I MSP, uno stru­men­to in evo­lu­zio­ne/1

Intervista a Fabiola Nonella Donadini e Paolo Foa

Data di pubblicazione
14-12-2021

Archi 6/2021 è stato dedicato all'analisi dello strumento dei Mandati di Studio Paralleli da svariate angolature. Quello che sembra emergere, oltre al loro crescente utilizzo, è la complessità e la versatilità di questo tipo di procedura. Abbiamo utilizzato la rubrica concorsi di Archi per lanciare il dibattito che avrà luogo sulla piattaforma espazium.ch, nella quale vari professionisti risponderanno ad alcune domande riguardo questo strumento di lavoro. L’idea è mettere in luce diversi punti di vista per meglio comprendere in che modo realizzare appieno le potenzialità intrinseche di questa procedura; da qui il titolo «uno strumento in evoluzione». Tutti questi aspetti rendono la discussione attorno ai mandati di studio paralleli molto produttiva, a volte polemica, ma spesso confinata in ambiti molto ristretti. Con la serie di interviste su espazium.ch si vuole invece portare alla luce diverse linee di pensiero, dando spazio a ogni opinione con l’obiettivo di generare un dibattito che possa contribuire a un buon utilizzo dei MSP.

L'intervista a Fabiola Nonella Donadini (FND), direttrice del Dicastero territorio e mobilità - settore pianificazione, della città di Bellinzona, mostra l'approccio del committente pubblico. Paolo Foa (PF), responsabile di TBF + Partner Lugano, che ha invece coordinato diverse procedure SIA 143, tra queste i MSP per la visione di un nuovo PDcom a Lugano e il Masterplan per il territorio del nuovo comune aggregato di Bellinzona.

I due interventi ci offrono due differenti punti di vista: quello del committente e quello del progettista.

PV: Al contrario dei concorsi di progettazione, i MSP non sembrano essere altrettanto chiaramente definiti, che potenzialità e che rischi vede nell’utilizzo del MSP?

FND: Il MSP è uno strumento interessante per orientare con più libertà le scelte politiche e strategiche con incidenza territoriale. La procedura non è anonima, prevede contatti diretti tra la committenza e i progettisti, innescando un processo dinamico nell’aperto dialogo che avviene nelle fasi intermedie per il conseguimento di obiettivi comuni. Il MSP offre la possibilità di mettere a confronto differenti ipotesi di lavoro, idee e concetti, con la finalità di individuare le migliori soluzioni, fra mandatari e committenza. Evidentemente ciò comporta più tempo e risorse, ma si ritiene che ciò sia comunque vantaggioso per la qualità e la maturazione del progetto.

PF: È nel minor grado di definizione dei MSP che risiede la loro forza. I gruppi di elaborazione sono invitati ad un esercizio di creatività più spinto, restituendo al mandante un ventaglio di proposte maggiormente differenziate tra loro rispetto a un concorso di progettazione. L’arte del mandante, accompagnato dal suo collegio d’esperti, sta nel porre dei paletti ben chiari, in modo che le proposte ricadano all’interno della fattibilità, e nel provocare, nell’ambito dei previsti dialoghi, l’adozione di vie differenti a ciascun gruppo di elaborazione, così da promuovere la massima diversificazione sempre all’interno di una plausibilità delle proposte, che altrimenti si ridurrebbero ad un mero esercizio accademico. Emerge dunque in modo chiaro come l’impegno del mandante, se minore in una fase iniziale di definizione del programma, sia invece più importante durante lo svolgimento rispetto ad un concorso di progettazione.

PV: Il mandato di studio parallelo deve essere uno strumento esclusivamente urbanistico con lo scopo di definire l’architettura che ne conseguirà?

FND: Il MSP non ha una scala definita. Corrisponde ad un processo per orientare non solo la pianificazione di aree importanti ed estese, ma anche per definire contenuti specifici di comparti più limitati. Il risultato potrà servire, in seguito, a dipendenza dell’obiettivo iniziale, per esempio per l’allestimento di bandi di concorsi d’architettura o varianti di piano regolatore.

PF: Non esiste una scala definita a priori. Negli ultimi anni abbiamo osservato un impiego di questo strumento ad una scala di agglomerato (p.e. le procedure alla base del PDcom della Città di Lugano e del PAC di Bellinzona), di quartiere (lungolago di Lugano) e di opera / edificio (funicolare degli Angioli, sempre a Lugano). È importante che la scala di lavoro, e dunque i caratteri del prodotto atteso, sia chiaramente definita a livello di programma, sempre nell’obiettivo di massimizzare i risultati, e la loro concretizzazione, dell’attività. A dipendenza della scala di lavoro, dovranno seguire le procedure che meglio aiutino alla realizzazione degli obiettivi.

PV: Non vi è il rischio che i MSP diventino una camicia di forza per i concorsi di progettazione?

FND: Non credo proprio. Consentono invece di predisporre delle basi di partenza più solide e consolidate su cui impostare il concorso d’architettura. Non solo, i risultati emersi nella procedura del MSP orientano, senza pregiudicarli, progetti architettonici in assonanza con le attese del committente. Per contro l’impiego per i concorsi di architettura dei soli parametri edificatori spesso stabiliti nei PR in tempi molto remoti può essere limitativo.

PF: Lavorando alla scala di un’opera, i MSP si configurano come un’alternativa al concorso di architettura. La scelta della procedura dovrebbe essere effettuata in modo consapevole dal mandante, considerando soprattutto il grado di consolidamento dei contenuti dell’oggetto del concorso: tanto minore, quanto più è preferibile una procedura di MSP e viceversa.

PV: Crede che si potrebbe rendere più democratica e partecipativa questa procedura?

FND: La scelta di coinvolgimento per i MSP è in mano al committente, che può volta per volta coinvolgere gruppi di interesse, cittadini o gli stakeholder, senza dimenticare il collegio di esperti, le cui competenze toccano svariati settori (la pianificazione territoriale, quella della mobilità, l’urbanistica, l’architettura, la socialità, ecc.). Il processo partecipativo è successivamente garantito per legge in caso di cambiamenti pianificatori.

PF: Una democratizzazione della procedura di MSP è possibile passando dal paradigma dell’informazione al pubblico dei risultati, che la stessa SIA 143 impone, a quello della partecipazione. Questa deve essere attivata in fase embrionale, in modo che le visioni dei portatori d’interesse possano rientrare nel programma della procedura. La partecipazione attiva dei portatori d’interesse richiede tempo, una struttura di lavoro chiara e un atteggiamento del mandante di apertura verso idee di soggetti «senza portafoglio», cosa che non è comune.

PV: È giusto che i MSP in certe situazioni sfocino in un mandato diretto di progettazione?

FND: Talvolta per una corretta messa in atto dei risultati di un MSP può essere utile proseguire con la progettazione assieme al gruppo più convincente. Personalmente ritengo che il MSP non debba essere sempre vincolato ad un successivo incarico diretto di progettazione. Il risultato può anche essere considerato terminato nel momento in cui il Collegio di esperti consegna il rapporto di sintesi. Se si rivela opportuno proseguire e approfondire la fase di studio, il Collegio esperti può comunque consigliare un prolungamento di mandato. La scelta di definire o meno un gruppo vincitore che prosegua con le fasi di progettazione successive dovrebbe già essere stabilita del bando di concorso.

PF: Per quanto gli indennizzi previsti per le procedure di MSP siano generalmente superiori rispetto ai concorsi di progettazione, l’opzione di un mandato susseguente è sicuramente il maggior incentivo a una partecipazione nell’ottica di una capitalizzazione degli sforzi profusi. In quest’ottica è dunque corretto che, in presenza di un vincitore, sia quest’ultimo a sviluppare le fasi successive del progetto che lui stesso ha concepito.

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«I MSP, uno stru­men­to in evo­lu­zio­ne» di Pablo Valsangiacomo

 

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