Il Padiglione alla Magliana di Pier Luigi Nervi
Restaurare il cemento armato
Con il Padiglione alla Magliana, Pier Luigi Nervi mette alla prova per la prima volta un materiale di sua invenzione: il ferrocemento. Tullia Iori, impegnata con Sergio Poretti nel restauro dell'opera, ripercorre le procedure e racconta le difficoltà di ridare smalto a «una geniale sperimentazione costruttiva».
Il «Padiglione alla Magliana» è realizzato nel 1944-1945 da Pier Luigi Nervi con il materiale di sua invenzione, il ferrocemento, al fine di sperimentarne, per la prima volta su un’opera edilizia, le potenzialità architettoniche, costruttive e strutturali.
Il ferrocemento è una combinazione originale di calcestruzzo e armatura, nella quale Nervi inverte le proporzioni dei due componenti rispetto al cemento armato ordinario. Spesso pochi centimetri, è molto resistente, elastico, duttile, isotropo, praticamente omogeneo, leggero e straordinariamente sagomabile in forme qualsiasi, oltre che eccezionalmente economico: la soluzione ideale – secondo Nervi – alle limitazioni sull’impiego dei materiali, in particolare dell’acciaio, imposte dal regime fascista durante la propaganda autarchica, alla fine degli anni Trenta.
L’intera superficie perimetrale del padiglione è realizzata in ferrocemento di spessore pari a 3,5 cm e la sua resistenza è conseguenza della forma fittamente ondulata, a grande inerzia.
L’edificio è oggi di proprietà privata e inserito in un’area adibita a parcheggio. Dopo il restauro è stata avviata la procedura per la protezione con vincolo di tutela, entrata in vigore nel settembre 2016.
Il restauro del padiglione è stato condotto nell’ambito dell’attività di sperimentazione applicata del progetto di ricerca SIXXI. È stato possibile grazie alla sponsorizzazione di Italcementi Group di Bergamo, che ha offerto i materiali innovativi per l’intervento e l’assistenza tecnica. Italcementi aveva già collaborato nel 2010 con il gruppo SIXXI per il restauro della motobarca di ferrocemento «La Giuseppa», realizzata da Nervi nel 1972, di proprietà dell’Università di Roma Tor Vergata.
Il restauro è stato preceduto dallo studio del ferrocemento. Nervi realizza le sue solette sovrapponendo molti strati di reti metalliche sottili, su cui spalma cemento ad alta resistenza miscelato con inerte fine, premendo con il fratazzo su una faccia fino a che il calcestruzzo affiora dall’altra. Il brevetto che protegge l’invenzione è depositato in Italia il 15 aprile 1943, con il n. 406296, mentre il procedimento di esecuzione del padiglione è protetto il 29 settembre 1944 con il brevetto n. 429331. Per verificare la capacità degli operai di «fare» il ferrocemento, prima dell’intervento è stato realizzato un modello in scala 1:1 di una porzione della parete ondulata del padiglione. La sequenza realizzativa è stata la stessa adottata da Nervi all’epoca. Il modello confezionato è stato poi esposto alla Triennale di Milano durante la mostra «Comunità Italia» (2015-2016).
Al momento di avviare il restauro, il padiglione presentava diversi ammaloramenti, con vaste porzioni di conglomerato mancanti e corrosione nelle reti di armatura. Anche le parti che a prima vista apparivano meglio conservate, dopo la rimozione della finitura hanno invece rivelato guasti ancora peggiori, mascherati da impropri interventi di rappezzo di ampie lacune. Era molto ammalorata anche la superficie intradossale della copertura.
I lavori sono iniziati con il lavaggio e la leggera battitura delle pareti e della copertura; poi l’armatura esposta è stata pulita a mano con spazzole metalliche e trattata con una vernice protettiva. L’armatura perduta per la corrosione è stata integrata con un nuovo strato di rete, dello stesso diametro e stesso passo della preesistente, legata ai tondini. Quindi si è applicato il prodotto a base cementizia, messo a punto, per questo specifico intervento, dai laboratori Italcementi: con granulometria identica all’originaria (ricavata da un piccolo campione di ferrocemento sottoposto ad analisi di laboratorio), cromaticamente corrispondente, dalla consistenza tixotropica adeguata alla stesura a mano, applicabile in spessori millimetrici, in grado di conservare nel tempo le sue caratteristiche (e per questo addizionato con TX Active, catalizzatore in grado di abbattere gli inquinanti atmosferici, compresi i gas di scarico delle vetture, e conseguentemente garantire caratteristiche autopulenti alla superficie).
Il restauro del Padiglione alla Magliana ha consentito un notevole progresso di conoscenza teorico-pratica nelle tecniche inventate da Nervi per realizzare i suoi capolavori degli anni del boom. In particolare, gli operai che hanno condotto il lavoro hanno descritto le operazioni manuali di «spalmatura» del materiale come estremamente faticose: non stupisce allora che nessun altro edificio sia stato realizzato in questo modo. In seguito, infatti, Nervi, nelle sue architetture più celebri, utilizza il ferrocemento in combinazione con un’altra sua invenzione costruttiva, la «prefabbricazione strutturale»: realizza cioè pezzi piccoli di ferrocemento, confezionati a terra, fuori opera e poi montati come in un puzzle e resi monolitici.
Il padiglione ci ricorda però ancora oggi l’inizio di una geniale sperimentazione costruttiva.
Luogo via della Magliana 238, Roma
Intervento e tipo edificio Padiglione sperimentale di ferrocemento realizzato da Pier Luigi Nervi (1944-1945) – Restauro sperimentale delle pareti e della copertura di ferrocemento
Committenza mandato di sperimentazione nell’ambito del progetto SIXXI – XX Century Structural Engineering: The Italian Contribution (Erc Adv Grant)
Restauro Sergio Poretti, Tullia Iori
Collaboratori Team SIXXI, Università di Roma Tor Vergata
Impresa SAGI, Roma
Sperimentazione sui materiali Italcementi Group, Bergamo
Materiali speciali Effix Design ST
Fotografia Sergio Poretti, Roma
Date progetto 2012, realizzazione 2013
Il padiglione è stato vincolato ai sensi del D.P.C.R. 30 settembre 2016 della Commissione regionale per il patrimonio culturale del Lazio, Italia. I disegni esecutivi del padiglione sono conservati al Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) dell’Università degli studi di Parma, e le foto della costruzione sono conservate nel Centro archivi di Architettura del MAXXI.
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