Lo sguardo aereo di Vincenzo Vicari
In mostra a Lugano una selezione delle fotografie di Vincenzo Vicari, che nel corso del Novecento del Ticino ha fotografato davvero tutto: paesaggi idilliaci e impianti industriali, palazzine e chiese romaniche, pasticcerie e prigioni, turbine e gerle, con una particolare attenzione alle trasformazioni della città e del territorio.
A Pregassona, in una piana erbosa su cui è sparsa una spicciolata di piccoli edifici, svetta una torre di cemento e vetro. Sembra atterrata lì, tra un terreno agricolo e il fiume, da un'altra epoca, e in effetti è un primo avamposto della Lugano futura.
Vincenzo Vicari cattura la torre, dal cielo, nel 1962; aveva scoperto la fotografia aerea durante la seconda guerra mondiale, fungendo da «sergente fotografo» nella Compagnia aviazione 10 (la «squadriglia ticinese»), e da allora continuerà a praticarla, arrivando a scattare ben 1200 fotografie aeree in oltre 50 anni di carriera – parola antipatica in campo artistico, ma senz'altro adatta a questo intraprendentissimo personaggio, come emerge dalla mostra «Vincenzo Vicari fotografo – Il Ticino che cambia», che porta al MASI di Lugano fino al 10 gennaio 2021 una selezione dei suoi lavori.
Le fotografie aeree di Vicari raccontano un territorio in piena trasformazione, dove ai tratteggi dei terrazzamenti rurali vanno sostituendosi le geometrie ben definite di strade e ferrovie: sono immagini che ci fanno sorvolare il cantiere del ponte stradale di Ponte Tresa e lo svincolo autostradale di Lugano Sud, planare sulle strade appena asfaltate che serpeggiano verso i villaggi di montagna, calare sui filari di ombrelloni del Lido di Lugano e sfiorare le teste degli spettatori dei campionati di ciclismo del 1953, che Vicari seguì dal cielo lanciando di tanto in tanto a terra – dice la leggenda – i negativi delle fotografie, prontamente sviluppati dai suoi collaboratori per battere sul tempo la concorrenza.
Che l'aneddoto sia vero o meno, certo rappresenta bene lo spirito imprenditoriale di un fotografo che asseriva: «L'unico sistema per svettare era quello di introdurre nel lavoro tante piccole novità». Di conseguenza nel suo studio (la cui prima sede apre nel 1936) si moltiplicano le trovate per attrarre i clienti, esplorando tutto ciò «che passa attraverso l'uso di una lente», come scrive nel catalogo della mostra Antonio Mariotti: stampa cartoline, acquista macchine per lo sviluppo rapido, alletta i cineamatori con la proiezione di filmati fuori dal negozio (causando assembramenti tali da spingere la polizia a intervenire); si lancia addirittura nella vendita di occhiali! (In una fotografia del suo stand alla fiera ArteCasa del 1963 si vede la scritta: «Se non potete leggere facilmente queste lettere rivolgetevi per un controllo al vostro medico oculista – ma attenti per i vostri occhiali da Vicari».)
In cinquant'anni di attività (chiude lo studio nel 1987), Vicari finisce per profilarsi come il «fotografo cantonale» – e fotografa davvero di tutto: paesaggi idilliaci e impianti industriali, palazzine e chiese romaniche, pasticcerie e prigioni, turbine e gerle, gli studi della radio e gli atelier degli artisti, operaie e banchieri, fascisti e antifascisti, e così via fino ad arrivare ai 300'000 negativi conservati nel suo fondo presso l'Archivio storico di Lugano. Ne emerge una piccola storia del Ticino del Novecento, dalla società rurale al trionfo del terziario, con una particolare attenzione per le nuove infrastrutture che segnano lo spazio: Vicari è lì quando vengono inaugurate ferrovie, funivie, centrali idroelettriche, strade, autostrade, dighe, segue gli sviluppi architettonici facendo da “fotografo ufficiale” a Rino Tami e catturando opere del moderno come le Scuole di Riva San Vitale di Galfetti, Ruchat e Trümpy, il Palazzo del Governo di Bellinzona di Bernasconi e Guidini o gli Studi RSI di Besso di Camenzind, Jäggli e Tami, e poi fotografa la demolizione del quartiere Sassello e i cantieri della Lugano in espansione. Fotografa a colpo sicuro, producendo immagini funzionali che non interpretano o esprimono, ma soprattutto documentano; se un sentimento ne traspare, è l'ammirazione davanti al nuovo, che si conserva nei suoi scatti ancora oggi, e da lì si trasmette a chi li guarda. Così, di fronte alla fotografia di un luogo familiare come l'autosilo Balestra, ci si trova stupiti come probabilmente lo erano i luganesi del 1978, quando per la prima volta si imbattevano nelle sue curve e zigzag. Lo stesso senso di nuovo continua a radiare da immagini come quelle degli interni dei negozi, che negli anni Sessanta assumono un design internazionale, e delle fabbriche, con le loro file sterminate di prodotti. Vicari cattura questi spazi in campi lunghi o totali segnati da prospettive che sprofondano nello spazio, in modo da trasmetterne l'imponenza e coglierli nel loro complesso; in effetti si potrebbe dire che cerchi una prospettiva “aerea” anche quando si trova negli interni. Di certo predilige la panoramica al dettaglio, lo stock all'oggetto, la massa all'individuo, e in questo rivela la sua fascinazione per l'emersione, parallela al suo percorso professionale, di una società, appunto, di massa.
La mostra di Lugano, curata da Damiano Robbiani, fa proprio questo sguardo “aereo”: invece di focalizzarsi su un aspetto specifico del lavoro di Vicari o di soffermarsi solo sui suoi scatti d'ispirazione “artistica” (come quelli raccolti nel volume – un po' autocelebrativo – del 1961 «Ed è un semplice lume». Cento immagini del Ticino, pubblicato per i suoi 50 anni), ripercorre il suo lavoro nel complesso, scandendolo per decenni. Nel bel catalogo che accompagna l'esposizione, il dinamismo con cui il fotografo salta da un ritratto a un reportage, da una pubblicità a un progetto personale (come il repertorio Ticino romanico), trova una perfetta espressione nella disposizione delle immagini proposta dai grafici Alberto e Vera Bianda: abbinandole con coerenza e ironia, riescono a trasformare fotografie isolate in una vera e propria narrazione, una «narrazione sulla trasformazione della società e del territorio».
Vincenzo Vicari fotografo – Il Ticino che cambia
MASI Palazzo Reali – Museo d'arte della Svizzera italiana
Via Canova 10, 6900 Lugano
Dal 29 agosto 2020 al 10 gennaio 2021
Martedì, mercoledì e venerdì: 10.00-17.00
Giovedì: 10:00-20:00
Sabato, domenica e festivi: 10.00-18.00
Chiuso lunedì
Maggiori informazioni sul sito del MASI
Catalogo
Vincenzo Vicari fotografo – Il Ticino che cambia, Edizioni Casagrande, 2020