«Ho tentato di attenuare un po’ la spietata concorrenza sugli onorari»
Per diversi decenni l’ingegnere civile Heinrich Figi è stato a capo della sezione manufatti e geotecnica presso l’Ufficio tecnico del Cantone dei Grigioni, dove si è impegnato instancabilmente a favore di procedure di aggiudicazione eque e standard qualitativi elevati. Oggi è attivo come membro di giuria nei concorsi d’ingegneria.
TEC21 – Signor Figi, tra il 1985 e il 2015 lei ha diretto la sezione manufatti e geotecnica dell’Ufficio tecnico del Cantone dei Grigioni, in qualità di responsabile della costruzione, del risanamento e della manutenzione di innumerevoli ponti, tunnel, muri di sostegno e sottopassaggi. Quali cambiamenti ha subito il ruolo di committente pubblico nel corso degli anni?
Heinrich Figi – Oltre a dirigere la sezione manufatti con un organico di ben 25 collaboratori, la mia funzione includeva anche la direzione amministrativa e tecnica dei progetti per la realizzazione di manufatti complessi, ossia ero capoprogetto committente, ai sensi del «Regolamento per le prestazioni dei committenti» SIA 101, benché, a quei tempi, il regolamento non esistesse ancora. I miei collaboratori erano capiprogetto, ingegneri progettisti, disegnatori e laboratoristi. Potevamo pertanto attingere a un bacino di competenze interne molto utili per lo svolgimento delle nostre mansioni. Nell’arco di trent’anni naturalmente molto è cambiato: tra le altre cose, c'è una maggiore attenzione verso ciò che già esiste. Mi riferisco all’ambiente naturale. Prendiamo ad esempio il terreno edificabile: quando ripresi la direzione della sezione non esisteva ancora un capoprogetto in ambito geotecnico. Oppure pensiamo alla sostanza esistente: nei Grigioni, numerose opere infrastrutturali sono state costruite prima del 1970, un’eredità con cui dobbiamo fare i conti.
Perché si tratta di una sfida particolare?
Soprattutto perché sono le condizioni di utilizzo a mutare. Basti pensare alla rete stradale cantonale con i suoi circa 1450 km, ben 1500 ponti, 45 tunnel, 80 gallerie e oltre 5000 muri di sostegno. Fino al 2008, anche i 163 km di strade nazionali con tutte le relative costruzioni rientravano nella competenza dei cantoni. Negli anni Sessanta e Settanta si iniziò a praticare lo sgombero integrale della neve, con conseguenze catastrofiche: i ponti non erano isolati, e quindi il sale penetrava nel cemento, raggiungendo le armature e i tiranti e facendoli arrugginire. Abbiamo dovuto imparare ad esaminare le condizioni di innumerevoli opere di costruzione e valutare se sottoporle a un risanamento o sostituirle. La seconda opzione implicava interruzioni del traffico e deviazioni che, in molti casi e vista la topografia alpina, non erano affatto possibili. Di conseguenza, gli interventi di risanamento (in particolare dei ponti) dovevano avvenire senza interrompere la circolazione stradale. L’obbligo di mantenere le strade aperte al traffico alla fine è rivelato vincente, in quanto ci ha permesso di concentrare la nostra attenzione sulla conservazione delle opere edili. In tal modo sono state preservate importanti testimonianze dell’arte dell’ingegneria civile che altrimenti avrebbero corso il rischio di essere demolite.
Così facendo, lei ha altresì contribuito allo sviluppo di tecniche e metodi innovativi.
Era assolutamente necessario impedire la penetrazione di sale antighiaccio nelle strutture portanti e per farlo bisognava procedere all’impermeabilizzazione del manto stradale. Occorreva verificare attentamente che il materiale impermeabilizzante coprisse l’intera superficie. Poiché non esistevano ancora le apposite procedure, prendemmo in mano la situazione, sviluppando le prime verifiche di concerto con il nostro laboratorio stradale. In un secondo momento fu possibile coinvolgere laboratori esterni nel quadro di test collettivi, e trasmettere così le nostre esperienze a livello pratico. Poi arrivò l’apertura alla circolazione dei veicoli pesanti di 40 tonnellate, che sollevò nuovamente la questione dell’agibilità delle strutture. In molti si espressero a favore di un’esternalizzazione della progettazione, sostenendo che gli studi di ingegneria indipendenti sarebbero stati più qualificati per svolgere l’impresa. Tuttavia, cedendo la progettazione a terzi avremmo perso l’occasione di acquisire preziose competenze. Sono convinto che, per essere in grado di dirigere un gruppo di progettisti, occorra anche saper progettare un’opera in prima persona.
Qual è l’aspetto del suo lavoro che le ha dato più soddisfazioni?
La soddisfazione più grande era quando le persone si interessavano ai «miei» ponti o ad altri progetti che mi riguardavano. I grandi ponti suscitano sempre un’attenzione particolare, ad esempio il ponte sul Reno Posteriore a Thusis (1992), il ponte di Landquart Au (1994), il ponte di Sunniberg (1996), il ponte di Castielertobel (2003) o il ponte di Versamertobel (2011). Ai miei occhi erano però altrettanto importanti le opere meno spettacolari, che tra l’altro sono di gran lunga più numerose. Sul tema dei muri di sostegno, ad esempio, tenevo conferenze interne al servizio, così come presso l’allora Scuola Tecnica superiore di Coira e al Politecnico federale di Zurigo; insieme a Jürg Conzett sviluppammo delle linee guida per progettare i muri di sostegno. Un documento controverso, in quanto alcuni cittadini particolarmente parsimoniosi ritenevano che l’esecuzione accurata di questi muri non fosse che un lusso. Dovetti lottare molto per impormi.
Il cambiamento degli ultimi decenni ha interessato anche l’ambito dell’aggiudicazione. Nel 1995 entrò in vigore la legge federale sul mercato interno. Seguita, sempre nel 1995, dall’Accordo GATT/OMC sugli appalti pubblici, con cui la Svizzera si è impegnata a pubblicare a livello internazionale le commesse pubbliche che superano un determinato valore soglia. Nel 1999 entrò in vigore l’accordo bilaterale con l’Unione europea che regola determinati aspetti degli appalti pubblici. L’obiettivo di tutte queste regolamentazioni è aumentare la trasparenza nelle gare d’appalto pubbliche e garantire agli offerenti extracantonali ed esteri un accesso equo al mercato.
Prima dell’introduzione di queste disposizioni la procedura di appalto dei nostri progetti era la seguente: in autunno allestivamo un elenco con i progetti previsti, inserendo i nomi degli studi d’ingegneria ai quali volevamo affidare l’incarico. I criteri di scelta si basavano sulle buone esperienze raccolte con un dato studio in termini di competenza e performance. Ci assicuravamo che i migliori studi fossero il più possibile rappresentati. L’elenco veniva approvato dall’ingegnere cantonale, e pure sottoposto al Consiglio di Stato, che lo verificava e a volte cancellava il nome di uno studio con sede fuori cantone, rimpiazzandolo con un altro. Gli offerenti extracantonali incontravano qualche difficoltà in più, ma normalmente l’Esecutivo si fidava della nostra competenza, intervenendo raramente. A partire dal 1999, siamo stati obbligati a indire i bandi di concorso in base alle disposizioni giuridiche.
Questo si è tradotto in una maggiore qualità dei progetti presentati?
Niente affatto! Inizialmente tutti erano spiazzati. I progetti di costruzione sono relativamente semplici da quantificare: bastano i progetti cartacei e la metratura per calcolare ciò che le imprese devono fornire. Per contro, la progettazione è un processo: quando si comincia non sempre si sa esattamente come si svilupperà il progetto, cosa che molti enti banditori e istanze di ricorso non hanno capito. È sostanzialmente sbagliato esporre le prestazioni intellettuali come la progettazione di un’opera a un «accesso equo al mercato», poiché il risultato è, inevitabilmente, una spietata concorrenza sugli onorari. Così si risparmia dove non si dovrebbe: un’opera edile di qualità non può infatti prescindere da un buon progetto, e un buon progetto ha un suo costo, il che è giustificato.
Nel caso del ponte di Sunniberg, la cui realizzazione non era ancora soggetta alla nuova legge, alcuni studi d’ingegneria validi ci proposero delle soluzioni nell’ambito di studi preliminari, consentendoci un confronto prima di decidere come procedere con il progetto.1
In seguito, questo tipo di procedura non è più stato possibile, poiché ad aggiudicarsi l’appalto era quasi sempre l’offerta più conveniente. Gli enti banditori non osavano decidere diversamente per paura dei ricorsi e dei ritardi sulle scadenze previste. Il prezzo parla da sé e non deve essere spiegato, mentre argomentare sulla qualità risulta ben più difficile. Anche per gli incarichi di progettazione destinati alla realizzazione di opere semplici, come i ponti a mezza costa, non era più possibile assegnare mandati diretti, perché anche questi «dovevano» essere attribuiti all’offerta più bassa. Questo ha innescato una spirale di dumping degli onorari. Non c’è da stupirsi, dunque, se gli studi hanno cercato di adeguare il loro volume di lavoro in funzione dell’onorario, accontentandosi della prima soluzione trovata.
Che cosa ha intrapreso nella sua funzione per riuscire a garantire, nonostante tutto, una buona qualità?
Ho tentato di attenuare un po’ la spietata concorrenza sugli onorari. L’idea era di indicare dei valori di riferimento o escludere l’offerta più bassa, in modo che la seconda offerta più bassa si aggiudicasse l’appalto, ma non ci sono riuscito. Anche i miei superiori avevano le mani legate. A quel punto si trattava di imporre in modo sistematico le esigenze del progetto. Per fare questo bisogna avere le necessarie competenze specialistiche, e quindi, ancora una volta, è stato fondamentale che all’interno del nostro ufficio disponessimo dell’esperienza di progettazione necessaria per confrontarci a livello tecnico con le aziende esterne, da pari a pari. Nel contempo, ho sostenuto posizioni critiche nei confronti della procedura selettiva o su invito, sia all’interno dell’Ufficio tecnico sia pubblicamente.2 A un certo punto, però, dall’alto mi hanno fatto capire che era arrivato il momento di smetterla con i miei articoli.
In «TEC21 44/2005» lei si è espresso contro l’aggiudicazione in procedura selettiva o su invito, constatando che, a eccezione del mandato diretto, le procedure di messa in concorrenza sono l’unica possibilità sensata di aggiudicare i mandati di progettazione nell’attuale contesto. Nella realtà professionale ciò ha trovato riscontro?
Purtroppo, sì! In realtà, le procedure analoghe ai concorsi si giustificano solo in caso di mandati di progettazione complessi, mentre per le opere semplici e di piccola portata risultano troppo onerose. Per questi mandati non restava che farsene una ragione. Il titolare di uno studio d’ingegneria grigionese mi scrisse allora: «L’evoluzione del nostro settore è un vero disastro e sono d’accordo con te nell’affermare che il futuro appare tutt’altro che promettente. Apprezzo oltremodo il tuo impegno di lunga data contro la pura concorrenza sugli onorari, così come devo constatare il poco sostegno che ti puoi aspettare in proposito dalle autorità direttive».
Per i progetti più complessi, in cui la procedura aveva senso e giustificava l’investimento, ricorremmo a forme analoghe al concorso: concorsi di progetto pubblici, in forma anonima e a una fase, ad esempio per il ponte di Tardis (2000-2001) e per il Punt d’En Vulpera (2005-2006), concorsi di progetti pubblici a due fasi con prequalifica, come per il ponte sul Reno Ilanz West (2012-2013), e concorsi pubblici a due fasi per lo studio e la realizzazione, come per il ponte di Hexentobel (2003-2004) e il tratto stradale Garmischeras-Tscheppa (2008-2009). I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Lei continua a essere attivo come membro di giuria nei concorsi d’ingegneria. Questo tipo di procedure danno effettivamente risultati migliori?
Sì. I miei 15 anni di preziosa esperienza hanno dimostrato che nell’ambito dell’ingegneria i concorsi di progetto sono adatti ad affrontare le più svariate problematiche. Sono rilevanti anche da un punto di vista di politica professionale, poiché da un lato sensibilizzano il grande pubblico al valore dell’arte ingegneristica e, dall’altro, promuovono l’innalzamento del livello formativo e pratico. Tuttavia, ho spesso deplorato la mancanza di una presa di coscienza e di sostegno da parte della sfera politica e della società: le opere d’ingegneria sono riconosciute solo nel loro ruolo funzionale e non come testimonianze della cultura della costruzione contemporanea. Una buona arte ingegneristica necessita di buoni committenti in grado di apprezzarne anche il valore.
Il 1° gennaio 2021 sono entrate in vigore la rivista legge federale sugli appalti pubblici (LAPub) e la relativa ordinanza. Tra i criteri d’aggiudicazione della nuova LAPub si trovano anche l’estetica, la sostenibilità, la creatività e il contenuto innovativo. Molti si attendono ora un cambio di paradigma verso una messa in concorrenza più sostenibile e qualitativa. Che cosa ne pensa?
Sono curioso di vedere come criteri quali l’estetica, la sostenibilità ecc. potranno essere applicati alle opere edili più piccole e semplici, e quale sarà l’approccio dei tribunali in materia. Affinché la concorrenza qualitativa acquisti realmente importanza occorre un’elevata competenza specialistica e prezzi in grado di coprire le spese; le offerte sottocosto dovrebbero essere eliminate.
Nel Canton Grigioni esistono numerosi manufatti storici di grande valore architettonico, in parte sotto tutela. Alcuni, come il viadotto di Landwasser sulla linea dell’Albula, sono tanto spettacolari quanto famosi. Queste opere contribuiscono a un risveglio di coscienza nei confronti del contributo che gli ingegneri apportano alla cultura della costruzione?
Sfortunatamente la percezione del valore legato alla cultura della costruzione è una problematica a sé stante. Esiste una scarsa reciprocità percettiva tra le commissioni culturali, i servizi addetti alla protezione dei monumenti storici, la protezione del patrimonio culturale ecc. da un lato, e gli ingegneri responsabili della costruzione e della manutenzione delle infrastrutture dall’altro. È quanto constato regolarmente nel pubblico in occasione di conferenze e con il conferimento di distinzioni che rendono onore alla buona architettura (il Premio Guter Bauten, ad esempio). Il Premio grigionese per la cultura, assegnato a cadenza annuale da oltre cinquant’anni, finora è stato conferito solo una volta a un ingegnere civile, il professor Christian Menn, che oltretutto l’ha dovuto condividere con il professor Alexi Decurtins, distintosi per i suoi grandi meriti nella promozione della cultura grigionese, e in particolare di quella retoromancia. Nell’arte ingegneristica spesso si ha a che fare con valori intrinseci, a prima vista invisibili. Quando un vecchio ponte non soddisfa più le attuali esigenze, il carico sopportato è limitato e i costi di un risanamento superano quelli di una sostituzione, frequentemente la risposta si riassume in un’unica parola: demolizione! Nel momento in cui i valori intrinseci non vengono riconosciuti si corre il rischio di perdere preziose testimonianze della cultura della costruzione. Se le numerose opere infrastrutturali che abbiamo potuto costruire e conservare nel tempo vengono anch’esse considerate parte integrante della cultura della costruzione, allora vi è speranza che non saranno prematuramente distrutte, senza contare che in molti casi la ristrutturazione si rivela molto più sostenibile di una sostituzione a nuovo.
Note
- Cfr. «Wege zu einem guten Projekt für ein anspruchsvolles Bauwerk» in: quaderno tematico SI+A «Sunnibergbrücke» del 29.10.1998.
- Cfr. «TEC21» 5-6/2004 e «TEC21» 44/2005.
Heinrich Figi è ingegnere civile PFZ. Dopo il diploma è stato assistente del Prof. Dr. Christian Menn presso l’Istituto per l’analisi strutturale e la costruzione, ha svolto un post-dottorato presso il MIT e lavorato come ingegnere progettista, prima di assumere nel 1985 la direzione della sezione manufatti e geotecnica presso l’Ufficio tecnico del Cantone dei Grigioni. Dal suo pensionamento nel 2015 è attivo nelle giurie dei concorsi d’ingegneria. In occasione dell’Assemblea dei delegati del 23 aprile 2021, a Heinrich Figi è stato conferito il titolo di socio onorario SIA, per rendere omaggio ai suoi meriti straordinari.