Re­cen­sio­ne a «Fram­menti ur­bani» di Vit­to­rio Mag­nago Lam­pug­nani

Luca Ortelli commenta il volume dedicato a quegli elementi minuti che punteggiano lo spazio urbano contribuendo a dargli forma: chioschi, panchine, cestini dei rifiuti… Un libro «prezioso e appassionante per tutti coloro che desiderano conoscere le "storie", a volte sorprendenti, di quei protagonisti silenziosi e immobili dei pae­saggi delle nostre città».

Luca Ortelli
Architetto, professore al Politecnico Federale di Losanna

All’imponente e pregevole mole di pubblicazioni dedicate alla città europea di cui Vittorio Magnago Lampugnani è autore, si aggiunge ora Frammenti urbani. I piccoli oggetti che raccontano le città, recentemente pubblicato da Bollati Boringhieri, traduzione dell’originale edito a Berlino nel 2019.

L’indice del volume è esplicito e perfettamente adeguato al titolo. I tre capitoli – Microarchitetture, Oggetti, Elementi – presentano un elenco esaustivo delle «piccole cose» che partecipano alla definizione del carattere delle città, spesso legate al vissuto quotidiano degli abitanti in qualità di testimoni discreti e silenziosi di un’urbanità sommessa e ben lontana dai clamori di molti attuali progetti di riqualificazione urbana.

Nell’introduzione, l’autore chiede ai lettori di osservare le fotografie di varie città, sicuro che – non senza esserne sorpresi – sapranno riconoscere di quali si tratta. Al di là dei monumenti e degli edifici più celebri, infatti, sarà possibile identificare le città grazie a un’infinità di piccole architetture e di oggetti che per forme, colori e per la posizione che occupano in strade e piazze possono essere facilmente ricondotti alle grandi città europee ma anche a realtà provinciali o meno note.

Quelle che Lampugnani definisce Microarchitetture rivestono, in alcuni casi, un’importanza capitale: chioschi, Trinkhallen, bagni pubblici, fermate dei mezzi pubblici e accessi alle stazioni delle linee metropolitane sono elementi tipici della città del XIX secolo, la cui esistenza ci parla di un’urbanità lontana. La presenza di queste microarchitetture è oggi inevitabilmente frammentaria, essendosi in gran parte dissolti i legami che ne facevano un insieme coerente e riconoscibile. Molto spesso, infatti, chioschi, pensiline, edicole sembrano resistere all’impeto delle trasformazioni urbane assumendo un carattere addirittura metafisico, prodotto dal loro essere assolutamente inattesi. Nonostante le piccole dimensioni, queste architetture ci parlano di un passato ancora abbastanza vicino da risultare per lo più comprensibile. Resistono fino a quando possono, fino al momento in cui diventano irrimediabilmente obsolete, come nel caso delle cabine telefoniche che Lampugnani annovera giustamente fra le microarchitetture e che tanto profondamente appartengono, nella memoria collettiva, all’immagine di Londra.

Dopo le microarchitetture, il libro prende in considerazione gli oggetti: monumenti, fontane, panchine, lampioni, orologi, paracarri, cestini per rifiuti, semafori, fino alle targhe stradali e alle indicazioni dei numeri civici degli edifici. E dopo gli oggetti, è la volta degli elementi: vetrine, recinzioni, marciapiedi, pavimentazioni e persino tombini – tutti puntualmente accompagnati dalle loro storie.

Molte delle voci di questo ideale atlante dell’arredo urbano sono o possono apparire desuete, altre sono al di fuori della portata di un singolo architetto, ma ce ne sono alcune che godono di grande attualità nelle politiche di trasformazione degli spazi pubblici di molte città, indipendentemente dalle loro dimensioni.

È possibile individuare un tipo di incarico professionale, oggi molto diffuso, che pur comportando un numero ridotto di elementi – sostanzialmente panchine, lampioni e pavimentazioni – contribuisce spesso al miglioramento sostanziale dello spazio urbano, come nei progetti presentati in questo numero di «Archi».

Nonostante l’inattualità di molti degli oggetti presentati, il libro di Lampugnani si rivelerà prezioso e appassionante per tutti coloro che desiderano conoscere le « storie», a volte sorprendenti, di quei protagonisti silenziosi e immobili dei pae­saggi delle nostre città e che si susseguono per 260 pagine.

Al di là dell’interesse immediato nei confronti dei singoli capitoli, l’utilità di questo libro consiste innanzitutto, come ricorda l’autore, nell’invito a osservare «con sguardo nuovo e più attento», nei nostri orizzonti urbani, anche ciò che a prima vista potrebbe apparire inessenziale.

«Archi» 4/2021 può essere acquistato qui. Qui si può leggere l'editoriale con l'indice del numero.

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