama e allo stretto di Magellano. Sogniamo, gli ingegneri brasiliani e qualche architetto, di collegare il bacino amazzonico con quello del Plata – alcuni dicono, io l'ho sentito – [e formare] una seconda costa brasiliana di navigazione interna. Collegare, con la navigazione fluviale, il bacino dei fiumi Tocantins-Araguaia, affluenti del grande Amazonas, e il bacino dei fiumi Paranà-Uruguai.
Collegare attraverso la navigazione interna l'Amazzonia con l'Argentina. São Paulo con Buenos Aires. Progetti che esigono la pace nella nostra America e un territorio nel quale le acque dicano che non esistono frontiere.
Sono nuovi e desiderati orizzonti per l'architettura, per disposizioni spaziali che esigono invenzioni e immaginazione con la scienza e la tecnica, non intese come fonte di stupore ma come amabili compagne delle arti.
Noi abbiamo qui, più che in qualsiasi altro luogo nel mondo, un debito con il passato. Uno stimolo.
Guardate un po', il mio amico Jo Coenen, [ci] convoca per una riflessione sulla sua Olanda!
Tra altre meraviglie, ha fatto che io sorvolassi, a trecento metri di altezza, in una giornata stupenda, tutto il Delta. Durante quasi due ore. Con carte aperte. Mappe della regione e due assessori. Anche se normalmente gli architetti conoscono abbastanza bene l'Olanda, la sua visione è impressionante. E commovente, perché uno degli agglomerati urbani fortemente edificati nel Brasile, anche un certo delta dei fiumi Capibaribe e Beberibe, l'insieme Recife-Olinda, sarebbe stato strutturato dai lavori di Nassau, nel secolo XVII. Tutto è stato abbandonato e oggi non si naviga più in questi fiumi insabbiati e inquinati, con nuovi ponti, mal costruiti, senza condizioni per le imbarcazioni.
Negli ultimi anni, in certi lavori recenti, negli sbarramenti del sistema Tietê-Paranâ, nella costruzione del grande porto per imbarcazioni di 500'000 tonnellate, nella città di Vitória dove sono nato, il contributo dell'esperienza olandese è stato utilizzato per affrontare il mare aperto. E c'è ancora molta altra Olanda nella storia del Brasile. Nel progetto Deltametropolis, comunque, è più utile immaginare una visione che sia distante dai problemi specificamente tecnici e più prossima al mondo dei desideri.
Ho avuto modo di vedere alcuni esempi di progetti in fase di sviluppo per la riurbanizzazione della regione e, in verità, sono quasi tutti sprovvisti di qualsiasi tipo di indagine su quelle che potrebbero essere le nuove disposizioni spaziali in quel territorio in [fase di] trasformazione pianificata. Tempi molto differenti per le costruzioni e per il consolidamento-trasformazione dei suoli. Meccaniche che dovrebbero, o che potrebbero, associarsi in forme nuove.
Discutendo con Snozzi siamo giunti ad alcuni punti comuni che probabilmente non saranno inediti. Tranne forse il «treno meccanismo perfetto».
I punti principali discussi sono stati: la sostituzione dell'automobile come strumento di trasporto individuale; la decisa verticalizzazione delle costruzioni, principalmente delle residenze; il problema dell'emigrazione, oriunda – in particolare – dei paesi che in passato erano stati colonizzati. In fondo sono tutti problemi relazionati con la mentalità, questioni politiche. Questioni di urbanistica. II territorio olandese, più di qualunque altro, è incompatibile con il congestionamento dell'automobile, con una trama densa di strade e con l'inquinamento atmosferico.
Un'altra rete, compatibile con la meccanica dei suoli, dei fluidi, in questo luogo fragile e forte al contempo, esige nuovi disegni per il trasporto pubblico.
Gli emigranti, dal canto loro, saranno la maggior parte della popolazione lavoratrice del futuro del paese, che necessita della mano d'opera, dei tecnici e degli scienziati che, in un certo modo, sono già più olandesi di molti altri che desiderano emigrare. Bisogna pensare all'ipotesi di una città per tutti. Una trasformazione in attesa per qualsiasi città dei nostri giorni. Anche la verticalizzazione dovrebbe includere la sperimentazione e anche l'invenzione di nuovi modelli, molto differenti da quelli che ha prodotto la speculazione immobiliare, la quale ha condotto alla separazione della popolazione delle città in classi sociali distinte e segregate.
Il treno è un altra storia, è un meccanismo ideale, dal movimento circolare perfetto e orizzontale come l'acqua, cosa possibile forse solo in Olanda. Una navetta dal tracciato circolare con circa 50 chilometri di diametro. Poche fermate e una vista bellissima.
Queste sono, in modo superficiale, alcune delle idee che sono sorte durante questa discussione – molte sul concetto di città nella nostra epoca, dopo questo terribile secolo XX – [a partire dal] suolo olandese, per dire che il pianeta, così come lo stiamo costruendo, non sarà probabilmente, in futuro, molto abitabile.
Traduzione di E. S.
Laddove il testo originale era oscuro si è cercato di facilitare la lettura con degli accorgimenti riportati tra [ ].