Recensione a «Louis Kahn e Venezia. Il progetto per il Palazzo dei Congressi»
Catalogo della mostra al Teatro dell'architettura di Mendrisio, 2018
Louis Kahn a Mendrisio
Nella letteratura architettonica esiste un genere di studi interamente incentrati sulla genesi di un singolo progetto, realizzato o meno. In ogni caso le strade che si possono intraprendere in questa direzione sono sostanzialmente due: la prima è quella degli storici dell’architettura, volta a riportare alla luce uno dei tanti «sentieri interrotti» novecenteschi. La seconda strada è invece quella intrapresa sull’onda di un’ossessione critica volta a legittimare la propria idea di architettura che è il caso di Peter Eisenman e del suo studio sulla Casa del Fascio di Como di Giuseppe Terragni,1 ma anche, in tempi più recenti, quello su Mies van der Rohe di Herzog & de Meuron.2
Il volume Louis Kahn e Venezia. Il progetto per il Palazzo dei Congressi e il Padiglione per la Biennale costituisce una terza via fra le due, perché è curato da due storici, Elisabetta Barizza e Gabriele Neri, che con le loro analisi circostanziate e differenziate bilanciano il saggio di apertura di Mario Botta, che è ovviamente il deus ex machina di tutta l’operazione. Bisogna tenere conto del fatto che il volume ha accompagnato la mostra omonima dove sono stati esposti per la prima volta tutti i materiali (schizzi, disegni, documenti, modelli ricostruiti) di circa mezzo secolo fa e che per l’occasione è stato inaugurato ufficialmente il Teatro dell’architettura, vale a dire lo spazio museale che completa il disegno del campus dell’Accademia di Mendrisio. Capita di rado di poter vedere una mostra dedicata a un solo progetto, potendone apprezzare da vicino tutte le evoluzioni e i ripensamenti in corso d’opera. Capita ancora più raramente che l’oggetto della mostra abbia influenzato la progettazione, per quanto indirettamente, dell’edificio stesso in cui è esposto come una reliquia. Nonostante il forte legame d’affezione rivendicato da Botta verso questo progetto kahniano e la sua volontà di ampliarne l’orizzonte critico dopo molti anni di oblio, i curatori hanno potuto offrire degli approfondimenti in linea con le proprie ricerche personali: Barizza ricostruendo il rapporto di Kahn con Venezia fin dalla sua giovinezza dopo aver in passato approfondito quello con Roma;3 Neri, in linea con i suoi studi sui rapporti fra architettura e ingegneria, ha messo invece in risalto la figura avventurosa di August Komendant (il quale lavorò fra l’altro agli ordini del generale Patton), strutturista estone di nascita e docente alla University of Pennsylvania, dunque legato da rapporti di natura professionale e biografici al maestro di Filadelfia con cui discuteva senza complessi d’inferiorità. Il volume, che per via della gabbia tarata sulla doppia lingua spesso sacrifica a un piccolo formato le illustrazioni, è impreziosito da due saggi conclusivi di Werner Oechslin e Fulvio Irace, quest’ultimo dedicato all’enorme influenza esercitata da Kahn sull’architettura italiana in generale e su quella romana in particolare – si veda il progetto di Ludovico Quaroni per le barene di San Giuliano a Mestre (1959) o il disegno di Franco Purini e Laura Thermes scelto per la copertina di Teorie e storia dell’architettura di Manfredo Tafuri (1968).
Ad ogni buon conto, la qualità migliore del volume consiste nel dialogo fra storici e progettisti, vale a dire fra gli scholar – che solitamente dialogano esclusivamente tra loro stessi – e un architetto come Botta che è doppiamente parte in causa sia come allievo di Kahn sia come mentore dell’Accademia di Mendrisio. Si ricrea così un contesto analogo a quello veneziano degli anni Sessanta, quando Bruno Zevi e Giuseppe Mazzariol discutevano di storia con Carlo Scarpa e Giuseppe Samonà senza rinchiudersi all’interno del proprio steccato disciplinare, tanto da impegnarsi anche sul piano politico e rivestire cariche pubbliche autorevoli. In tal modo esercitavano un’influenza netta sulla politica costringendola a consultare i migliori architetti disponibili, ma qui termina l’analogia perché questo circolo virtuoso sarà forse ancora possibile in Svizzera oggi, ma certamente non in Italia.
Note
- Peter Eisenman, Giuseppe Terragni Transformations Decompositions Critiques, The Monacelli Press, New York 2003; trad. it Giuseppe Terragni. Trasformazioni, scomposizioni, critiche, Quodlibet, Macerata 2004.
- Jacques Herzog, Pierre de Meuron, Treacherous Transparencies. Thoughts and observations triggered by a visit to the Farnsworth House, Actar, New York 2016; i testi sono di Herzog e le fotografie della casa di De Meuron.
- Elisabetta Barizza, Marco Falsetti (a cura di), Roma e l’eredità di Louis I. Kahn, FrancoAngeli, Milano 2014.