Silvano Zorzi, designer strutturale
Ha attraversato anni che hanno modificato radicalmente il mondo dell'ingegneria e della progettazione, realizzando ponti con uno spirito da designer. Una panoramica sul percorso di Silvano Zorzi.
Silvano Zorzi è stato uno dei protagonisti della Scuola italiana di ingegneria del Novecento, insieme a Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi e Sergio Musmeci.
Grande esperto di cemento armato precompresso, ha lasciato un patrimonio di ponti bellissimi, dal Nord al Sud dell’Italia: a Milano, a Genova, a Roma, a Napoli, dal Friuli alla punta estrema della Calabria e giù in Sicilia.
Approfondimento – Qui puoi ascoltare il podcast dove Tullia Iori racconta Silvano Zorzi
Nasce nel 1921: con Nervi corrono 30 anni e con Morandi quasi 20. E sono anni importanti: Zorzi opera solo nel secondo dopoguerra, partecipa attivamente alla ricostruzione, diventa famoso negli anni del boom. Quando arriva la crisi deve affrontarla: è ancora giovane e mentre gli altri due, più anziani, fanno valere le loro carriere all’estero, Zorzi è in Italia che trova un modo per continuare a progettare i suoi «capolavori postumi»: quelli realizzati quando l’ingegneria «Made in Italy» non è la più importante del mondo com’era stato negli anni del miracolo.
Capolavori realizzati in un mondo del lavoro in profondo cambiamento: all’inizio della sua carriera i cantieri sono pieni di operai, che vanno occupati in massa (le opere pubbliche servono anche per sconfiggere la disoccupazione) e che costano pochissimo. Sono gli operai che montano a mano le centine tubolari Innocenti, a cui si affida un cantiere senza macchine e senza attrezzature. Poi però, a partire dalla metà degli anni Sessanta, il costo del lavoro aumenta rapidamente: le rivendicazioni sindacali introducono finalmente la cassa edile, le ferie, le tutele in caso di malattia e infortuni, la giornata pagata anche se c’è maltempo e non si può lavorare, le 45 ore a settimana, gli straordinari non obbligatori. L’operaio non è più il costo più basso del cantiere: e per questo la costruzione in Italia, soprattutto delle grandi strutture, cambia: si rinnova, accettando l’industrializzazione.
Zorzi però non rinuncia mai all’identità della Scuola italiana, all’originalità del linguaggio delle strutture. La sua sarà un’industrializzazione «all’italiana», senza omologazione.
Se Nervi e Morandi si possono definire «artigiani» puri, che pensano alle loro strutture come grandi sculture alla scala del territorio, come oggetti unici e irripetibili, Zorzi invece è più simile a un «designer industriale». Lavora proprio come i progettisti che si dedicano a disegnare tavoli, sedie, lampade, librerie per la produzione industriale. E non è strano: perché un ponte è più simile a un tavolo che a una casa: è un oggetto d’uso, funzionale. E Zorzi è, a pieno titolo, un designer del Made in Italy, parte integrante di quel mitico gruppo che da Milano, a partire dagli anni Settanta, conquista i vertici mondiali in questo settore.
Designer che immaginano un prodotto funzionale senza rinunciare alla qualità della manifattura artigianale; riproducibile in serie, ma limitata; industriale, ma di fatto realizzato in fabbriche a gestione famigliare, con attrezzature flessibili, capaci di riorganizzare il ciclo produttivo per adeguarsi ai nuovi prototipi.
Usando una metafora legata a un altro cavallo di battaglia del Made in Italy, che è la moda, Nervi e Morandi si possono definire sarti di haute couture, da atelier; e invece Zorzi uno stilista del prêt-à-porter, che non disegna più un capo unico, ma è proprio come i primi stilisti milanesi di inizio anni Settanta che sfilano con le loro piccole collezioni: uno stilista minimalista, se volessimo cercare una definizione per il suo stile.
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