Bruno Morassutti: la fotografia, l’architettura e Frank Lloyd Wright
Il lavoro fotografico di Bruno Morassutti – che ha lavorato da Frank Lloyd Wright negli anni ’50 – viene rivisitato da Marco Introini, fotografo documentarista che espazium intervista sul rapporto tra fotografia e architettura, ieri e oggi.
Francesca Acerboni: Partiamo da Bruno Morassutti1che, appena laureato in architettura a Venezia, nel 1949 parte per gli Stati Uniti: vive l’esperienza di lavorare da Wright nello studio-comunità di Taliesin e di viaggiare on the road alla scoperta delle architetture del Maestro, anche attraverso la fotografia.
Marco Introini: Morassutti è un giovane architetto che in modo quasi pionieristico va a lavorare da Frank Lloyd Wright a Taliesin, in Arizona: scatta foto molto interessanti, alcune fatte in studio – si vede Wright con il famoso cappello –, altre di viaggio, attraverso gli Stati Uniti.
Una foto stupenda mostra il van che l’architetto trasforma in un una sorta di camper. Quasi negli stessi anni, anche Luigi Figini – già affermato rispetto al giovane Morassutti – fa un viaggio negli Stati Uniti: ed è interessante vedere le differenze delle architetture fotografate dai due architetti: Figini immortala New York e le architetture della scuola di Chicago, mentre Morassutti fotografa Wright, e queste immagini sono poi pubblicate sulla rivista Domus di Gio Ponti e su Casabella.
Sono foto che hanno circa 70 anni: sono state restaurate?
Queste fotografie sono state restaurate bene, con tecnica digitale dall’Archivio Progetti dello IUAV: sono state ripulite, i colori sono stati restaurati, ma senza esagerazioni, senza togliere la patina del tempo.
Gli architetti allora utilizzavano quasi tutti lo stesso modello di macchina fotografica: la biottica Rolleiflex, compatta, comoda e con una qualità elevata; è un apparecchio stupendo ancora oggi. La pellicola che si usava era una 6x6 cm, ovvero un formato quadrato, piuttosto difficile da utilizzare. Si deve lavorare sulle simmetrie – alto/basso, destra/sinistra: un formato di fotografia in realtà molto complesso, ma amatissimo dagli architetti, e ancora utilizzato oggi.
Gli architetti più evoluti avevano, invece, la macchina Hasselblad: le ottiche potevano essere cambiate ma era uno strumento pesante e quindi non molto comodo per viaggiare. Anche se non ho visto i negativi, penso che Morassutti in questo viaggio usasse una 24x36.
Com’era, in quegli anni, la fotografia di architettura? E come fotografava Morassutti: da architetto o da fotografo?
In Italia, i fotografi di architettura più importanti erano Giorgio Casali e Paolo Monti, e lavoravano soprattutto per le riviste: Gio Ponti – che dirigeva Domus – diceva di aver insegnato lui stesso a Casali a fotografare. Gli architetti, invece, lavoravano più sulla documentazione strettamente legata al loro lavoro, quindi la fotografia era soprattutto uno strumento di informazione, legato alle loro architetture o a quelle che vedevano intorno. Un punto di vista molto diverso rispetto alla fotografia di architettura.
Morassutti, però, scattava fotografie anche per le riviste, ed era molto preciso nel fotografare. Negli anni Cinquanta e Sessanta si trovano molti fondi fotografici negli archivi degli architetti: allora viaggiavano meno di oggi, ovviamente, ma erano viaggi-studio molto mirati e meglio documentati da questo punto di vista.
Il primo fotografo-architetto può esser considerato senz’altro John Ruskin, che aveva fotografato Venezia per il suo libro The Seven Lamps of Architecture. Anche Le Corbusier, nei suoi viaggi, usava la fotografia come strumento di studio e lavoro. Oggi, quando gli architetti fotografano con il cellulare, si nota una buona qualità, ma sono foto che documentano l’oggetto architettonico o un dettaglio, più che lo spazio o la percezione dell’architettura.
Parlaci del tuo lavoro, della conoscenza dell’architettura attraverso la fotografia.
Nel 2015-2016 mi sono occupato – per la Regione Lombardia e per il MIBAC2– di una campagna fotografica sulla documentazione dell’architettura del dopoguerra. Architettura che rischia di essere dimenticata, perché quasi sempre non vincolata: lo scopo del progetto era, quindi, quello di costituire un archivio per sensibilizzare al problema del restauro e della conservazione del moderno, periodo particolarmente bistrattato nonostante abbia dato forma ed immagine urbana a Milano. A rischio ci sono edifici come il palazzo INA Casa di Piero Bottoni, per esempio.
La documentazione, quindi, è la costruzione di una memoria, non di un ricordo. Sono due attitudini molto diverse: il ricordo è nostalgico, mentre la memoria sono le fondamenta, un punto da cui partire per attuare le trasformazioni urbane. Non tutto può e deve esser conservato, sicuramente, e d’altra parte sarebbe anche antistorico: non avremmo avuto il Rinascimento o il Barocco, se non si fosse demolito nulla.
Qual è il rapporto tra architettura e fotografia, nel passato ma anche nel tuo lavoro.
Dal punto di vista storico la fotografia nasce con l’architettura, anche per un motivo tecnico: le esposizioni erano molto lunghe (anche di minuti o di ore), e l’architettura aveva il vantaggio di essere ferma, immobile. Quindi con la nascita della fotografia nasce anche il rapporto con la rappresentazione dell’architettura. La fotografia viene usata subito come uno strumento indispensabile.
In Francia, nel 1851, nasce la Mission héliographique, un progetto che documentava lo stato del patrimonio monumentale per iniziare gli interventi di restauro. È un lungo percorso che ci porta ai nostri giorni.
Per quanto riguarda il mio lavoro, mi piace parlare di «rappresentazione dello spazio» più che di «rappresentazione dell’architettura». Ciò che interessa è il rapporto fisico, percettivo: la distanza che puoi raggiungere dall’oggetto architettonico, la difficoltà che hai nel guardarlo; per esempio da una strada stretta, non si ha una visione completa ma parziale. E questa percezione va seguita nella fotografia: l’architettura non va svelata solo in un’immagine, ma in una sequenza di immagini. Proprio per cogliere come viene accolta l’architettura nello spazio.
Marco Introini, architetto, fotografo documentarista e docente di Fotografia dell'architettura al Politecnico di Milano. Tra i suoi lavori più recenti: Repubbliche Marinare, presentato alla Biennale di Architettura di Pisa, a cura di Alfonso Femia (2019) e Mantova Imago Urbis (2018). www.marcointroini.net
Note
1. Sull’opera di Bruno Morassutti, in occasione del centenario della nascita, è uscito un libro-catalogo e una mostra monografica presso ADI a Milano: A.Colombo, F.Scullica, Bruno Morassutti 100+1! La cultura del progetto in Italia dal secondo dopoguerra, Electa, Milano 2021. Inoltre, sulle fotografie di Morassutti e il suo viaggio americano: Angelo Maggi, The American Journey. Bruno Morassutti e Frank Lloyd Wright, Lettera 22, Siracusa 2019.
2. MIBAC è il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, in Italia.
Per l'opera di Bruno Morassutti, si veda anche l'associazione www.brunomorassuttiproject.it