Nuove forme di abitare: oltre la casa unifamiliare
«[...] occorre abbandonare l’approccio tecnico all’habitat e guardare all’uso dei luoghi, al modo di abitarli. Questa condizione ci mette di fronte a noi stessi, ci invita a imparare a viverli, ovvero a scoprirci come fruitori di ampi processi ecologici. Così facendo, si inizia a confutare le rappresentazioni, i ruoli e, soprattutto, il modo di produzione dello spazio sociale». – Paul Virilio, 1976
La fase post-pandemica ha orientato le ricerche specializzate verso una serie di riflessioni interdisciplinari sulle condizioni contemporanee dell’abitare. Queste constatano che i grandi sconvolgimenti prodotti dalla globalizzazione, la rivoluzione digitale, il Covid-19 e i cambiamenti climatici stanno producendo trasformazioni radicali (tra cui denatalità e invecchiamento della popolazione, variazioni delle dinamiche lavorative, della struttura familiare e dei ruoli di genere) che interessano gli stili di vita coinvolgendo direttamente lo spazio domestico, espressione sociale e culturale di tali mutamenti. Negli ultimi anni infatti, un’estesa bibliografia si è occupata dell’evoluzione dell’abitazione collettiva in tutte le sue possibili articolazioni, illustrando una variegata sperimentazione tipologica su forme alternative di coabitazione.
Nel quadro generale, anche se il panorama progettuale della residenza appare frammentato, si delinea una chiara tendenza che concepisce il complesso abitativo plurifamiliare come un insieme multidimensionale, polifunzionale, intergenerazionale e inclusivo che accoglie le relazioni che in esso si generano attraverso l’autogestione partecipativa della vita quotidiana, mentre la fluidità – che contraddistingue la società del nuovo millennio – annulla gerarchie e dissolve progressivamente i confini tradizionali: ogni limite tra pubblico/privato, interno/esterno tende ad essere ridefinito tramite filtri di condivisione e soglie che fungono da catalizzatori di riappropriazione dei luoghi.
Già cinque anni fa – auspicando un cambio di paradigma per affrontare la questione delle abitazioni in ambito ticinese – Archi 1/2018 focalizzava l’attenzione sui quartieri cooperativi d’oltralpe nel tentativo di incentivare il dibattito sulle cause dell’assenza di questo modello abitativo nella Svizzera italiana, tanto diffuso invece nei centri urbani del resto della Confederazione. Crisi economica, transizione energetica, sostenibilità sociale, carenza di alloggi a prezzi accessibili, appartamenti sfitti, necessità di densificazione e riqualificazione urbana come antidoto alla speculazione edilizia non sembrano finora fattori sufficienti a smuovere il cristallizzato mercato della casa della città diffusa che – con poche eccezioni – rimane ancorato al laissez faire nonché a schemi sociologici, finanziari, gestionali e progettuali del tutto convenzionali. Nonostante l’intensa attività divulgativa della sezione ticinese della CASSI, i puntuali incontri informativi portati avanti da associazioni professionali e di inquilini, e alcune caute iniziative in cui il programma di concorso prevedeva alloggi cooperativi, da allora poco è cambiato. Come misurarsi dunque con un contesto che continua a dimostrarsi sostanzialmente refrattario a una modalità abitativa democratica per antonomasia e ampiamente utilizzata altrove come strumento di riequilibrio delle disuguaglianze sociali? Tante domande restano ancora in sospeso, va preso atto tuttavia che il risultato del recente concorso bandito a Lugano dalla cooperativa di abitazione Vivere Lambertenghi potrebbe rivelarsi un segnale promettente.
Le caratteristiche di queste diversificate nuove forme di abitare sono riprese e approfondite nei contributi delle prossime pagine: delineate nello specifico scenario elvetico (Stefano Guidarini) e analizzate tramite esempi virtuosi realizzati a Losanna, Ginevra, Nyon, Coira, Basilea e Zurigo (Matteo Moscatelli). Ma è dall’intervista a più voci curata da Andrea Roscetti che emergono alcune indicazioni significative per riallacciare il filo del discorso all’attuale realtà abitativa locale: forse il confronto potrà evidenziare i nodi strutturali su cui concentrare gli sforzi per sbloccare la situazione, aprendo finalmente il Canton Ticino a un’indagine progettuale innovativa tesa a esplorare possibilità residenziali inedite che incidano positivamente sullo spazio pubblico e la cura del territorio. Un auspicio ormai reiterato e pieno di potenzialità in grado di promuovere non solo il diritto alla casa ma anche il «diritto alla città», preservando al contempo il futuro delle prossime generazioni.
Prix SIA: Partecipate!
Il 31 ottobre scade il termine per la presentazione delle candidature al Prix SIA – Il riconoscimento svizzero per una trasformazione sostenibile del nostro ambiente di vita. Il Prix SIA si rivolge a opere, prodotti, strumenti e procedimenti innovativi, accomunati da una visione globale e onnicomprensiva dell’idea di sostenibilità, nonché da una consapevolezza e da un senso di responsabilità spiccati nei confronti della società e della cultura della costruzione. La giuria valuta i dossier pervenuti sulla base del «Sistema Davos per la qualità nella cultura della costruzione». Gli otto criteri definiti, vale a dire: Governance, Funzionalità, Ambiente, Economia, Diversità, Contesto, Genius loci e Bellezza, rappresentano la chiave di volta di questo sistema al cui sviluppo ha partecipato anche la SIA. Sulla piattaforma web, i dieci membri esperti di sostenibilità, ciascuno nell’ambito della propria disciplina, si presentano brevemente attraverso un video, in cui spiegano che cosa significa per loro il concetto di Baukultur. Fra i dossier pervenuti, la giuria sceglie da un minimo di sei a un massimo di nove progetti. I lavori selezionati andranno a comporre la rosa dei finalisti, la cosiddetta shortlist, che sarà presentata in gennaio 2024 in occasione della fiera Swissbau. Il 23 maggio 2024 avrà luogo a Winterthur una cerimonia durante la quale saranno conferiti i premi della giuria e il premio del pubblico.