L'architettura della città
Per un nuovo impegno sui temi urbani
Mentre scrivo questo testo, è in corso la procedura di consultazione sulla revisione del Piano direttore cantonale, conseguenza diretta della Legge federale sulla pianificazione del territorio approvata dal popolo svizzero nel 2013.
Obiettivo della modifica di legge è di contrastare l’edificazione incontrollata del territorio attraverso la promozione di uno sviluppo centripeto e di un rinnovamento qualitativo degli insediamenti. A questo scopo, le zone edificabili troppo estese dovranno essere ridotte, i terreni edificabili inutilizzati sfruttati in modo più efficiente. Con la nuova legge, le zone edificabili dovranno essere delimitate in modo più preciso rispetto a quelle non edificabili, e lo sviluppo degli insediamenti dovrà essere rafforzato nei centri esistenti dotati di buone infrastrutture di trasporto pubblico.
Si tratta di richieste che puntano certamente nella giusta direzione e che, in Ticino, non sono affatto in discussione. Però, ci dobbiamo chiedere se questa reazione alla cementificazione selvaggia del territorio, in corso fin dagli anni Sessanta, non giunga troppo tardi. Le misure previste sono sufficientemente incisive? La società è disposta a cambiare radicalmente il suo modo di pensare? È in grado di farlo? Insomma: il territorio del Ticino è ancora salvabile?
La mia tesi è affermativa, ma solo a condizione che noi – e per noi intendo tutte le parti in causa: progettisti, committenti, politici e funzionari – impariamo a pensare e ad agire a livello urbano. È necessario che la trasformazione da una società a carattere rurale a una urbana, iniziata da molto tempo e in gran parte compiuta, venga accettata e strutturata con cognizione di causa.
Non si tratta soltanto di una nuova visione della città, con densità adeguata, spazi pubblici piacevoli e buona compenetrazione di funzioni, ma anche e soprattutto di una chiara delimitazione rispetto al territorio non edificato. È evidente che lo sviluppo edilizio incontrollato, oltre ad essere un problema urbanistico, produce strutture inefficienti, costose e dispendiose in termini di risorse, che a loro volta creano traffico che l’infrastruttura stradale non è in grado di fronteggiare.
Non dobbiamo dimenticare che in Ticino l’85% del territorio non è edificabile o lo è in misura molto ridotta. Emblematico della società moderna, tutto è ammassato nei fondovalle. Fiumi, strade, ferrovie, linee dell’alta tensione e gran parte dei 340.000 abitanti e dei 180.000 posti di lavoro si accalcano in valli per lo più strette e sulle rive, spesso scoscese, dei laghi prealpini. Lo spazio a disposizione è dunque una risorsa limitata, gestita in modo fondamentalmente irresponsabile.
In Europa, la moderna cultura urbanistica risale all’Ottocento, quando le ferrovie, l’industrializzazione e il conseguente incremento demografico richiesero uno sviluppo delle città incisivo ed esteso.
Le piccole città del Ticino mancano di densità urbana. I nuclei medievali non si sono ingranditi con i classici quartieri con struttura a corte dell’Ottocento perché l’industrializzazione ha toccato solo minimamente il Ticino, che di conseguenza non ha avuto un incremento demografico di rilievo. Attorno ai nuclei, al posto dei quartieri cittadini ottocenteschi, densi e fortemente strutturati, sono state costruite ville dentro ampi giardini che, oggi, solo in rari casi riescono a resistere alla pressione della densificazione e della speculazione immobiliare.
Soltanto dagli anni Sessanta del Novecento, con il boom immobiliare generato dal turismo e dal terziario, si è avuta una crescita, incontrollata e speculativa, accompagnata da una ricchezza allettante. Negli ultimi cinquant’anni, senza una visione urbanistica, si è sviluppato un paesaggio costruito, le cui carenze sono ormai conosciute da tempo, ma la cui correzione impegnerà diverse generazioni.
La chimera della villa nel parco ha ceduto il passo a quello della casa unifamiliare circondata da resti di verde, con gli architetti ticinesi maestri nel soddisfare sogni individuali. Da molto tempo l’architettura si concentra sulla realizzazione di oggetti architettonici trascurando lo spazio pubblico urbano, un processo al quale non hanno resistito neppure gli esponenti della «Tendenza». Gli scritti teorici di Aldo Rossi, Giorgio Grassi e altri erano tenuti in grande considerazione e trovavano attuazione pratica in progetti d’avanguardia, come il Bagno Pubblico di Bellinzona di Aurelio Galfetti, Flora Ruchat e Ivo Trümpi, il progetto per il Politecnico di Losanna, di Mario Botta, Tita Carloni, Aurelio Galfetti, Flora Ruchat e Luigi Snozzi, rimasto sulla carta, sfortunatamente, o l’utopia costruita di Luigi Snozzi a Monte Carasso. Contemporaneamente, però, affermazioni come «L’architettura costruisce il luogo» e case che cercavano la relazione con il paesaggio perché la relazione con l’ambiente circostante non aveva senso, facevano capire che gli architetti si stavano ritirando sempre più dalla questione urbanistica.
Questa discrepanza sociopolitica tra temi urbanistici e case unifamiliari pretenziose non è mai stata facile neanche per la rivista Archi. Lo sguardo «esterno» di Alberto Caruso (da oltre frontiera, dall’infausto confine sud, principalmente dalla città di Milano) ha arricchito la rivista e la riflessione; peccato che questo numero parli ancora una volta solo di case, innovative e architettonicamente interessanti quanto si vuole, ma sempre e solo di case.
C’è stata la grande e motivata speranza che l’Accademia di architettura di Mendrisio, istituita nel 1996, contrastasse questa tendenza. Con il suo primo direttore, Aurelio Galfetti, la priorità era di formare l’«architetto territoriale», dotato di formazione umanistica; questo, sia come continuazione delle tesi formulate dalla «Tendenza», sia come contrapposizione con il Politecnico federale e con l’architettura della forma minima, e la concentrazione sull’oggetto e sul suo aspetto formale che in quegli anni si coltivava nella Svizzera tedesca.
Al centro dell’interesse c’era un approccio consapevole e strutturato al territorio.
È vero che lo spirito dei «padri fondatori» continua a vivere nell’Osservatorio dello sviluppo territoriale (OST) diretto da Gian Paolo Torricelli e nel «Laboratorio Ticino» guidato da Michele Arnaboldi e Joao Nuñes. Ciononostante non si può negare che, a tutt’oggi, l’«architetto territoriale» sia rimasto un pio desiderio.
Gli impulsi essenziali sono venuti, e vengono, da altre direzioni. Oltre alla Legge sulla pianificazione del territorio, la nuova ferrovia Alp Transit porterà nel paesaggio urbano del Ticino cambiamenti più radicali di qualsiasi altro intervento. L’apertura della Galleria di base del San Gottardo, nel 2016, ci ha già notevolmente avvicinati alla Svizzera tedesca, soprattutto alla città di Zurigo; ma l’apertura della Galleria di base del Monte Ceneri, nel 2019, accorcerà talmente i tempi di percorrenza tra gli agglomerati, che potranno essere considerati come quartieri di una regione più ampia e continua. La città Ticino, con la varietà dei suoi quartieri e favorita da collegamenti brevi e diretti con i mezzi pubblici, ha un potenziale che oggi si comincia appena a intravedere.
A livello regionale il progetto della rete tram-treno nel Luganese avrà un effetto analogo: il nuovo collegamento avvicinerà la Valle del Vedeggio al centro di Lugano; l’aeroporto sarà finalmente raggiungibile con i mezzi pubblici; Cornaredo e persino il Pian Scairolo potrebbero svilupparsi come quartieri urbani.
I progetti infrastrutturali di trasporto pubblico sono la spina dorsale dello sviluppo urbanistico. Tuttavia, affinché possa definirsi una città occorre qualcosa di più. Innanzi tutto c’è bisogno di qualità: nella discussione, nella pianificazione e nell’attuazione di progetti urbanistici.
Le iniziative promettenti non mancano. In diverse regioni nascono iniziative di cittadini attenti allo sviluppo sostenibile e di qualità del territorio. Dal 2015, a Lugano, nella Villa Saroli, l’Istituto Internazionale di Architettura i2a cura la cultura del dialogo e dello scambio tra gli addetti ai lavori, l’amministrazione, la politica e la società civile.
Mancano modelli urbanistici, elaborati in forma di concorso o mandati di studio vari che costituiscano la base per una nuova generazione di piani regolatori. In questo senso c’è un profondo bisogno di azione. Il nuovo piano regolatore per la città di Lugano, che è molto cresciuta in seguito alle fusioni degli ultimi anni, è un progetto non solo tecnico amministrativo ma anche creativo, con requisiti elevati a diversi livelli che pongono diverse questioni. In che modo i diversi comuni storici possono unirsi in una sola città? Come dovrebbe essere la nostra città del futuro? In quale città vorremmo vivere? Sono domande che devono essere affrontate e dibattute in una prospettiva ampia e interdisciplinare, e per farlo è necessario il confronto delle idee, una visione e un masterplan; soltanto in una fase successiva il modello urbanistico potrà essere convertito in un piano regolatore.
Abbiamo bisogno di commissioni urbanistiche a livello comunale, formate da esperti altamente qualificati, che seguano lo sviluppo urbanistico e consiglino i politici, gli amministratori pubblici e gli investitori.
Abbiamo bisogno di committenti pubblici e privati che si preoccupano veramente della qualità urbanistica ed architettonica, agendo di conseguenza e assumendosi le proprie responsabilità nei confronti della società e del territorio.
Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare, in funzione di un maggiore interesse e impegno per i temi urbani, per lo spazio pubblico e per uno sviluppo sostenibile. Potrebbe nascere un paesaggio urbano, forse persino Città, Civitas e Civiltà. La responsabilità è nostra!