Enzo Mari: progettare il necessario
Il 19 ottobre è morto Enzo Mari, designer, artista, teorico, ideatore di allestimenti e libri illustrati. Due giorni prima, alla Triennale di Milano veniva inaugurata una grande mostra in suo onore – «Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli» –, a raccontare un percorso lungo oltre 60 anni. Ricordiamo Enzo Mari attraverso il testo del curatore.
«[…] Quando ho saputo dell’affinità di Mari con l’architettura e l’arte, oltre che con il design, ho iniziato con lui una serie di conversazioni […] per un progetto che sarebbe poi sfociato in un libro (H. U. Obrist, Enzo Mari – The Conversation Series, Verlag Walther König, Köln 2008). Così, quando Boeri è stato nominato presidente di Triennale Milano due anni fa, mi ha invitato a curare questa retrospettiva insieme a Francesca Giacomelli. Durante le conversazioni con Mari sul suo lavoro e sul suo impegno negli anni Sessanta, ho saputo del suo legame con il comunismo e con il movimento Arts and Crafts, e del suo modo di vedere il design come intrinsecamente politico. Ho cominciato a capire quante dimensioni convivono nella sua attività: Mari è un designer industriale, un disegnatore di mobili, un progettista di mostre, un artista, un autore di manifesti, un polemista celebre per le sue sfuriate contro il mondo del design. Ogni volta che passavo per Milano nel mio tragitto da Parigi a Venezia non perdevo l’occasione di incontrare lui e la sua compagna, Lea Vergine, grande critica d’arte, femminista, curatrice e pioniera della Performance Art [morta a sua volta il 20 ottobre 2020, ndr], e insieme andavamo a visitare qualche mostra.
«Ciò che lo infastidiva di più era che il mondo del design puntasse al profitto: secondo Mari, il design è tale soltanto se comunica anche conoscenza»
Enzo Mari è anche autore e progettista di libri. Ha realizzato bellissime pubblicazioni per bambini – che sono anche libri illustrati per adulti – e progettato libri teorici che rafforzano ulteriormente il rapporto fra conoscenza e design. Ciò che lo infastidiva di più era che il mondo del design puntasse al profitto: voleva liberarsi di questa idea di guadagno, di commercializzazione, di industria, di marchi, persino di pubblicità. Perché, secondo Mari, il design è tale soltanto se comunica anche conoscenza. Ciò che colpisce dei suoi progetti – a qualsiasi campo essi appartengano – è la loro resistenza alla prova spietata del tempo. Il suo obiettivo è sempre stato quello di creare progetti che fossero sostenibili sia nella loro materialità sia nell’estetica, e che risultassero accessibili a tutti. Nel 1974, in linea con la sua idea di democratizzazione del design, concepì l’incredibile Autoprogettazione, un “esercizio individuale da realizzare per migliorare la propria consapevolezza”. […]
Numerose opere in mostra risalgono a molto prima dell’Autoprogettazione, cioè agli anni Cinquanta e Sessanta, quando Mari, che aveva studiato arte, cominciava a orientarsi sempre più verso il design. Per alcuni anni aveva esposto nell’ambito dell’Arte programmata insieme, tra gli altri, a Getulio Alviani e Nanda Vigo. Il periodo di Mari come artista visivo è stato però relativamente breve, poi per molti più anni ha lavorato con i mobili e con ogni tipo di oggetto di design: vasi, calendari, libri, ceramiche, ma anche giochi e giocattoli. È interessante notare che era anche molto appassionato di exhibition design, e questo è stato un altro punto di contatto tra noi fin dall’inizio, perché, da curatore, sono sempre stato interessato all’exhibition design e a tutti gli aspetti dei progetti di allestimento, in particolare quelli realizzati dagli artisti. Mari è stato particolarmente incisivo in questo campo perché usava spesso le mostre come manifesti. Così nel 2006, quando mi sono spostato a Londra per lavorare alla Serpentine Gallery, gli ho subito chiesto di tenere una conferenza. Julia Peyton-Jones e io avevamo invitato Rem Koolhaas a progettare il Serpentine Pavilion con Cecil Balmond, ed è qui che Mari ha tenuto la sua conferenza-manifesto-invettiva, durante la quale ha dichiarato che il design era morto, l’architettura era morta e lo era anche la civiltà occidentale.
Quella sera ci riunimmo tutti con la critica del design Alice Rawsthorn, che una volta definì Mari “un ribelle con l’ossessione della forma”. Lui ci raccontò dei giochi che aveva disegnato e di come una generazione di bambini italiani fosse cresciuta con le sue straordinarie invenzioni. Persino nel campo dei progetti per l’infanzia, l’idea dell’accessibilità del design di qualità è sempre stata al centro del suo lavoro, come anche il pensiero che questa accessibilità potesse influenzare positivamente il nostro rapporto con le cose. Per Enzo tutto ruota intorno all’oggetto, e solo il buon design è destinato a trionfare.
In una delle nostre numerose conversazioni Mari mi confidò che avrebbe voluto riproporre in Triennale la grande mostra antologica che aveva realizzato alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino nel 2008, nell’ambito delle iniziative di Torino Capitale mondiale del Design. Mari aveva interamente curato il progetto della mostra, compresi i piedistalli e gli espositori per le sue centinaia di oggetti, suddivisi secondo diversi temi e ordinamenti. Ma Mari ha progettato molti allestimenti, come ad esempio quello per la Fondazione Cartier. Così abbiamo deciso di trarre ispirazione anche da tutti quelli che ha progettato in passato (alcuni in cartone, altri usando le falci, altri ancora usando addirittura delle lapidi). […]
«Una volta Enzo mi ha detto: “Guarda fuori dalla finestra e se ci sono cose che ti riempiono di orrore al punto da farti venire voglia di uccidere i responsabili, allora esistono buone ragioni per un progetto"»
Tutti i documenti d’archivio di Enzo Mari presentati in mostra sono stati donati alla città di Milano. Ma Mari non sarebbe Mari se non avesse fissato una clausola: ha deciso che il Comune ne sarà proprietario ma potrà esporli solo quarant’anni dopo la fine della retrospettiva: un modo per esprimere il suo contrasto con il design commerciale di oggi. Che sia vero o no, questa è un’occasione unica per rivisitare il suo lavoro e guardare ai temi della sostenibilità e dell’accessibilità attraverso i suoi occhi. Lo considero un vero e proprio modello in questo senso, perché gli oggetti di Enzo Mari sono fatti per durare nel tempo: un design che è lì per restare, contro lo spreco delle risorse e l’idea dell’usa e getta. Tutto ciò si collega alla sua passione per la trasformazione. La forma è tutto per lui, ma attraverso le forme vuole creare modelli per una società diversa. […]
Una volta Enzo mi ha detto: “Guarda fuori dalla finestra e se ciò che vedi ti piace, allora non c’è ragione di fare nuovi progetti. Se invece ci sono cose che ti riempiono di orrore al punto da farti venire voglia di uccidere i responsabili, allora esistono buone ragioni per un progetto”. La trasformazione nasce quindi dal bisogno. E c’è qualcosa di molto umile nell’idea di creare solo ciò che serve. La modestia e il dubbio hanno sempre fatto parte della pratica di Mari. Il quale crede che l’oggetto perfetto sia ancora da progettare, e sfida sempre se stesso a fare meglio. Volendo adattare la famosa citazione di Ad Reinhardt a questa figura davvero unica: Enzo Mari è Enzo Mari, e tutto il resto è tutto il resto».
Il testo di Hans Ulrich Obrist è tratto dalla cartella stampa della mostra «Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli», alla Triennale di Milano dal 17 ottobre 2020 al 18 aprile 2021.
La mostra
«Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli» ripercorre 60 anni di progetti di Mari da diverse prospettive: presenta in forma inedita una selezione di suoi progetti e ricerche, ripropone materiali ideati dallo stesso Mari per la mostra "autobiografica" «Enzo Mari. L’arte del design», tenutasi a Torino nel 2008-2009, lo omaggia con opere realizzate appositamente da artisti e progettisti (Adelita Husni-Bey, Tacita Dean, Dominique Gonzalez-Foerster, Mimmo Jodice, Dozie Kanu, Adrian Paci, Barbara Stauffacher Solomon, Rirkrit Tiravanija, Danh Vō e Nanda Vigo, oltre a Virgil Abloh per il progetto di merchandising), gli dà la parola nelle videointerviste curate da Hans Ulrich Obrist.
Triennale Milano, viale Alemagna 6, 20121 Milano
Dal 17 ottobre 2020 al 18 aprile 2021
Orari: mercoledì – domenica dalle 12.00 alle 20.00