Il concorso attraverso la lente della sociologia
Il concorso di architettura secondo Peikert non è solo una questione di idee, ma anche di come le esperienze e le risorse acquisite influenzino la pratica progettuale. Tra i protagonisti dei concorsi si riconoscono sette archetipi.
L’articolo di Martin Peikert corredato dalla visualizzazione grafica di Valérie Bovay, apparso su Tracés 2/2024 con il titolo Concours d’architecture: comment la position influence la practique, ci dà l’occasione di riflettere su alcune caratteristiche delle procedure dei concorsi. In controtendenza con quanto generalmente sostenuto dai progettisti, l’autore afferma che la convinzione secondo cui soltanto l’idea prevale all’interno di un concorso sia un’illusione, un mito che cerca di sfatare con argomentazioni molto dettagliate e convincenti.
Attraverso la lente della sociologia culturale e le teorizzazioni di Pierre Bourdieu, Peikert osserva che le pratiche dell’architetto sono costruite dal network socio-materiale e dalla posizione che occupa all’interno della professione. Considerando il concorso come un microcosmo a sé stante, si individuano i principali attori che ricoprono un ruolo. In questo contesto la competizione porta i partecipanti a tentare di dominare il gioco e assumere posizioni egemoniche.
Il concorso di architettura secondo Peikert non è, appunto, solo una questione di idee, ma anche di come le esperienze e le risorse acquisite influenzino la pratica progettuale spiegando in che modo tali fattori condizionano l’esito.
Il concorso è considerato come un organismo che richiede risorse materiali, temporali e finanziarie, producendo decisioni, vincitori e ritorni economici, relazionali, simbolici ed esperienziali. Tutto ciò contribuisce al funzionamento dell’intero meccanismo e alla progressione degli uffici di architettura.
Per suffragare la sua tesi, Peikert ha analizzato i dati di un campione di concorsi in Svizzera romanda dal 2013 al 2023, che ha coinvolto oltre 4000 attori, e ha individuato sette archetipi di figure recorrenti nei concorsi che sintetizzano tipologicamente le esperienze fatte dai concorrenti:
- prolifici: partecipano frequentemente e vincono regolarmente (0.9%)
- eminenti: partecipano principalmente a procedure ristrette e spesso sono giurati (1.3%)
- travolgenti «jaggernaut»: combinano i vantaggi dei prolifici e degli eminenti (0.1%)
- isolati: partecipano a 5-6 concorsi all’anno con poco successo e senza accesso a giurie o procedure ristrette (ca 7%)
- moltitudine: partecipano sporadicamente, 1-2 volte all’anno e con poco successo (ca. 46%)
- satellitari: partecipano principalmente come giurati (38%)
- esterni: attori importanti in altri contesti geografici che partecipano sporadicamente e in vari ruoli importanti (7%)
È chiaro – dalle cifre riportate – che la distribuzione è squilibrata: solo il 2,3% degli studi professionali, composto dai primi tre archetipi, ottiene ritorni importanti con una certa frequenza, mentre la maggioranza (isolati e moltitudine, oltre il 52%) pur investendo molte risorse raccoglie scarsi risultati simbolici, economici o relazionali.
La ricerca sembra inoltre suggerire che esiste una soglia di partecipazione necessaria per raggiungere lo status di vincitore. Questo diritto d’accesso richiede un tributo significativo, spesso costoso, per gli uffici che cercano di progredire; ciò porta – come accennato in precedenza – solo una piccola percentuale a essere in grado di scalare la gerarchia. Inoltre, come avverte l’autore: «la posizione del giurato è strategica e correlata a un particolare successo nelle procedure – più vinciamo, più siamo giurati, più vinciamo... Possiamo quindi immaginare che esista una forma di feedback tra ruolo di giurato e vincitore». In questo modo – continua Peikert – «la partecipazione a una giuria consente: di sviluppare rapporti all’interno del mondo delle competizioni che portano a un’ulteriore partecipazione come giurato; di trarre informazioni strategiche sulla natura delle aggiudicazioni e sui comportamenti dei giudici; fare oscillare lo spazio delle possibilità verso un approccio affine a quello del giurato quando si candida come partecipante».
Statisticamente, un progetto di architettura ha buone possibilità di essere considerato da una giuria se proviene da uno studio di archetipo dominante, in quanto esso padroneggia i codici, le strategie e utilizza le informazioni a sua disposizione per adattare il suo approccio a ciò che sa della giuria.
Tuttavia, il fatto di non appartenere ai primi tre archetipi non impedisce comunque episodi di successo. In questo caso l’outsider prevale sul dominante vincendo una procedura e ciò ha una conseguenza sociale importante: quella di far pensare a gran parte dei progettisti che, nonostante il loro status precario, abbiano tutte le possibilità di vincere un concorso motivandoli a partecipare.
Questa analisi, in controtendenza col pensiero comune, sfida la visione «romantica» del concorso come pura competizione di idee, rivelando una realtà più complessa in cui le relazioni sociali e le risorse simboliche giocano un ruolo cruciale. Una tesi molto interessante che potrebbe aprire a domande volte all’evoluzione e al miglioramento di questo strumento eccezionale, ma non perfetto, che è il concorso.