Recensione a «I racconti del progetto» di Vittorio Gregotti
«Capire come l’architettura, nel suo percorso progettuale, oltre che nei suoi esiti costruiti, si offra anche come una narrazione della trasformazione dei materiali scelti in un’organizzazione di senso capace di una modificazione nuova e necessaria dello stato delle cose, proponendo così, per mezzo delle sue forme, a partire dalla critica alle sue contraddizioni e possibilità, un frammento di verità altra rispetto alla realtà del presente». È questo l’obiettivo che Vittorio Gregotti, noto protagonista dell’architettura italiana e internazionale, affronta in quest’ultimo volume, dopo numerosi saggi di successo in cui ha riflettuto, sempre con grande lucidità, sulle condizioni della disciplina e della professione nel mondo contemporaneo – di cui ricordiamo, tra i più recenti: La città pubblica (2012), Il possibile necessario (2014), Il disegno come strumento del progetto (2014), Il territorio dell’architettura (2014), 96 ragioni critiche del progetto (2014), Lezioni veneziane (2016), Quando il moderno non era uno stile (2018).
In questo caso l’organizzazione dei contenuti parte da alcune domande basilari, cioè: in che modo è oggi possibile raccontare la genealogia di un progetto di architettura e come la sua organizzazione di sensi e intenzionalità trova una propria specificità in relazione alle altre arti? La risposta è individuata nei racconti del progetto – la narrazione dei suoi differenti processi di costituzione – ed essi vengono analizzati soffermandosi sui diversi aspetti che contribuiscono alla loro definizione: le condizioni ambientali di partenza (politiche, economiche, sociali, normative), le esigenze del programma, le idee teoriche e i valori simbolici che il progetto vuole affermare, le vicende esterne che lo influenzano e condizionano, il contesto fisico e culturale. In questa enumerazione vanno inoltre considerati i materiali del luogo – risultato di un lettura interpretativa dell’antropogeografia e della memoria collettiva – così come lo sguardo critico verso la storia della propria disciplina che offre modelli e riferimenti con cui misurarsi, il ruolo e il divenire degli strumenti di rappresentazione e di indagine del proprio mestiere, il dialogo e gli eventuali conflitti con le altre tecniche che vi convergono, senza trascurare che l’esposizione di questo procedimento di costruzione del progetto deve tener conto che i suoi componenti sono documenti parziali e provvisori, in continua evoluzione sia rispetto alla loro gerarchia che alle sue reciproche relazioni e significati.
Se nel secondo Novecento – dopo una positiva autocritica della tradizione del moderno – il progetto ha gradualmente acquisito consapevolezza dell’importanza dialettica dei materiali del contesto per stabilire un dialogo produttivo con l’esistente, sarebbe proprio questa circostanza a rendere le quattro virtù individuate da Gregotti necessarie e consigliabili a ogni scala dimensionale: precisione, semplicità, ordine, organicità.
Non a caso, a suo avviso, queste caratteristiche sono spesso dimenticate dall’architettura contemporanea e si pongono in diretta relazione con l’importanza del disegno urbano e territoriale nella configurazione dello spazio pubblico. Anche da questo punto di vista, questo aspetto diventa un banco di prova per la capacità del progetto di offrire risposte credibili alla crescita indiscriminata delle città e delle loro periferie, nonché alla disordinata urbanizzazione della campagna in preda alle pulsioni speculative. Una sfida che mette in gioco il futuro della stessa disciplina e la sua responsabilità di dare risposte collettive di lunga durata, rivelando anche l’urgente necessità di procurarsi strumenti efficaci.
Infine – osserva l’autore – «lo scopo di questo testo è però solo quello di scrivere dei diversi percorsi intorno alle possibilità di produrre oggi un progetto di architettura in una forma che diventi progressivamente coerente rispetto alle sue intenzionalità le quali, a loro volta, si costruiscono nello sviluppo del progetto come alternativa alle contraddizioni del presente».