Clau­dio Fer­ra­ta - Il ter­ri­to­rio re­si­sten­te. Qua­li­tà e re­la­zio­ni nel­l'a­bi­ta­re

Data di pubblicazione
21-02-2018
Revision
21-02-2018

Già noto per le sue ricerche riguardanti la specificità del paesaggio lacustre prealpino, plasmato dagli sguardi di viaggiatori influenzati da modelli culturali in voga tra il Settecento e i primi decenni del XX secolo (La fabbricazione del paesaggio dei laghi. Giardini, panorami e cittadine per turisti tra Ceresio, Lario e Verbano, 2008) o per l’analisi di quanto esso racconta sulle diverse modalità di abitare i luoghi (L’esperienza del paesaggio. Vivere, comprendere e trasformare i luoghi, 2013), Claudio Ferrata fa il punto in questa occasione su un’altra nozione fondamentale che ha assunto grande centralità, quella di territorio, spesso utilizzata nel dibattito dei più diversi ambiti disciplinari (geografi, urbanisti, architetti ma anche politici ed economisti, amministratori e imprenditori, associazioni ambientaliste e umanitarie), interrogandosi su quale rapporto oggi sussista con le condizioni dell’abitare, con la territorialità concepita come possibilità di vivere lo spazio in modo sostenibile.

Un paradigma che, nonostante i flussi – di informazioni, capitali, merci, persone – e le reti (la network society secondo Manuel Castells) travalichino ogni confine del mondo globalizzato, resta ancora indissolubilmente ancorato alla realtà ecologica, sociale e materiale e in questo consiste essenzialmente – nella sua lettura – la resistenza del territorio.

Partendo dal significato etimologico del termine (dal latino territorium, legato alle attività sia agricole che difensive) e facendo riferimento alle figure più autorevoli della disciplina, la sua riflessione spazia tra le differenti interpretazioni che esso assume nei diversi campi di studio («In architettura il territorio è il supporto concreto e materiale, qualificato da precise morfologie, di una pratica di trasformazione dello spazio che risulta da un progetto») per poi focalizzare l’attenzione sulla geografia: il territorio dunque come spazio organizzato con «una propria configurazione e dei limiti: punti, linee, superfici sono elementi di quella che potrebbe essere definita la sua grammatica elementare».

Risultato di un processo collettivo, dinamico e continuo, il territorio è prodotto da una serie di conflitti generati dai diversi attori che, con interessi contrastanti, sono attivi sull’«arena sociale». Certamente il territorio è anche luogo di identità, ma l’autore non trascura i rischi che implicano l’idealizzazione e la strumentalizzazione della dimensione locale (risposta regressiva e autoreferenziale ai veri problemi posti dalla globalizzazione), così come non elude un giudizio sul ruolo dell’urbanistica che -– più attenta al suo compito tecnico che a quello sociale e ormai «sopraffatta dalle forze del mercato e poco incline ad assumere posizioni critiche» – fatica a gestire la crescente complessità dei processi urbani.

Avendo come obiettivo la qualità dell’abitare, tenendo conto dei diversi livelli di osservazione dell’analisi territoriale e prendendo come riferimento le teorizzazioni dell’urbanista Alberto Magnaghi (principale esponente della «scuola territorialista»), Ferrata ritiene che la vera sfida sarebbe oggi un approccio interdisciplinare che coinvolga tutti i saperi che interessano il territorio, dall’urbanistica all’ecologia, dalla geografia all’antropologia, dalla sociologia all’archeologia. Solo così è possibile compiere un processo a livello qualitativo, passando «dal progetto sul territorio al progetto di territorio».

Superando ogni semplificazione e attingendo alla definizione di Eugenio Turri sul «territorio-laboratorio» (quindi uno spazio da esaminare meticolosamente e in cui applicare le conoscenze e le metodologie di ricerca più aggiornate), il geografo ticinese ricorda che per affrontare queste problematiche bisogna valutare attentamente quali principi privilegiare, per poi applicare le conoscenze teoriche con grande cautela tenendo conto delle implicazioni politiche di ogni intervento: non a caso il territorio è anche «il prodotto di immaginazioni, visioni e valori dei suoi abitanti».

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