La for­ma del suo­no

Avventure morfologiche dell'auditorium tra passato e presente

Che si tratti della cassa armonica di un violino o di una grande aula concertistica, lo spazio in cui il suono viene creato, riceve gli armonici che lo caratterizzano e viene quindi proiettato verso le orecchie attente del suo pubblico, racchiude in sé il fascino di una wunderkammer misteriosa, custode di un tesoro tanto prezioso quanto impalpabile: la musica.

Data di pubblicazione
09-04-2018
Revision
09-04-2018

Come il liutaio, anche l’architetto ha dovuto procedere per tentativi empirici nell’intento di amplificare il suono diretto e ridurre i rumori di fondo, ma anche di regolare le riflessioni acustiche, determinate dalla geometria della sala e dalla qualità dei materiali che la compongono.1

Negli ultimi decenni, con l’introduzione dei sistemi di modellazione digitale nella progettazione architettonica, si è assistito a una proliferazione delle forme adottabili per rispondere a un dato programma funzionale. Nel caso specifico delle sale da concerto, queste nuove proposte progettuali a volte seguono una tradizione che si è cristallizzata attorno a pochi modelli consolidati, mentre altre volte portano a soluzioni innovative anche sul piano tipologico. Gli spazi per la musica tradizionali possono essere suddivisi in quattro categorie: le sale da concerto rettangolari (o shoe box), quelle a ventaglio, le esagonali e quelle a vigneto, le vineyard. Ogni modello presenta pregi e difetti specifici, caratteristiche planivolumetriche peculiari e un nutrito elenco di casi studio internazionali. Questo saggio presenta i diversi modelli di sale da concerto tradizionali, ne osserva l’evoluzione e la diffusione e propone riflessioni atte a evidenziare alcune recenti tendenze progettuali che aprono la via a nuove prospettive tipologiche.

Il modello che presenta storicamente il maggior numero di realizzazioni è quello della shoe box, caratterizzata dal soffitto piatto e dalla pianta rettangolare, spesso nella proporzione di un doppio quadrato. Il palcoscenico si trova a un’estremità della pianta e le pareti laterali presentano in genere un tripudio di ornamenti come bassorilievi, colonnati, logge, sculture. Queste decorazioni non sono fini a se stesse, ma hanno un ruolo fondamentale di correzione acustica: infatti le pareti laterali, verticali e parallele, se vengono lasciate spoglie producono delle fastidiose riflessioni sonore a specchio. La decorazione permette di spezzare le onde acustiche e di diffondere il suono in maniera più omogenea; hanno questa funzione gli stucchi dorati e i cassettoni intagliati della Goldener Saal nel Musikverein di Vienna, costruita dall’architetto Theophil von Hansen tra il 1863 e il 1870, forse l’esempio più celebrato (vi si tiene il famoso Concerto di Capodanno) di sala da concerto a pianta rettangolare. L’eccezionale acustica del Musikverein è data dalle sue dimensioni contenute: la vicinanza tra le pareti e il soffitto facilita la diffusione uniforme dei suoni riflessi, opportunamente frammentati dalle superfici decorate.

Numerose sale a pianta rettangolare si ispirano al Musikverein; tra queste la Neues Gewandhaus di Lipsia, la Concertgebouw di Amsterdam, la Symphony Hall di Boston e la Tonhalle di Zurigo, inaugurata nel 1895 e ancora considerata una delle sale con la migliore acustica al mondo.

Oggi la Tonhalle è oggetto di un importante intervento di ristrutturazione e ampliamento, condotto dagli architetti Diener&Diener, e fino alla sua riapertura nel 2020 i concerti del suo intenso calendario si terranno all’interno di un complesso industriale riconvertito dagli zurighesi Spillmann Echsle Architekten e inaugurato nel settembre 2017.

La grande fortuna del modello shoe box è dovuta, oltre alla sua semplicità costruttiva, all’ottima resa acustica anche a fronte di un dimensionamento empirico in passato approssimativo: risulta dunque la scelta più sicura. Dopo un secolo di sperimentazioni tipologiche che hanno portato in auge nuovi modelli di impianto, negli ultimi decenni si è registrata la progressiva ricomparsa dell’auditorium a pianta rettangolare, con un proliferare di esempi che trovano il loro apice in alcune opere di Renzo Piano, nella Casa da Musica di OMA a Porto e nella superlativa KKL di Jean Nouvel a Lucerna. Sul soffitto e alle pareti di queste sale sono agganciati numerosi pannelli acustici che hanno la stessa funzione delle sculture e degli stucchi antichi, anche se producono risultati molto più precisi, determinabili già in fase di progetto.

Il modello tipologico delle sale a ventaglio si è sviluppato soprattutto tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del XX secolo, con la diffusione del cinema e la conseguente sovrapposizione di più funzioni all’interno dell’auditorium, che diventa anche spazio per proiezioni.2 Questa disposizione presenta un miglioramento della visuale dello spettatore rispetto alla shoe box e un maggior senso di inclusione in quanto il pubblico è più vicino al palco, ma anche numerosi problemi sul piano della resa acustica, pertanto è stato progressivamente abbandonato. Alvar Aalto è forse l’unico architetto ad aver utilizzato ripetutamente questo impianto, nella Casa della cultura (Kulttuuritalo) del 1958, nell’Auditorium universitario del 1964 e nella Finlandia Concert Hall del 1971,3 tutte a Helsinki e dintorni e tutte caratterizzate da un’acustica a dir poco problematica.

Non realizzato è il teatro nazionale di Mannheim di Mies van der Rohe,4 progetto del 1952-1953 che prevedeva due sale di diverse dimensioni, entrambe a ventaglio. L’angolo molto stretto di apertura della cavea avrebbe probabilmente favorito una buona acustica. Esistono anche esempi realizzati di auditorium a ventaglio acusticamente validi, come la Sala Cortot di Auguste Perret a Parigi (1928), con una parete di fondo molto vicina e rettilinea che evita la formazione dell’eco. Infatti, se una sala a ventaglio è voltata e delimitata sul lato opposto alla scena da una parete curva, questa forma genera un ritorno del suono che provoca un fastidioso effetto eco sul palcoscenico; l’unico modo per rimediare a questo problema è rivestire la superficie di fondo con materiale fonoassorbente e modellare il soffitto in modo da riflettere i suoni verso il basso. È questo il caso dell’Aula Magna di Caracas, progettata da Carlos Raul Villanueva e inaugurata nel 1953. L’inesperienza del progettista ha portato a costruire «la forma peggiore per l’auditorium di un campus, che richiede un suono naturale» come afferma Leo Beranek,5 dello studio di acustica Bolt, Beranek & Newman Inc., consultato per porre ordine in questo «caos sonoro» attraverso dei diffusori acustici. Al progetto collabora lo scultore Alexander Calder e il risultato sono i colorati «dischi volanti» che caratterizzano il volume in maniera iconica.

Anche le pareti laterali della sala a ventaglio contribuiscono negativamente all’acustica: infatti sono disposte quasi nella stessa direzione del suono e non riescono a rifletterlo verso il pubblico. Si è cercato di risolvere il problema segmentando le pareti, ma con scarsi risultati, come si può verificare nella sala principale del Barbican Centre di Londra, inaugurata nel 1982. L’acustica della sala è da sempre oggetto di accese polemiche (si veda anche l’intervista a Vovka Ashkenazy nelle pagine seguenti), ravvivate dal ritorno in patria, alla direzione della London Symphony Orchestra, di Sir Simon Rattle, promotore di un vasto progetto per una nuova città della musica londinese, firmato Diller&Scofidio + Renfro.6

A differenza degli spazi a ventaglio, le sale esagonali, grazie alle pareti laterali inclinate, presentano riflessioni sonore fino in fondo alla platea, anche se queste sono un po’ scarse nelle prime file. Si ricorda il Kalita Humphreys Theater, realizzato nel 1959 da Frank Lloyd Wright e ancora oggi sede del Dallas Theater Center. Le sale per concerti St David’s Hall di Cardiff del 1982 e De Doelen di Rotterdam, del 1996, presentano una disposizione delle pareti a diamante, studiata in modo da portare a tutti gli spettatori le prime riflessioni sonore, producendo un’acustica praticamente perfetta. Un altro auditorium esagonale dalle caratteristiche eccezionali è la sala per musica da camera adiacente alla Berliner Philharmonie, di cui costituisce il naturale completamento, realizzata postuma da Edgar Wisniewski nel 1987 seguendo il progetto originale di Hans Scharoun. A differenza delle altre sale esagonali, questa risente però delle precedenti esperienze progettuali di Scharoun e assume al suo interno il rivoluzionario impianto centrale della Philharmonie.

La Filarmonica di Berlino viene inaugurata nel 1963 e segna uno spartiacque nella storia delle sale da concerto, tanto da costituire ancora oggi un modello di riferimento imprescindibile. Si tratta del primo esempio di spazio per grande orchestra sinfonica concepito con palcoscenico centrale, cosicché il direttore e i musicisti sono completamente circondati dal pubblico. Per strutturare una corretta risposta del suono all’interno di uno spazio così radicalmente nuovo, l’ingegnere acustico Lothar Cremer dispone dei setti murari che aumentano le riflessioni laterali e dividono la platea in settori simili alle terrazze di un vigneto. Il nuovo modello tipologico prende dunque il nome di vineyard e fornisce il riferimento principale per realizzazioni come il Centro Vredenburg di Utrecht di Herman Hertzberger del 1977, la sala grande dell’Auditorium parco della musica di Renzo Piano del 2002, la Walt Disney Concert Hall di Frank Gehry del 2003, la parigina Philharmonie di Jean Nouvel del 2015, presentata in queste pagine. Alcuni detrattori7 di questo impianto morfologico sottolineano che a Berlino circa un terzo del pubblico si trova dietro il palco e non riceve il suono diretto degli strumenti direzionati, come ad esempio i fiati o le voci dei cantanti, ma in realtà il problema è minimizzato dalla presenza dei setti murari che moltiplicano le riflessioni primarie e definitivamente superato grazie al senso di inclusione fisica dato dalla vicinanza ai musicisti e dall’esclusivo privilegio di poter vedere in azione il direttore d’orchestra.

Oltre alle tipologie tradizionali sinora presentate, si registrano dagli anni ’80 a oggi alcuni nuovi orientamenti: in primis la tendenza al recupero e alla rifunzionalizzazione di spazi originariamente non adibiti a concerti, come palazzi o edifici industriali.8 È il caso dell’Arsenale ottocentesco di Metz, all’interno del quale Ricardo Bofill ha realizzato nel 1989 due sale in forma di shoe box (proporzionate sull’esempio del Musikvarein di Vienna), dello zuccherificio Eridania di Parma, convertito in auditorium Paganini da Renzo Piano nel 2001, ma anche dei gasometri di Oberburg in Germania, oggi adibiti a spazi espositivi e per concerti, della Elbphilarmonie di Amburgo e del già citato spazio temporaneo per la Tonhalle nel Maag di Zurigo. Già nel 1919 Hans Poelzig aveva trasformato un vecchio circo berlinese nella Grosses Schauspielhaus,9 dunque non si tratta di un processo radicalmente innovativo, ma il successo che hanno oggi questi progetti sta creando una nuova tradizione, che influisce di riflesso sulla progettazione ex novo, liberandola da una certa rigidità disciplinare e favorendo la diffusione di esempi che si spingono ai limiti della sperimentazione tipologica.

Una categoria a sé è quella delle sale sperimentali e degli spazi trasformabili, in quanto la letteratura architettonica ci presenta sì alcuni affascinanti disegni ormai storicizzati, ma questi sono stati relegati nel regno delle utopie o dei divertissements. È il caso del Total Theater10 concepito da Gropius nel 1927 per la compagnia berlinese di Erwin Piscator e rimasto sulla carta, oppure del primo «revolving auditorium», un teatro con platea rotante costruito nel 1958 dall’architetto lituano Joan Brehms, non a caso formatosi al Bauhaus di Weimar, nel giardino del castello di Český Krumlov, in Boemia. Solo molti anni dopo le sale sperimentali diventano il territorio degli ingegneri e dei fisici acustici e si assiste a Parigi alla costruzione di spazi come l’IRCAM di Renzo Piano e Richard Rogers del 1977 e la sala modulabile dell’Opera Bastille, di Carlos Ott del 1991. La Svizzera non è da meno: a Montreux viene inaugurata nel 1993 la sala modificabile dell’Auditorium Stravinski, inserita all’interno del preesistente Centro Congressi e presentata in queste pagine.

Un’altra tendenza progettuale che si registra è il ritorno in auge della forma circolare con palcoscenico centrale, certamente uno dei modelli più antichi di spazio per lo spettacolo, che si ripresenta ciclicamente in forme diverse, dalle arene greco-romane attraverso la tradizione shakespeariana e le esperienze «circensi» di Mejerchol’d,11 fino alle sperimentazioni novecentesche e contemporanee. È il caso della Filarmonica di Colonia, realizzata da Busmann e Haberer nel 1983. Questo ritorno è stato facilitato dalla diffusione dell’impianto a vineyard, dunque di un modello con palcoscenico centrale, che separa nettamente la tipologia dell’auditorium da quella del teatro. Nelle sale con palco centrale, infatti, si perde la distinzione tra spettatori e musicisti, evidenziata fisicamente dalla linea del boccascena che incornicia la finzione scenica. La recentemente inaugurata Theaterturm auf dem Julierpass a Origen rappresenta in questo senso una sorta di caso limite nella tradizione degli spazi ad arena, una sfida sul piano tipologico.

Un progetto esemplare sembra racchiudere in sé tutte queste attuali istanze compositive: si tratta della Pierre Boulez Saal12 a Berlino, realizzata da Frank Gehry su invito di Daniel Barenboim per onorare la memoria del compositore scomparso. Secondo Boulez «la mobilità è necessaria perché sempre di più i compositori richiedono che l’ambiente giochi un ruolo nella disposizione spaziale dei musicisti; e questo non solo in senso spettacolare, per creare un effetto sorpresa, ma per rendere più chiara la tessitura musicale».13 L’auditorium si sviluppa all’interno di un edificio preesistente, un palazzo neoclassico della Friederichstrasse, in parte ricostruito negli anni della DDR; la sala ha forma ellittica e costituisce una rilettura in chiave moderna dell’anfiteatro classico; inoltre, il palcoscenico centrale può ruotare ed essere collocato sia sul lato maggiore che su quello minore generando quattro possibili configurazioni (1. music in the round; 2. arena; 3. amphitheater; 4. theater). Berlino ha saputo conservare la memoria dell’avanguardistico progetto di Gropius per recuperarlo quando i tempi e le tecniche ne hanno reso possibile la realizzazione. Il risultato è quello che Barenboim ha definito uno spazio «per orecchio pensante»: un luogo in cui, per una volta, è l’architettura ad adattarsi alla musica.

 

Note

  1. Antonino Margagliotta, Luigi Failla (a cura di), Musica, composizione, architettura, Libria, Melfi 2013.
  2. Michael Barron, Auditorium Acoustics and Architectural Design, Spon Press, London-New York 1993, p. 95.
  3. Marie-Laure Boulet, Christine Moissinac, Francoise Soulignac, Sale da concerto, Tecniche Nuove, Milano, 1992, pp. 60-67.
  4. Concetta Montella, Mies van der Rohe e il teatro del Novecento. Il Teatro di Mannheim: dall’illusione all’astrazione, Electa, Napoli 2007.
  5. Leo Beranek, Music, Acoustics and Architecture, Wiley, New York, 1962; riveduto e ampliato con il titolo Concert Halls and Opera Houses: Music, Acoustics and Architecture, 2004.
  6. Mark Brown, Simon Rattle says Barbican hall can’t fit in a fifth of LSO’s repertoire, «The Guardian», 17 gennaio 2017 (consultato il 29 dicembre 2017) https://www.theguardian.com/music/2017/jan/17/simon-rattle-barbican-london-symphony-orchestra-repertoire; Id, Plans for new London concert hall move step closer after architects announced, «The Guardian», 17 gennaio 2017 (consultato il 29 dicembre 2017) https://www.theguardian.com/uk-news/2017/oct/10/new-london-concert-hall-diller-scofidio-renfro-square-mile
  7. Trevor Cox, What is wrong with London’s concert halls, «The sound blog. Dispatches from Acoustic and Audio Engineering», pubblicato il 9 marzo 2015 (consultato il 3 gennaio 2018) https://acousticengineering.wordpress.com/2015/03/09/what-is-wrong-with-londons-concert-halls/
  8. All’argomento sono dedicati i volumi: Maria Cristina Forlani, Spazi per lo spettacolo e riuso. Una ipotesi di attrezzatura territoriale, Gangemi, Roma 1999 e Francesca Castagneto, Donatella Radogna (a cura di), Lo spazio della musica. Flessibilità e nuove configurazioni spaziali, Gangemi, Roma 2005.
  9. Michael Forsyth, Edifici per la musica. L’architetto, il musicista, il pubblico dal Seicento a oggi, Zanichelli, Bologna 1987, pp. 189-191.
  10. Sergio Rotondi, La costruzione del teatro. Idee e problematiche dell’età moderna, in Teatri dell’età moderna, «Rassegna di architettura e di urbanistica», 98-99-100, Roma 2001, pp. 7-91.
  11. Marino Narpozzi, Teatri. Architetture 1980-2005, Motta, Milano 2006, p. 41.
  12. Francesca Petretto, Pierre Boulez Saal a Berlino, l’armonico e caldo nido modulabile di Gehry, «Il Giornale dell’Architettura», 15 marzo 2017 (consultato il 29 dicembre 2017) http://ilgiornaledellarchitettura.com/web/2017/03/15/pierre-boulez-saal-a-berlino-larmonico-e-caldo-nido-modulabile-di-gehry/
  13. Pierre Boulez, Prospettive per la musica contemporanea, in Daniele Abbado, Antonio Calbi, Silvia Milesi (a cura di), Architettura & Teatro, Il Saggiatore, Milano 2007, p. 30.
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