Appunti per una storia dei cimiteri nel Canton Ticino
Sul territorio del Canton Ticino, secondo le informazioni desunte dal censimento dei beni culturali elaborato dall’Ufficio dei beni culturali, vi sono 288 cimiteri monumentali, per lo più costruiti a partire dal quarto decennio dell’Ottocento. Questa semplice informazione attesta una presenza consolidata e diffusa: non è però sufficiente per descrivere la complessità e la ricchezza di un patrimonio archeologico, storico, etnografico, architettonico e artistico, che fino ad oggi è stato studiato solo saltuariamente.
La storia delle aree cimiteriali e dei cimiteri è plurisecolare. Le ricerche archeologiche nella regione ticinese hanno permesso di documentare che le prime tombe organizzate in necropoli risalgono all’epoca del Bronzo recente (XIII-XII secolo a.C.), a dimostrazione della presenza di comunità organizzate e di culti particolari. Erano tombe a incinerazione, con i resti dei defunti normalmente raccolti in urne deposte in loculi di pietra. Solamente a partire dal VI secolo a.C. iniziò la pratica dell’inumazione, diffusa specialmente nell’area sopracenerina, mentre nel Sottoceneri persisteva il rito dell’incinerazione.
È interessante notare che le inumazioni dell’età del Ferro erano spesso caratterizzate da una struttura visibile, che doveva avere un impatto paesaggistico e simbolico: il corpo era deposto in una profonda fossa, con le pareti in ciottoli e pietrame spaccato; al di sopra vi era un tumulo di grosse pietre, con infissa al centro una stele o un alto cippo in pietra, quale segnacolo della tomba. Il paesaggio delle grandi necropoli di Gudo e Giubiasco, come pure di quelle d’epoca romana, con le aree sepolcrali talvolta delimitate da muri, con i segnacoli emergenti dal terreno, doveva essere assai caratteristico (Carazzetti 2002).
Altrettanto significativa è la localizzazione territoriale di queste aree, che per principio nell’antichità erano eccentriche agli insediamenti, siti a loro volta nelle posizioni più favorevoli per insolazione, protezione contro i pericoli naturali, ecc. È proprio per questa ragione che le aree cimiteriali più antiche (come quella di Locarno/Solduno della prima età del Ferro, poi utilizzata in epoca romana e poi nell’alto Medioevo) spesso coincidono con quelle dell’Ottocento quando, come vedremo, le autorità cantonali obbligarono i comuni, piuttosto riottosi, a realizzare i nuovi cimiteri a una certa distanza dai centri abitati (Donati 1973-1975; Butti Ronchetti 1997).
Un nuovo concetto di morte e spazio
Un nuovo approccio alla morte e un ben differente modo di ubicare le aree sepolcrali si impose con la progressiva cristianizzazione delle nostre regioni, a partire dal V secolo d.C. La morte non era più un avvenimento da esorcizzare, ovverosia un distacco definitivo tra il mondo dei vivi e quello dei morti: al contrario attraverso la redenzione operata da Cristo e la mediazione della Chiesa, la morte permetteva la salvazione dell’anima e del corpo.
Da questa concezione nacque il riavvicinamento, già a partire dal primo Medioevo, tra la città dei morti e la città dei vivi. Per questo sin dal periodo paleocristiano e altomedievale la necropoli si collocò al centro dell’insediamento, all’interno o nei pressi delle chiese plebane, dei battisteri (come a Riva San Vitale, dove l’area del battistero paleocristiano del V secolo era stipata di sepolture), delle chiese parrocchiali e degli oratori. In qualche caso la causa e il motivo della creazione di un edificio sacro era lo stesso corpo del defunto: si ricordi, ad esempio, i casi precoci delle chiese dei Santi Nazario e Celso ad Airolo e di San Maurizio a Bioggio, dove attorno a una sepoltura privilegiata paleocristiana sorsero, tra il V e il VI secolo, due modesti oratori quadrangolari poi trasformatisi in chiese parrocchiali; analogamente a San Pietro di Gravesano, dove a un primitivo edificio d’incerta funzione sorto su una necropoli d’epoca romana nel VII-VIII secolo fu aggiunta un’abside e collocata una tomba privilegiata, nucleo originario dell’odierno edificio sacro (Foletti 1997; Tabernero Geiger Matzke 2012).
Nel corso del Medioevo questa situazione si consolidò: come dimostrano molte evidenze archeologiche (l’ultima in ordine di tempo quella riscontrata nella chiesa parrocchiale di Rossura), i cimiteri sorsero e si organizzarono nei pressi o all’interno degli edifici sacri ovverosia al centro della comunità dei vivi, secondo un ordine dettato e diretto, per quanto possibile, dalle autorità ecclesiastiche.
In tal senso si leggano le Istruzioni sull’edilizia e la suppelletile ecclesiastica (Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae) promulgate da Carlo Borromeo nel 1577 vescovo visitatore che percorse le terre ambrosiane del Ticino nella seconda metà del Cinquecento: obbedendo ai costumi e alle tradizioni dei padri, non si proibiva la creazione di cimiteri nei pressi delle chiese; tuttavia essi dovevano essere luoghi che permettessero di suscitare la carità e la pietà verso i defunti e ricordare la fragile condizione umana, e quindi avere una propria dignità anche se utilizzati per altri scopi; dovevano avere una forma quadrata o rettangolare ed essere sufficientemente ampi in relazione al numero degli abitanti del luogo; dovevano essere circondati da alti muri intonacati, avere un ingresso munito di porte solide e richiudibili, su cui si poteva dipingere una croce con un teschio alla base; al centro del cimitero, che doveva essere completamente libero da alberi, da cespugli, cataste di legna o altri materiali, vi doveva essere una croce appoggiata su un basamento di pietra; dovevano poi essere dotati, ove possibile, di una cappella volta ad oriente, in cui potessero essere recitate le preghiere per i morti, e di un ossario dove disporre in buon ordine, alla vista di tutti, i resti dei defunti riesumati.
Quella descritta dal Borromeo è una configurazione territorialmente incisiva e assai significativa, che si riscontra costantemente nelle terre ticinesi: molte chiese parrocchiali e oratori sorgono isolati rispetto all’insediamento storico, attorniati da splendidi sagrati utilizzati come luogo privilegiato di radunanza della comunità, ma anche come cimiteri, sorretti e cintati da solidi muri, con al centro un’alta e raffinata croce, un ossario ben visibile, un portale dipinto e in qualche caso (ma questa è un’aggiunta settecentesca) una Via Crucis monumentale per sottolineare la sacralità del sito (Mondada 1974; Rüsch Carazzetti 1992). Ma le Istruzioni di Carlo Borromeo toccavano anche un altro aspetto delle pratiche funerarie, ossia l’usanza, sempre più diffusa tra la fine del Medioevo e il Settecento, di deporre i defunti in camere mortuarie poste all’interno delle chiese.
Anche questa è una situazione ampiamente riscontrabile negli edifici sacri esistenti sul territorio ticinese: ad esempio nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta a Caneggio, quattro lapidi collocate nel pavimento della navata nel 1754 ricordano la destinazione delle grandi camere mortuarie sottostanti, dove venivano accolte le vergini e i bambini (Hic pueri virginisque requiescunt), gli uomini (Hic dormiunt viri), gli sposi (Hic nupti suffragia expectant), le vedove (Hic viduis datur requies): anche nelle sepolture anonime (la morte colpisce tutti indistintamente) l’ordine sociale e morale doveva essere rispettato.
Il Borromeo ricordava la necessità di rispettare la struttura dell’edificio (niente sepolture nel coro o nella cappella maggiore), l’ordine sociale stabilito (precedenza agli ecclesiastici e ai chierici) e l’obbligo di ottenere un permesso vescovile per seppellire laici, che preferibilmente dovevano essere deposti nel cimitero; segnalava inoltre la necessità di sigillare accuratamente le camere mortuarie e di evitare che gli anelli delle pietre tombali sporgessero dal pavimento, per non creare inciampo.
La nascita dei cimiteri monumentali
Con il passar del tempo, soprattutto a partire dal XVIII secolo quando la popolazione aumentò, questi problemi divennero sempre più acuti: non vi era più spazio per accogliere i defunti, mentre appariva intollerabile, specialmente alla mentalità illuminista e pragmaticamente positivista che si stava diffondendo, accettare la presenza di aree cimiteriali in edifici assai frequentati. Si temeva che dai corpi esalassero miasmi infettivi, fonti di malattie e quindi perniciosi per la popolazione. A determinare questa evoluzione dei costumi, non vi erano solamente ragioni sanitarie: tra il XVIII e l’inizio del XIX secolo era mutata la percezione della morte. Come nei tempi antichi, essa aveva ormai perso la sua dimensione comunitaria ed egualitaria, diventando un fatto esclusivamente privato che tuttavia, per il suo aspetto traumatico, doveva rientrare in un ordine sociale consolidato gerarchicamente stabilito.
La morte, che un tempo tutto eguagliava nell’ordine divino, doveva essere allontanata e separata dalla città dei vivi e rientrare nel nuovo ordine borghese: furono questi i motivi che determinarono la nascita dei cimiteri monumentali ottocenteschi, sacralizzati come luoghi della rappresentazione individuale, di memoria delle virtù civiche e morali di ogni singolo defunto (La città dei morti 2000; Canella 2010; Sul Filo Del Tempo 2010).
Anche in Ticino, tra molte resistenze e con qualche ritardo, ci si adeguò gradualmente alle nuove concezioni: la prima legge che imponeva il divieto della sepoltura nelle chiese e l’obbligo di costruire cimiteri, ispirata ai decreti napoleonici del 1804, è del 1808 ma non fu accettata; nel 1828 venne adottata la prima legislazione che rese obbligatoria la sepoltura dei defunti, accuratamente rinchiusi in casse (fino ad allora era usuale il trasporto del defunto, avvolto in un sudario, su un cataletto aperto come è raffigurato in un trompe l’oeil settecentesco nella chiesa cimiteriale di San Giorgio a Morbio Inferiore), in campisanti costruiti a una distanza conveniente dalle abitazioni.
Di fronte alle resistenze dei comuni e delle parrocchie, ancorati a costumi e tradizioni secolari, furono necessarie nuove leggi e altri decreti, nel 1831 e nel 1834, per obbligare le autorità comunali a obbedire alle nuove disposizioni, rese tassative a partire dal 1838 (Soldini 1989; Soldini 1990; Mena Ceschi 1998). Nacquero così i nuovi cimiteri monumentali che, accanto alla rete delle strade, sono tra le prime espressioni architettoniche dell’ancor giovane cantone, e che contrassegnano ancora oggi, con la loro solenne presenza, importante dal punto di vista urbanistico, il territorio di molti insediamenti.
Il territorio di molti insediamenti
Tra i cimiteri in Ticino troviamo il cimitero di Balerna, costruito nel 1838 su progetto dell’architetto Giovanni Tarchini, emiciclo con cappella funeraria centrale di gusto classicista, eminente sul ciglio del pianoro su cui è sito il paese (Il cimitero monumentale di Balerna 2009).
Il cimitero di Gentilino, probabilmente progettato dall’architetto Domenico Gilardi nel 1836 e costruito nel 1842, dove il puro esagono del recinto, introdotto da un severo portale neoclassico, è posto in diretta relazione visiva con l’antico cimitero che circondava la chiesa parrocchiale, su uno dei vertici di un triangolo di strade convergenti verso il complesso sacro (Bigger 2010).
Il cimitero monumentale di Lugano, realizzato nel 1897 su disegno dell’architetto Paolo Zanini, un grande rettangolo con un viale centrale, il famedio in stile neobizantino, il crematorio, costruito nel 1916, e poi i cimiteri di Locarno, Bellinzona, quello della famiglia Torriani a Mendrisio ecc.
Sono complessi spesso progettati da valenti architetti con tipologie significative, altre volte rustici e correnti, sempre caratterizzati da fastose cappelle di famiglia, cappelle cimiteriali, monumenti di scultori di fama, steli, lapidi ed epigrafi, cimiteri borghesi che raccontano e rappresentano la vita, la storia, la cultura e i sentimenti dei singoli individui.
Proprio per questa sua ricchezza formale e semantica il patrimonio dell’arte funeraria, quello più antico come quello recente, va consapevolmente conservato. Non è una semplice affermazione retorica: oggi la morte si sta trasformando da fatto collettivo, traumatico ma ab origine sempre riordinato e arginato attraverso riti riparatori praticati in aree consacrate o espressamente dedicate, in un evento privatissimo e innominabile, dislocato in luoghi non significativi, non riconoscibili e artificiali. Vanno così interpretati il posizionamento di crematori in anonime aree industriali, la cancellazione dei segni della memoria personale in occasione degli spurghi dei cimiteri, la dispersione delle ceneri dei defunti in fosse comuni, il nascondimento del defunto, lo squallore anonimo e funzionale di troppe cerimonie funebri senza rito (Scolari 2006; Sul filo del tempo 2010). È forse necessario reinventare, partendo da ciò che resta di un passato secolare, spazi per la memoria e la cultura collettiva, luoghi e strutture dove il trascorrere del tempo si consolidi e si esprima compiutamente.
Bibliografia
- K. Bigger, Collina d’oro, Berna 2010 (Guide storico-artistiche della Svizzera).
- F. Butti Ronchetti, Necropoli romane del Canton Ticino. Osservazioni su alcuni aspetti e caratteristiche, in Archeologia della Regio insubrica. Dalla preistoria all’Alto Medioevo, Como 1997, pp. 267-282 (Atti del convegno di Chiasso 1997).
- R. Carazzetti, Elementi per un’archeologia dei rituali nel contesto geografico del Cantone Ticino, in Kult der Vorzeit in den Alpen: Opfergaben, Opferplätze, Opferbrauchtum. Culti nella preistoria delle Alpi: le offerte, i santuari, i riti, Bolzano 2002, pp. 271-281.
- M. Canella, Paesaggi della morte. Riti, sepolture e luoghi funerari tra Settecento e Novecento, Roma 2010.
- P. A. Donati, Persistenza topografica degli abitati e delle necropoli, in «Sibrium» XII 1973-1975, pp. 153-160.
- G. Foletti, Archeologia altomedievale nel Canton Ticino, in Archeologia della Regio insubrica. Dalla preistoria all’Alto Medioevo, Como 1997, pp. 113-180 (Atti del convegno di Chiasso 1997).
- La città dei morti. Breve storia del cimitero, Milano 2000.
- Il cimitero monumentale di Balerna, a cura di N. Ossanna Cavadini, Balerna 2009.
- F. Mena, R. Ceschi, La salute del popolo, in Storia del Cantone Ticino, a cura di R. Ceschi , Bellinzona 1998, p. 333-354.
- G. Mondada, I nostri sagrati, Lugano 1974.
- E. Rüsch, R. Carazzetti, Il sagrato. Alla scoperta di una antica area di incontro. Mostra documentaria, Locarno Museo civico e archeologico, Lugano 1992 (estratto da «Rivista Tecnica» 1992).
- R. Scolari, Paesaggi senza spettatori. Territori e luoghi del presente, Milano 2006.
- F. Soldini, Per lo studio delle lapidi cimiteriali. Illustrazione di una ricerca: catalogazione e lettura degli epitaffi otto-novecenteschi del Mendrisiotto, in I monumenti funebri nelle regioni alpine. Storia, cultura, conservazione e restauro, a cura di R. Codroico, G. Prosser, Bolzano 1989, pp. 17-23.
- F. Soldini, Le parole di pietra. Indagini sugli epitaffi cimiteriali otto-novecenteschi del Mendrisiotto, Fribourg 1990.
- J.d. Tabernero, H.u. Geiger, M. Matzke, Cantone Ticino: ritrovamenti monetali da chiese, Berna 2012. (Inventario dei ritrovamenti monetali svizzeri)
- Sul filo del tempo. Morire, a cura di F. Soldini, Mendrisio 2010.