An­ti­pa­sto e des­sert

Due modellini particolari

Di modelli edibili e svolte nella storia della progettazione, tra Castiglioni, Mies e fette di formaggio.

Data di pubblicazione
18-08-2021
Gabriele Neri
Dott. arch. storico dell'architettura, redattore Archi | Responsabile della rubrica 'Paralleli' per Archi

Due modellini d’architettura, un po’ diversi dal solito. Il primo è il divertissement giovanile di uno studente che farà molta strada, un assaggio – o meglio l’antipasto – di quanto verrà. Il secondo è un punto d’arrivo: l’ironica celebrazione di un grande maestro. Praticamente, un dessert.

Nel 1940 Achille Castiglioni (1918-2002) studia architettura al Politecnico di Milano. Nel corso di Composizione architettonica, gli viene chiesto di progettare la sede di un Gruppo rionale fascista e risponde con il tipico menu di piante, sezioni e prospetti, ma non solo. Sul tavolo presenta anche la fotografia di un modellino, composto da pezzi di formaggio ben impiattati su di una griglia urbana accennata a matita. Si noti il sapiente gioco dei latticini sotto la luce, allusivi alla texture dell’italico travertino, con la crosta che funge da copertura. Si direbbe un emmental stagionato, o forse è fontina: non siamo sicuri.

Non sapeva, Achille, d’essere in anticipo di decenni su performance parametriche – con le loro facciate bucherellate secondo lo zodiaco – ed ecosostenibili: oltre che autarchico, un simile progetto sarebbe stato biodegradabile. Come è stato scritto, dietro a tale gesto si può scovare la pratica dell’objet trouvé, così come l’arte polimaterica (qui edibile) futurista. Ma anche un più o meno volontario schiaffo alla retorica del regime, e soprattutto una scintilla di quell’ironia creativa che farà di Castiglioni uno dei maestri del design italiano.

Dal giovane promettente e irriverente al vecchio e osannato Meister: l’altro «plastico» fu realizzato nel 1961 per festeggiare i 75 anni di Mies van der Rohe (1886-1969). Nella foto di George Danforth (studente e poi successore di Mies all’Illinois Institute of Technology di Chicago), si riconosce la sagoma della Crown Hall (1952-56), uno dei suoi capolavori; dato che ci teniamo al rigore scientifico, l’abbiamo mostrata alle più antiche bakeries della città americana (Roeser’s, Scafuri e Lutz, tre pietre miliari della pasticceria locale) per analizzarne i materiali.

Purtroppo, nessuna prova schiacciante. Ma, a occhio, lo spazio fluido, qui definito da un pan de verre continuo, parrebbe composto da pan di Spagna (la ricetta del Padiglione di Barcellona?), con crema chantilly e granella di zucchero a coprire. Resta incerta la construction history della struttura metallica: si tratta di frolla di cioccolato? I quattro elementi strutturali resero di certo necessario un raffinato processo di estrusione e cottura.

Il grande architetto sembra apprezzare questa dolce imitazione, anche se essa segna la fine di un’era. Con l’insolente traduzione di un tempio moderno in sostanza commestibile, la torta di Mies cambia sapore allo Zeitgeist (rendendolo più digeribile) e annuncia la postmodernità. Guarda caso, pochi anni dopo Robert Venturi e Denise Scott Brown scopriranno ben altri legami tra cibo e architettura: a Las Vegas i chioschi di ducks allo spiedo sono disegnati in forma di anatre giganti, mischiando semiotica e fast food. Andranno a influenzare le successive generazioni di architetti, americani e non solo.

Al di là di queste brevi e semiserie note, rimane – oltre a un certo appetito – il potere immaginifico dell’architettura in miniatura. Che siano strumenti di studio, manufatti per convincere un cliente, simboli del potere o innocui (a prima vista) giocattoli, i «modellini» racchiudono un mondo favoloso che non smette di affascinarci.

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