Un nuovo contratto spaziale: curare insieme le ferite dell’uomo e della natura
I premi della Biennale 2021 - Arsenale
All’indomani della proclamazione dei Leoni d’oro della Biennale Architettura di Venezia, Silvia Berselli propone una breve guida all’Arsenale organizzata per temi, partendo dalle proposte dei vincitori.
In tempi non ancora sospetti, nell’estate del 2019, il curatore della Biennale di Architettura di Venezia, Hashim Sarkis, pone agli architetti una domanda che col senno di poi suona profetica: “Come vivremo insieme?” Le risposte arrivano nel clima teso di una pandemia globale che da un anno e mezzo ci costringe a ripensare gli spazi della vita privata, ridotti dalla forzata convivenza, e quelli della condivisione, confinati nella dimensione eterea del virtuale, alla ricerca di un nuovo contratto spaziale. Quali risposte fornisce dunque questa Biennale ad un interrogativo tanto attuale e pervasivo da travalicare i confini disciplinari?
Del Padiglione Emirati Arabi Uniti, vincitore del Leone d’oro, si è già discusso ampiamente nell’articolo dedicato ai nuovi materiali presentati in Biennale, mentre la menzione d’onore al Padiglione Filippine apre a diverse considerazioni. Curata dal gruppo Framework Collaborative, l’installazione Structures of Mutual Support presenta un modulo leggero realizzato in autocostruzione da un gruppo di volontari nelle Filippine per ospitare un luogo di aggregazione adatto a situazioni di emergenza, come conflitti o catastrofi naturali, ma anche alla vita di tutti i giorni: in questo caso si tratta di una biblioteca. All’interno del prototipo è presentato un reportage sulle tecniche di autocostruzione diffuse nel mondo, come il dugnad norvegese, il mutirão brasiliano e il bayanihan filippino (da bayan che significa comunità, nazione). La giuria lo ha riconosciuto come “un esemplare progetto comunitario che genera un archivio ricco di esperienze e pratiche collaborative di costruzione”. Al termine dell’esposizione, ritornerà nelle Filippine e verrà restituito alla comunità che lo ha costruito.
I berlinesi raumlaborberlin si sono aggiudicati il Leone d’oro per il miglior partecipante; la giuria presieduta da Kazuyo Sejima li ha ritenuti meritevoli per aver mostrato “un approccio progettuale collaborativo di grande ispirazione, che chiama alla partecipazione e alla responsabilità collettiva proponendo due interventi che sono modelli per una rigenerazione civica visionaria”. L’installazione Instances of urban practice alle Corderie dell’Arsenale raccoglie due progetti realizzati a Berlino che presentano numerose differenze, ma sono animati da una filosofia comune. L'impalcatura utilizzata per raccontarli diventa una doppia cornice per immagini e grafiche: da un lato presenta la Floating University, uno spazio di aggregazione galleggiante che ospita una scuola di collaborazione con 150 partecipanti e 500 ospiti, dall'altro la Haus der Statistik, un edificio governativo della DDR in Alexanderplatz abbandonato da anni e oggi occupato da diverse attività, scuole e orti. La chiave di lettura su ogni lato è una linea temporale che mostra gli interventi di cooperazione, le connessioni e gli eventi creati e quindi restituisce un contesto e un valore alle immagini. Gli architetti diventano animatori, mediatori, custodi del progetto, che è nutrito dal desiderio di rivendicazione del diritto alla città, dalla contaminazione con il mondo dell’arte e della scienza e dalla ricerca di nuovi spazi per la condivisione. La Floating University è un pop up leggero che ricorda le esperienze di Cedric Price e degli Archigram, mantenendo inalterata la carica visionaria delle avanguardie radicali. Realizzato su un bacino di acqua inquinata vicino all’ex aeroporto di Tempelhof, il progetto integra le istanze di rigenerazione sociale con un piano di recupero ambientale, proponendo un nuovo modo di curare insieme le ferite dell’uomo e della natura. Il progetto introduce un altro tema ampiamente indagato in Biennale, quello del rapporto tra architettura e ambiente, con una sorprendente attenzione a forme di vita a lungo considerate lontane dal progetto.
Una lunga tradizione classica, su cui si innesta poi quella romantica, in primis leopardiana, ci ha abituato a considerare la Natura come una madre benigna, ordinata genitrice di tutte le cose, in grado di trasformarsi però, per capriccio o per punire una colpa, in terribile flagello. Dalle cavallette d’Egitto ai terremoti e uragani di oggi, il volto crudele della Natura si mostra a punizione di un comportamento umano degenerato, prima nel peccato, oggi nell’inquinamento. La Biennale di Architettura registra per la prima volta una presenza massiccia di elementi naturali, dai funghi sotto vetro del greco Thomas Doxiadis alle Variations on a Birdcage dello Studio Ossidiana, modello di convivenza tra uomini e uccelli che ribalta l’universo distopico di Hitchcock tingendolo di rosa. La Beehive Architecture di Tomáš Libertíny presenta sculture che ricordano l’Egitto antico e strutture in stile Felix Candela e Santiago Calatrava, realizzate dalle api sotto la guida dell’uomo, con micro-moduli esagonali come gli alveari.
L’esperimento Bit.Bio.Bot., condotto da ecoLogicStudio con la Innsbruck University e la Bartlett, propone una struttura abitata dall’alga spirulina, organismo primordiale che secondo le ricerche più recenti può metabolizzare gli elementi inquinanti nell’aria trasformandoli in valori nutritivi sorprendenti.
Gli elementi naturali, vegetali o animali, vengono considerati parte integrante del progetto senza per questo generare riflessioni di natura metafisica né invitare a ragionamenti manichei – ormai dati per assodati - sul cosa sia bene o male per il nostro ecosistema. Non è più necessario fare denuncia, perché le responsabilità delle parti sono condivise, ed entra in campo, timidamente, il progetto, per proporre soluzioni a volte appena abbozzate, per una nuova Arcadia tecnologica.