Vi­ve­re a ca­sa pro­pria nel­la quar­ta età

Come si vive in Svizzera nella quarta età? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di continuare ad abitare a casa propria? Un libro analizza la questione con una panoramica sul paese nel suo complesso.

Data di pubblicazione
01-08-2019

Oggigiorno è difficile parlare di habitat e invecchiamento senza pensare alle diverse abitazioni concepite e realizzate in modo specifico per le persone anziane; strutture definite intermedie perché situate a metà strada tra il domicilio tradizionale e le case per anziani, in grado di offrire peculiarità come l’assenza di barriere architettoniche, la possibilità di beneficiare di prestazioni di aiuto e di cura personalizzate e di approfittare della presenza di figure innovative quali quella del custode sociale o, ancora, dell’esistenza di spazi collettivi.

Dell’attrattività di queste abitazioni sappiamo però ancora troppo poco, mentre è risaputo come la maggioranza delle persone anziane, tanto nella terza quanto nella quarta età, viva in normali case o appartamenti, spesso di grandi dimensioni e in stabili relativamente vetusti; alloggi affittati o acquistati alcuni decenni prima, quando i figli vivevano ancora sotto lo stesso tetto, e il cui costo è spesso inferiore alla media.1 Restarci il più a lungo possibile, se non per sempre, è del resto un desiderio comune, realizzabile alle nostre latitudini grazie all’intervento di una rete di aiuti esterni, tanto informali (familiari, amici e vicini), quanto formali (professionisti e altri).

Nell’ambito di uno studio sugli aiuti a domicilio nella quarta età ho avuto modo di intervistare un certo numero di ottuagenari e oltre che vivono nel loro domicilio.2 Dalle loro testimonianze emerge la situazione di ambivalenza che caratterizza la permanenza a casa: da un lato le certezze che l’ambiente domestico garantisce in una fase di vulnerabilità e cambiamenti, dall’altro le sfide che può invece contribuire ad alimentare mettendo in discussione il mantenimento a domicilio stesso.

Una certezza è innanzitutto identitaria ed è relativa a ciò che è stato definito, in relazione all’esperienza dell’invecchiamento, come il «ripiegamento domestico»;3 ovvero il progressivo ritirarsi, il rifugiarsi, nella familiarità e nella sicurezza delle proprie mura domestiche quale reazione a un ambiente sociale percepito come sempre più distante e non più controllabile. Riducendo il proprio raggio d’azione a quello domiciliare, i propri sforzi vengono concentrati su determinate attività e relazioni, organizzando le proprie giornate secondo le proprie possibilità e i propri ritmi, in modo sistematico, conoscendo e anticipando i rischi. Grazie a questa «routinizzazione»4 si cerca di rendere la propria vita più prevedibile e dunque controllabile, ciò che permette di mantenere una propria continuità esistenziale.

Le relazioni d’aiuto informale che tale spazio favorisce rappresentano un altro punto di riferimento fondamentale per la persona al domicilio. Oltre all’eventuale presenza del coniuge o della persona convivente, si tratta in particolare di quegli aiuti che sono garantiti dalla prossimità geografica tra la persona e chi è suscettibile di darle un supporto (che sia pratico o morale); per lo più i figli, se vivono nelle immediate vicinanze, ma anche i vicini di vecchia data, i quali in assenza dei primi possono divenire degli alleati indispensabili garantendo un monitoraggio sulle proprie abitudini quotidiane. La consapevolezza di poter contare su queste risorse perché «a portata di mano» contribuisce anch’essa al mantenimento di una certa continuità e di un controllo sulla propria vita.

Per quanto riguarda poi gli aiuti formali, generalmente temuti perché estranei al proprio ambiente più intimo, possono anch’essi contribuire a rafforzare il senso di sicurezza dell’anziano, fondamentale in questa fase della vita, oltre ad alimentarne la valorizzazione personale. Questo accade soprattutto quando gli aiuti sono forniti su base regolare, da un numero limitato di curanti e laddove l’intervento di quest’ultimi esuli da quello più tecnico legato ad atti specifici di cura.

Come anticipato, dietro un ripiegamento domestico si possono celare anche delle situazioni meno idilliache. In particolare, man mano che le difficoltà si accumulano, c’è chi deve fare i conti con una situazione di dipendenza importante che va a toccare tutte o quasi le attività della vita quotidiana; i tentativi di mantenere una propria integrità cedono via via il passo al senso di estraneità, alla sensazione di essere vittima del proprio corpo e di poter vivere un ulteriore cambiamento in ogni momento (un peggioramento ulteriore della propria libertà di movimento per gli uni, la perdita del coniuge per gli altri), all’angoscia di rappresentare un carico ulteriore per i propri figli.

Divenuti indispensabili, determinati supporti formali possono anch’essi suscitare delle difficoltà presso chi ne beneficia. Ciò si verifica spesso, nel caso dei servizi di aiuto e cure a domicilio a scopo non lucrativo, in relazione alla mancanza di continuità nella presa a carico legata al frequente ricambio di personale e all’impossibilità di definire un intervento preciso; delle logiche che intensificano la sensazione di essere gestiti, invece che di essere supportati nella gestione del proprio quotidiano, e che quindi mettono in discussione l’autonomia della persona, il suo modo di vivere in casa propria.

Altre condizioni limite si riscontrano infine là dove la situazione finanziaria non permette un potenziamento di determinate prestazioni d’aiuto formale, gli aiuti domestici e la sorveglianza, di cui si avrebbe tuttavia grande bisogno ma che, a differenza delle cure, in Svizzera restano a carico del beneficiario. Altre prestazioni meno tradizionali come l’accompagnamento a fare la spesa e nei luoghi di incontro o la sollecitudine in caso di bisogni non programmati, restano concepiti come di competenza informale o, per chi se lo può permettere, del mercato privato. Tali supporti possono essere percepiti come «meno urgenti» ma restano fondamentali per la vita quotidiana a domicilio e per favorire l’interazione con il proprio habitat nel senso più ampio del termine, evitando l’isolamento sociale.

Insieme ad altre, queste riflessioni sono pubblicate nel libro interdisciplinare Habitat et vieillissement, in uscita in autunno sotto la direzione di François Höpflinger (UNIZH), Valérie Hugentobler (HES-SO) e Dario Spini (Unil). Il testo riprende i risultati dell’inchiesta Age-Wohnumfrage condotta presso le persone di 60 anni e oltre in Svizzera; dati che per la prima volta sono stati raccolti anche in Romandia e in Ticino (oltre che in Svizzera tedesca), permettendo quindi un confronto tra le tre regioni linguistiche. Tra gli obiettivi della pubblicazione, che apparirà in francese e in tedesco, vi è quello di migliorare la situazione abitativa delle persone anziane grazie a informazioni aggiornate sulla loro attuale abitazione e sulle loro esigenze e aspettative future; un dato particolarmente utile alla riflessione sul tipo di costruzioni da incoraggiare.

 

Note

  1. OFS, Les conditions d’habitation des seniors en Suisse, en 2016, Neuchâtel 2018.
  2. Barbara Masotti, Faire l’épreuve de l’aide à domicile au grand âge: une étude qualitative et quantitative des services formels au Tessin, thèse de doctorat en Sciences de la société, Université de Genève, 2016.
  3. Vincent Caradec, L’épreuve du grand âge, «Retraite et société», 3 (52), 2007, pp. 11-37.
  4. Jean Bouisson, Vieillissement, vulnérabilité perçue et routinisation, ibidem, pp. 107-128.

Questo articolo è apparso in Archi 4/2019, che può essere acquistato qui, mentre qui è pubblicato l'editoriale di Mercedes Daguerre con i link a tutti gli articoli del numero dedicati all'abitare nella terza e quarta età.

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